PROTEZIONE SOLARE SENZA IMPATTO SULL’AMBIENTE MARINO: UNA SFIDA NELL’ERA DEL CLIMA CHE CAMBIA

Ogni anno, decine di migliaia di tonnellate di prodotti solari finiscono in mare (1) in diversi modi: quando ci tuffiamo da riva, o da una barca, quando facciamo surf o ci sciacquiamo sotto una doccia sulla spiaggia. Anche la doccia di casa può contribuire: le creme solari dilavate dalla pelle raggiungono il mare attraverso gli scarichi domestici poiché i sistemi di depurazione non sono progettati per trattenerle (2).  

Molte sostanze presenti nei filtri solari, necessarie per proteggere la nostra pelle, hanno un effetto tossico anche a basse concentrazioni e i danni possono manifestarsi già entro 24 ore (3). È il caso dei coralli ma anche di organismi come la Posidonia oceanica (4)– pianta chiave per la protezione delle coste mediterranee – tartarughe marine, mitili e ricci di mare (5, 6, 7). Bastano quantità minime per provocare effetti biologici negativi, fino alla morte degli organismi colpiti (3). 

In un periodo in cui il cambiamento climatico grava profondamente sulla salute del nostro Pianeta, anche la semplice scelta di una crema solare può avere conseguenze importanti. Proteggere la pelle dai raggi UV è una priorità per la nostra salute ma è altrettanto importante considerare gli effetti che alcuni prodotti possono avere sugli ecosistemi marini. 

UNA DOPPIA RESPONSABILITÀ: PROTEZIONE PERSONALE E TUTELA DELL’AMBIENTE

Da oltre un decennio, molte aziende cosmetiche hanno iniziato a sviluppare prodotti solari sempre più sicuri per la nostra salute ma anche più rispettosi dell’ambiente. Questo è avvenuto grazie alla crescente consapevolezza dei consumatori, sempre più attenti alle problematiche ecologiche, ma anche a seguito del divieto di vendita di creme solari contenenti alcuni filtri UV organici (come ossibenzone, octinoxato e octocrilene) e conservanti (come i parabeni), in diverse parti del mondo. È il caso, ad esempio, dell’Hawaii's Reef Bill, una legge pionieristica approvata nel 2018 che vieta la vendita di creme solari contenenti ossibenzone e octinoxato considerati pericolosi per la vita marina.

Tuttavia, eliminare alcuni ingredienti dannosi per la natura non rende automaticamente un prodotto eco-compatibile. Spesso vengono sostituiti con altri filtri UV, come quelli inorganici che possono avere effetti ancora più gravi sugli ecosistemi marini come, ad esempio, l’ossido di zinco (8, 9). Inoltre, le formulazioni contengono tanti altri ingredienti (e.g., fragranze, conservanti, emollienti) che possono essere ugualmente tossici. Il loro effetto sulla vita marina e la loro interazione non possono essere predetti sulla carta ma devono essere valutati con test accurati. A complicare ulteriormente il quadro, c’è la diffusione del bluewashing (in analogia con il greenwashing): l’uso improprio di claim ecologici e diciture fuorvianti a scopo promozionale. Questa pratica confonde i consumatori e rallenta l’adozione di alternative realmente sostenibili.

UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA

PERCHÉ GLI OCEANI SONO SOTTO ASSEDIO: UNO SGUARDO AL MEDITERRANEO

Gli ecosistemi marini stanno affrontando nuove sfide sempre più minacciose. Le ondate di calore, ad esempio, sono sempre più frequenti anche in mare e possono causare mortalità massive in molte specie marine. La scorsa estate, ad esempio, nel Mediterraneo, la temperatura dell’acqua ha superato di 2-5 °C la media stagionale in molte aree, con picchi superiori ai 30°C nelle acque superficiali. Gli effetti più gravi registrati includono: morie di mitili, sbiancamento della Posidonia oceanica e proliferazione di mucillagini che per mesi hanno soffocato la vita sulle coste dell’Adriatico.

Il riscaldamento globale, insieme a una drastica riduzione dell’ossigeno disciolto in mare, favoriscono l'espansione delle cosiddette Oxygen Minimum Zones (OMZs) o zone morte. E questo è solo l’inizio della lunga lista dei “flagelli” che stanno mettendo sotto assedio gli ecosistemi marini. Le sostanze chimiche contenute nelle creme solari rischiano di accentuare la fragilità di questi ecosistemi già messi a dura prova dall’impatto combinato dei cambiamenti climatici e delle attività umane.

