Cosmetica e tecnologia: quale tutela?

Secondo il rapporto 2020 di Cosmetica Italia relativo all’anno 2019,  l’industria cosmetica è un settore altamente innovativo. Investire in innovazione senza però approntare un’adeguata tutela non è operazione vincente in quanto si perde il vantaggio competitivo che dall’innovazione deriva.


È opportuno conoscere le alternative offerte dal Codice di proprietà industriale e i rispettivi vantaggi e svantaggi, per scegliere la tutela più confacente al singolo caso. Formulazioni, procedimenti, dati possono essere tutelati con un brevetto per invenzione o con il regime del segreto (c.d. know how).


Per potere brevettare un trovato o un procedimento è necessario che esso sia: a) nuovo, ossia che non sia compreso nello stato della tecnica; per stato della tecnica si intende tutto quello che è accessibile al pubblico, in Italia o all’estero, prima della data del deposito della domanda di brevetto; b) dotato di attività inventiva, ossia che la soluzione proposta dall’invenzione non risulti per un tecnico medio del ramo in modo evidente dallo stato della tecnica; c) dotato del requisito della industrialità, ossia che possa avere un’applicazione industriale.


L’invenzione comporta il deposito di un testo brevettuale in cui viene chiaramente descritta la parte innovativa del trovato o del procedimento ed esso, una volta depositato, viene reso di pubblico dominio (si veda ad es. il sito https://worldwide.espacenet.com/ ed in particolare questa sua webpage, una delle ultime domande di brevetto europeo depositata al momento della redazione del presente articolo tramite ricerca effettuata con la parola chiave “cosmetic”). Per un periodo di 20 anni dal deposito della domanda di brevetto la legge concede un diritto al titolare del brevetto di impedire che terzi ne facciano uso senza il suo consenso. Dopo tale periodo, esso diventa patrimonio comune della società e chiunque può riprodurre (senza consenso) la relativa invenzione.


Per ottenere tutela i segreti commerciali, ossia le informazioni aziendali (incluse quelle commerciali come ad es. le liste clienti) e le esperienze tecnico-industriali, devono essere: a) nuove, ossia non generalmente note o facilmente accessibili agli operatori del settore; b) avere un valore economico, ossia determinare un vantaggio competitivo; c) essere custodite in regime di segreto, ossia il titolare delle informazioni deve adottare proporzionate e adeguate misure volte a mantenere la segretezza delle informazioni (es. clausole contrattuali, archivi informatici ad accesso limitato, misure organizzative quali la predeterminazione della cerchia di collaboratori dell’impresa cui è consentita la conoscenza dell’informazione).


Il know how è caratterizzato dalla segretezza e conferisce al suo titolare un monopolio potenzialmente illimitato nel tempo (purché si riesca a mantenere il segreto); non vi sono costi da sostenere.


La scelta tra il brevetto e il know how varia in ragione di diversi fattori.


Anzitutto occorre valutare il fattore costi: è certamente meno costoso tutelare un’innovazione tecnologica tramite il know how piuttosto che tramite un brevetto. Per quest’ultimo, infatti, oltre ai costi iniziali di redazione del brevetto (che normalmente è affidata ad un consulente esterno) e di deposito, vi sono anche delle tasse annuali di mantenimento (peraltro non particolarmente alte). Ovviametne i costi aumentano in ragione del numero di Paesi in cui si intende ottenere la tutela brevettuale. Bisogna poi tenere conto che ogni invenzione può avere ad oggetto un unico trovato e quindi, ad esempio, per ogni formulazione è necessario un brevetto.


La tutela mediante know how non richiede, invece, investimenti economici particolari, se non eventualmente quelli necessari per organizzare le misure idonee a mantenere il segreto (es. l’acquisto di programmi informatici). Ovviamente, una volta individuate e messe in atto le misure volte a mantenere la segretezza, esse possono essere utilizzate per tutelare tutto il know how che si intende proteggere (e quindi ad esempio diverse formulazioni e/o procedimenti).


La tutela tramite il know how può risultare vantaggiosa anche in relazione al fattore tempo: subordinatamente al mantenimento del segreto, essa garantisce una tutela tendenzialmente perpetua (si pensi al segreto della Coca Cola che dura da oltre 130 anni), a fronte della tutela brevettuale che dura (solo) 20 anni.


Così il segreto - appunto in ragione dei costi contenuti - può essere una buona scelta in quei settori (come quello cosmetico) in cui le innovazioni si susseguono piuttosto rapidamente o quando l’innovazione non ha un particolare valore competitivo.


Infine, si può decidere di ricorrere al know how quando si ritenga che il trovato non avrebbe i requisiti necessari per ottenere un brevetto.


Ovviamente è anche possibile, e in alcuni casi indicato, scegliere la tutela brevettuale per la parte più importante dell’innovazione e una tutela in regime di segreto per il “non brevettabile”, ossia per il complesso di informazioni e conoscenze che integrano il brevetto e che non possono o non vogliono essere brevettate (così è possibile che in sede di deposito del brevetto si scelga di escludere dalle rivendicazioni dettagli che rischierebbero di delimitare eccessivamente l’ambito di tutela del brevetto).


