Il capello resiliente
Anni fa, subito dopo un decollo da incubo durante una tempesta, tornavo da Copenaghen, bucate le nubi e raggiunta la calma il comandante dell’aereo lanciò un appello chiedendo urgente assistenza medica per un passeggero che si era sentito male.
Quale non fu la sorpresa nel vedere un ragazzo magro e allampanato, con lunga capigliatura “rasta” (ved. Bob Marley), abbigliamento di fantasia, arrivare tranquillo dal poveretto e rimetterlo in sesto in pochi minuti.
Era un medico.
Alla partenza l’avevo giudicato un perdigiorno.
Una lezione salutare. Mai giudicare dalle apparenze.
Ho ricordato questo episodio un giorno in cui seduto all’esterno di un bar sono passati due ragazzi dalle analoghe capigliature seguiti dai commenti sarcastici di alcuni clienti.
Eppure una verità questi due episodi ce la dicono: i capelli parlano di noi.
Al punto tale che una capigliatura può segnare anche la storia.
Antenati preistorici irsuti, antichi greci e romani con capelli corti e guance accuratamente rasate, matrone con acconciature elaborate, egizi con il cranio rasato, le parrucche del ‘600/’700 finite nel cesto della ghigliottina della rivoluzione francese, i lunghi capelli dell’era hippy seguiti dal riflusso yuppy ecc…
La capigliatura assume simbologie e valenze religiose, come il biblico Sansone e i nazirei che dovevano tenere i capelli lunghi dalla nascita o i Sikh indiani con i loro bellissimi turbanti colorati.
Una testa rasata può essere iconica grazie ad un divo della epopea hollywoodiana come Yul Brinner.
Ma può anche suscitare inquietudine in una banda scatenata di Skinheads.
Oppure orrore e sgomento come l’annichilimento inflitto ai prigionieri nei campi di concentramento.
Una testa senza capelli può esprimere la sofferenza di una patologia grave e un capello disordinato può dirci di una persona che è un artista, un semplice disordinato o un depresso.
Non ci sono dubbi: i capelli “siamo” noi!
Uno dei drammi psichici portati dai lockdown del Covid, è stata, almeno in Italia nella prima ondata, la chiusura dei saloni di bellezza, acconciatori, barbieri, estetisti.
Si potrà anche scherzare con gli amici sul fatto che non potendo andare dal parrucchiere ci si sia arrangiati in casa con esiti non sempre brillanti.
Ma è un fatto che l’impossibilità di curare il nostro capello ha prodotto forti disagi interiori.
Fabio Franchina, presidente di Framesi, storica azienda leader nella fornitura di prodotti per l’acconciatura professionale, in una intervista ci ha spiegato come l’andare dal parrucchiere sia (non solo per la donna, il comparto maschile è florido e vivace), un momento di ristoro e benessere, una sosta in cui ci si dedica del tempo mettendoci con fiducia nelle mani di una persona che per qualche minuto diventa amica e con la quale, inevitabilmente, stabiliamo un momentaneo rapporto di confidenza e intimità che ci fa uscire dal salone belli fuori e più belli dentro.
Situazione che un trattamento fai-da-te, per quanto bene sia fatto, non potrà mai realizzare.
Molto opportunamente Fabio Franchina mi ricordava un detto inglese che definisce “good o bad hair day” una giornata buona o cattiva.
Credo che un good hair day oggi lo associamo anche semplicemente ad una giornata fatta di quelle piccole cose e gesti cui fino a ieri non davamo molto peso, come un “banale” espresso consumato al bancone del bar.
Diciamolo: chiusi in casa obbligati allo smartworking, al di là degli spot che ne esaltano gli aspetti positivi, tendiamo tutti a lasciarci un po' andare.
Se sai che non puoi uscire difficilmente avrai molta voglia di avere cura di te.
In questo contesto il capello diventa fatalmente una delle prime avvisaglie dell’insorgenza di uno stato d’animo negativo .
Che i fenomeni depressivi legati al Covid siano in preoccupante aumento è un fatto conclamato dalle riviste leader della informazione medico-scientifica.
Non vorrei essere esagerato, ma mi sento abbastanza convinto nel vedere in una capigliatura trascurata un segnale che ci dice che è il momento di reagire.
