Marco Oliva 

Direttore R&D HC

Zobele Group


Editoriale

C’è un percorso evolutivo nella vita che riguarda un po’ tutte le nostre attività, una sorta di metabolismo che trasforma mode, progetti, prodotti, comunicazione e che in tutti i campi mi sembra sempre più accelerato, quasi frenetico.


A ciò non si sottrae un trend – che è poi di fatto ormai una necessità – che è quello della Sostenibilità di cui tanto si è parlato, di cui ampiamente si discute e che pare ormai un requisito imprescindibile di sviluppo per tutti i progetti aziendali.


Non c’è attività di innovazione o rilancio che non contenga un obiettivo di miglioramento delle voci relative alla tutela dell’ambiente e all’approccio responsabile nell’utilizzo di materie prime, della tipologia di packaging, di movimentazione delle merci: tutte le altre componenti di tendenza, dalla capacità prestazionale alla sicurezza, dall’emotività all’estetica, sono divenute ormai sottotitoli di un grande ombrello che si chiama Sostenibilità. 


Eppure, qualcosa sta cambiando… il metabolismo evolutivo non risparmia neppure questo trend che da qualche anno (solo parzialmente offuscato dalla pandemia che ci ha sconvolto in gran parte l’esistenza) impera nei progetti delle varie Aziende, non solo quelle operanti nel nostro dinamico settore.


Ciò che cambia è che da una pura fase aspirazionale si è passati ad una fase applicativa: non più soltanto obiettivi dichiarati, ma oggi si affaccia il bisogno di rendere concreto, attuabile e credibile un impegno preso a suo tempo.


Se molte piccole realtà hanno scelto di proporre una piena adesione alla Sostenibilità attraverso prodotti completamente focalizzati sul “green”, con modelli di efficienza energetica, politiche chiaramente ed estremamente orientate a concrete realizzazioni quasi “estremistiche” e di per sé rivoluzionarie – altre, di maggior dimensione, sono chiamate ad affrontare la necessità di equilibrare diverse componenti da coniugare con le dichiarazioni aspirazionali: il costo del prodotto in primis che si riflette sul prezzo al pubblico, la performance formulistica, la qualità esecutiva del packaging, la comunicazione e soprattutto l’accettabilità generale e l’interesse reale del consumatore.


L’impresa non è sempre facile: vi sono parecchi attori che proclamano intenti ambiziosi su utilizzo di ingredienti, minimizzazione delle plastiche tradizionali, impiego di plastiche post consumo (PCR), formulazioni 100% ecologiche ma poi si configurano come protagonisti velleitari che immettono sul mercato prodotti con un posizionamento che riflette solo parzialmente la realtà delle cose.


Non credo che la sostenibilità abbia un senso se non in una prospettiva di alta efficienza e piena soddisfazione del consumatore.


Se ciò non avviene, come hanno ampiamente dimostrato numerose valutazioni al consumo condotte non soltanto nei Paesi mediterranei ma altresì in quelli più sensibili alle tematiche ambientali, il consumatore può anche essere attratto con una buona intenzione di prova del prodotto ma mancherebbe il riacquisto, avendo come obiettivo la piena soddisfazione e il riconoscimento di un risultato.


La coniugazione dunque di cosmeticità e sostenibilità è essenziale, così come quella tra praticità (comodità d’uso) e di attenzione all’ambiente.


Si diceva prima inoltre della focalizzazione spasmodica che le Aziende in questi ultimi anni hanno indirizzato ai costi, non solo strutturali e fissi ma anche a quelli variabili e ai costi di trasformazione in particolare: ebbene, spesso questo approccio si ritrova ad essere pienamente conflittuale con quelli che sono gli obiettivi di sostenibilità se si considera anche semplicemente il divario di prezzo che ancora afferisce l’utilizzo di plastica riciclata post-consumo, piuttosto che quello di materiali alternativi ecocompatibili e compostabili. Medesimo discorso per materie prime certificate o di origine biologica, per le quali si configurano costi più che raddoppiati rispetto alle proposte tradizionali, anche in ambito di “sourcing” naturale.


Ecco perché verrebbe da dire “hic Rhodus, hic salta” per certi versi: tutti si dichiarano difensori di una politica di sviluppo ecologica, molti proclamano di essere i primi e gli unici a certificare ogni proposta, ma alla fine pochi sarebbero disposti a lasciare che il consumatore sia costretto a pagare un prezzo troppo alto a fronte di un beneficio minimo per la tipologia di prodotti di nostro interesse.


Credo che il consumatore si orienterà sempre più verso soluzioni di valore, che garantiscano un risultato soddisfacente, sicuro e più rapido possibile: se questo poi si coniugherà ad una proposta che favorisca l’attenzione alla tematica ambientale e alla sicurezza, certamente il prodotto avrà una marcia in più, non soltanto per la rivendicazione in etichetta ma anche per la sensibilità collettiva più marcata in questo senso.


Coniugare dunque sostenibilità ed efficacia è la reale sfida che le Aziende del settore cosmetico dovranno concretamente affrontare attraverso soluzioni che mediante la concentrazione degli attivi renda più performante e anche più credibile la proposta.


L’utilizzo ad esempio degli scarti di alcuni prodotti alimentari (come la buccia della frutta, ricca in antociani e polifenoli o della verdura, ricca in polisaccaridi) può essere un modo di valorizzare e sfruttare al meglio risorse che apparentemente costituiscono soltanto dei rifiuti e che invece contengono molecole attive ad alta concentrazione, utilissime ai fini primari dello skin care: il “food by product” è una scelta futura nel nome della sostenibilità e della capacità prestazionale del cosmetico di domani, naturale prosecuzione di quella tendenza “in-and-out” che sempre più si afferma nell’ottica dei nuovi consumi.

Sostenibilita’ ed efficacia: 
il binomio per il cosmetico di domani