Bisogna però considerare che, a fronte dei vantaggi sopra descritti, la tutela del know how è più fragile posto che, una volta che il segreto viene violato, si potrà certo ottenere un risarcimento per il danno (già) subito, ma il monopolio sarà irrimediabilmente perso.


In astratto la tutela che la legge riserva al brevetto e al know how è la medesima. Tuttavia, in concreto, è più facile dimostrare di essere titolari di un brevetto (quando si è in possesso del certificato di brevetto rilasciato dall’Autorità amministrativa, la validità del brevetto si presume, anche se è ammessa la prova contraria) che di un know how (per la dimostrazione del quale è necessario provare i requisiti sopra indicati).


Infine, è opportuno sottolineare che spesso le misure previste dal Governo nell’ottica di favorire gli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo sono le medesime (si pensi al c.d. Patent Box che prevede una tassazione significativamente agevolata per i redditi derivanti dall’utilizzo di brevetti, disegni e modelli industriali, nonché per i redditi provenienti dal know how, ove giuridicamente tutelabile).


Dunque, gli strumenti per tutelare l’innovazione esistono: è necessario scegliere, con l’aiuto di professionisti specializzati, quello più adatto al singolo caso e ciò al fine di massimizzarne il valore.

Etichettatura dei cosmetici:
alcuni importanti chiarimenti 
della Corte di Giustizia

La Corte di Giustizia UE, con sentenza del 17.12.2020, causa C-667/19, ha fornito alcuni chiarimenti con riferimento al REGOLAMENTO (CE) n. 1223/2009 del 30 novembre 2009 che si riferisce alla produzione, al confezionamento, alla distribuzione e alla vendita di cosmetici e che ha come scopo principale quello di tutelare la sicurezza dei consumatori.


In particolare, l’art. 19 di detto Regolamento stabilisce che - fatte salve le altre disposizioni contenute nell’art. 19 - i cosmetici possono essere immessi sul mercato soltanto se il contenitore a diretto contatto con il prodotto e l’imballaggio secondario (in genere l’astuccio) riportano alcune indicazioni obbligatorie, che devono essere scritte in caratteri indelebili e in modo facilmente leggibile e visibile. Sinteticamente, in etichetta i produttori devono riportare: a) il nome e l’indirizzo del responsabile dell’immissione sul mercato del prodotto cosmetico e il Paese d’origine per i prodotti fabbricati in Paesi non membri dell’Unione Europea; b) il contenuto nominale al momento del confezionamento, cioè la quantità di prodotto presente; c) la data di durata minima; d) le precauzioni per l’impiego; e) il numero del lotto di fabbricazione; f) la funzione del prodotto cosmetico, a meno che risulti dalla presentazione dello stesso; g) l’elenco degli ingredienti del prodotto nell’ordine decrescente di peso al momento dell’incorporazione che deve figurare solo sull’imballaggio.


La sentenza in questione ha precisato che il requisito di cui alla lettera f) («funzione del prodotto cosmetico») deve essere interpretato nel senso che l’indicazione che deve figurare sul recipiente e sull’imballaggio del prodotto, deve essere idonea a informare chiaramente il consumatore sull’uso e sulle modalità di impiego del prodotto al fine di garantire che il prodotto possa essere utilizzato in modo sicuro, e non può quindi limitarsi a menzionare gli scopi generici perseguiti con l’impiego del prodotto medesimo, quali quelli previsti per definizione di pulire, averne cura, proteggere, profumare, modificare l’aspetto del corpo o correggere il suo odore. Al fine quindi di valutare la correttezza dell’indicazione riportata sarà necessaria una valutazione caso per caso, in ragione delle specifiche caratteristiche e delle proprietà del prodotto nonché dell’aspettativa del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, affinché ne possa fare un uso esente da pericoli per la salute umana. 


La Corte di Giustizia ha anche stabilito che l’articolo 19, paragrafo 2, del Regolamento n. 1223/2009 deve essere interpretato nel senso che le indicazioni di cui all’articolo 19, paragrafo 1, lettere d) («precauzioni per l’impiego»), f) («funzione del prodotto cosmetico») e g) («elenco ingredienti») possono essere apposte su una fascetta o un cartellino allegati al prodotto medesimo in caso di “impossibilità pratica” ad apporle sulla confezione, ma non possono figurare in un catalogo aziendale al quale faccia riferimento il simbolo apposto sull’imballaggio previsto all’allegato VII (mano sovrapposta al libro). Al punto 48 della sentenza, la Corte ha anche precisato che «Poiché la nozione di “impossibilità” fa riferimento, in generale, a un dato di fatto sul quale colui che lo invoca non può influire, essa non può essere intesa nel senso che consente al fabbricante o al distributore di prodotti cosmetici, a causa del numero di lingue, dell’Unione o meno, che sceglie di utilizzare, di invocare a proprio piacimento un caso di impossibilità «dal punto di vista pratico», ai sensi dell’articolo 19, paragrafo 2, del regolamento n. 1223/2009 (v., per analogia, sentenza del 13 settembre 2001, Schwarzkopf, C-169/99, EU:C:2001:439, punto 35)».