Dall’inizio della pandemia sentiamo praticamente ogni giorno, in tanti contesti anche lontani tra loro, l’uso del termine resilienza.
Semplificando al massimo la resilienza è la capacità di reagire in modo creativo ad una situazione avversa.
Ebbene sono convinto che la resilienza abbia un ottimo alleato in bagno o nelle “petineuse” di casa, ammesso che questo elemento di arredamento esista ancora.
Tecnicamente la “petineuse”, è un mobile, oggi caduto in disuso, destinato ad ospitare cosmetici, profumi. Per me ragazzino era un luogo incantato e profumato, soffocato da spazzole e creme nella casa della nonna dal quale le mie zie si alzavano soddisfatte, un ultimo vezzoso sguardo allo specchio, pronte ad affrontare la giornata.
Ebbene, non dico di acquistare una petineuse, tuttavia credo che oggi sia importante per tutti mettere nella cassetta degli attrezzi del nostro “kit resilienza”, insieme ad una connessione internet veloce e pc affidabili, anche abitudini che ci portino ad iniziare la giornata con una attitudine se non proprio ridanciana almeno sorridente, e va da sé che l’aspetto esteriore gioca la sua parte.
Come già detto questo vale per tutti e non ha genere: il comparto cosmetico maschile sta crescendo insieme al fenomeno dei barber (shops), saloni caratterizzati solitamente da un accattivante appealing vintage che richiama cuoio, viaggi e di conseguenza, non è casuale, un senso di spazi ed evasione!
Ed ecco la mia esortazione: andiamo a trovare i nostri amici acconciatori! Ci farà bene e daremo anche supporto a un settore colpito duramente dalla pandemia.
Ho sotto gli occhi recenti dati di Cosmetica Italia sul mondo della acconciatura e i numeri sono molto più che sconfortanti. Gli scostamenti percentuali rispetto all’anno precedente sono negativi a due cifre. La forzata chiusura, la mancanza di liquidità, la necessità di investimenti per mettere in sicurezza gli ambienti (ci sono saloni che di primo acchito sembrano ambulatori medici), soprattutto la mancanza di clienti, impauriti da possibili rischi, hanno portato non solo a riduzione del lavoro, ma anche perdita di lavoro, chiusura di saloni. Ma, male nel male, anche all’aumento dell’abusivismo.
Abusivismo che non è solo un comportamento da stigmatizzare per tutte le considerazioni etico-economiche che sappiamo, ma che può anche, questo sì, rappresentare un ulteriore elemento di rischio per carenza di sicurezza igienico-sanitaria in una situazione globale già fin troppo critica.
Quindi coraggio!
Torniamo dalla nostra amica parrucchiera, dal nostro amico barbiere!
Oltretutto diventa anche un salutare momento di socialità.
Solitamente col mio barbiere viviamo sempre un proficuo scambio di opinioni sulla situazione politica che in realtà lascia abbastanza indifferenti i nostri governanti di turno (la chiacchiera da salone è sempre democraticamente bi-partisan), ma almeno ci concede un momento di sfogo.
Ultima nota in questo appello alla resilienza cutanea: non lesiniamo nelle nostre scelte e adottiamo sempre prodotti di qualità!
In Italia, al di là che un prodotto sia più o meno caro, l’offerta è amplissima e abbiamo uno standard qualitativo, l’abbondanza di superlativi ci sta, elevatissimo: dal nostro Paese partono prodotti che sono indossati in tutto il mondo sotto tutte le latitudini.
In ogni confezione ci sono investimenti enormi in ricerca, test di sicurezza e affidabilità, tecnologie produttive.
In conclusione, un capello resiliente sostiene, da solo pensate!, un comparto che è un vanto nazionale.
Se facciamo nostra questa verità sono certo che guarderemo con maggiore indulgenza e, chissà, anche con simpatia, il ragazzo che ci passa accanto con la capigliatura al vento e la chitarra a tracolla facendoci intravedere i segni di quella primavera che tutti stiamo aspettando con ansia e desiderio.
Giulio Fezzardini
Redazione BH Italia
TKS Publisher
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