VERSO SOLUZIONI PIÙ ECO-COMPATIBILI, REGOLE PIÙ SPECIFICHE E RESPONSABILITÀ CONDIVISA

Per limitare i danni delle creme solari, è fondamentale che le aziende cosmetiche sviluppino prodotti realmente rispettosi dell’ambiente. Questo significa selezionare gli ingredienti con criteri rigorosi, effettuando test su organismi marini modello (non su specie d’acqua dolce che hanno caratteristiche biologiche molto diverse), ovviamente nel rispetto delle normative vigenti. È importante sottolineare che i test di biodegradabilità (secondo gli standard OCSE o OECD), per quanto utili, non sono sufficienti per definire un prodotto eco-compatibile: anche se un prodotto è biodegradabile al 90% in un giorno, quel 10% residuo è capace di causare la morte di un’intera colonia di corallo.

Serve, quindi, più trasparenza. I produttori dovrebbero sottoporre i loro prodotti solari a test eco-tossicologici affidabili, rendere noti i risultati e adottare certificazioni ambientali riconosciute. In questo modo, il consumatore può orientarsi nella scelta leggendo attentamente quanto dichiarato sulle confezioni dei prodotti. Purtroppo, un limite significativo è rappresentato dall’assenza di regolamenti nazionali e internazionali coerenti che stabiliscano criteri di eco-compatibilità per prodotti come le creme solari. Attualmente, la valutazione dell’impatto ambientale è lasciata all’iniziativa delle singole aziende, aprendo la porta a interpretazioni soggettive e comportamenti poco virtuosi.

L’applicazione del principio di precauzione ovvero “qualora vi siano minacce di danni gravi o irreversibili, la mancanza di una piena certezza scientifica non esonera gli Stati dall'adottare misure economicamente vantaggiose per prevenire il degrado ambientale” (10) rappresenta un importante punto di partenza per la transizione ecologica dei prodotti solari. Tale principio è parte integrante degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (11) e del New Green Deal europeo (12). In un contesto così vulnerabile, la prudenza non è un freno all’innovazione, ma una condizione essenziale per garantire la sostenibilità del Pianeta.

PROTEGGERE LA PELLE TUTELANDO IL MARE: LA SFIDA DEL FUTURO

Proteggere la pelle dal sole e tutelare il mare non sono due obiettivi in conflitto ma possono, anzi devono, coesistere. Per raggiungere questo scopo serve l’impegno congiunto di aziende, della ricerca, delle istituzioni e dei consumatori. Le imprese devono sviluppare formule effettivamente eco-compatibili anche con il supporto della ricerca; le istituzioni devono creare norme chiare e strumenti di controllo efficaci e i consumatori devono essere informati, consapevoli e responsabili nella scelta dei prodotti. In un mondo segnato da continui sconvolgimenti climatici e dagli impatti sempre più evidenti delle attività umane, anche scegliere la crema solare giusta è un gesto concreto che può preservare la nostra salute permettendo di proteggere la salute dei mari e della biodiversità, contribuendo a preservarne la bellezza e le funzioni ecologiche per le generazioni future.

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Creme solari

Ecosistemi marini

Filtri UV

Cambiamenti climatici

Bluewashing

L’utilizzo di prodotti solari, indispensabili per proteggere la pelle dai raggi UV, può avere gravi conseguenze sugli ecosistemi marini. Ogni anno, tonnellate di creme solari finiscono in mare, danneggiando coralli, Posidonia oceanica, tartarughe e altri organismi. In un periodo in cui il cambiamento climatico minaccia l'equilibrio del Pianeta, anche la scelta di una crema solare può fare la differenza. La crescente consapevolezza ambientale ha spinto l’industria cosmetica a sviluppare prodotti più sicuri, ma molti non sono ancora ecocompatibili. Questo è ostacolato dal bluewashing e dalla mancanza di normative specifiche. È fondamentale promuovere prodotti testati in modo affidabile, applicando il principio precauzionale. Proteggere la salute umana e del mare è una sfida condivisa che richiede responsabilità da aziende, istituzioni, ricerca e consumatori.

ABSTRACT