Una giornata con Renato Ancorotti
Presidente di Ancorotti Cosmetics Srl
QUEL CHE RESTA DEL GIORNO
“Quel che resta del giorno” è il terzo romanzo dello scrittore Kazuo Ishiguro, pubblicato nel 1989. Quello stesso anno l’opera vinse il premio Booker e di fatto, sancì il primo vero successo dell’autore. “Quel che resta del giorno” racconta il viaggio nei ricordi di Stevens, maggiordomo inglese al servizio di un uomo moralmente discutibile. Stevens ha attraversato l'esistenza spinto da un unico ideale: quello di rispettare una certa tradizione e di difenderla a dispetto degli altri e del tempo, mentre assiste ai cambiamenti sociali e politici del suo paese. Ma il viaggio in automobile verso la Cornovaglia lo costringe ben presto a rivedere il suo passato; e così, tra dubbi e ricordi dolorosi egli si accorge dì aver vissuto come un soldato nell'adempimento di un dovere.
Si può cambiare improvvisamente vita e ricominciare daccapo? Cosa mai c’è da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state proprio quelle che avremmo desiderato?
Il decennio fra gli anni ‘70 e ’80 in URSS fu il periodo della stagnazione Brežneviana e dei cambiamenti radicali di Gorbačev. Ciascuno oggi ha la facoltà di interpretare questo momento storico secondo la propria opinione, ma in tutti i casi si è trattato di una fase di grande passaggio nella vita di questo paese.
La riforma economica di quegli anni mirava a dare nuovo impulso allo sviluppo attraverso l’intensificazione industriale e l’introduzione di iniziative di autofinanziamento all’interno delle imprese. Sul piano culturale si tornò ad una politica repressiva. Partito e società erano sempre più distanti anche per via di un controllo poliziesco sempre più stringente che reprimeva ogni forma di dissenso e libera espressione.
Sul piano globale, la questione cruciale fu il processo d’integrazione dell’Unione Sovietica nell’economia mondiale; negli anni ’70-’80 fu chiaro che “l’universo economico separato del ‘campo socialista’ stava integrandosi nella più vasta economia mondiale. [...] Questa integrazione fu l’inizio della fine [...]”. Infatti l’URSS si inseriva in un mercato che, lungi dall’essere “neutro”, era il mercato mondiale capitalistico, con leggi di funzionamento sue proprie, il che determinava vari scompensi per l’economia sovietica.
Gli anni 70 in Russia erano anche gli anni di donne eleganti e alla moda; erano gli anni delle acconciature cotonate e dei raffinati foulard…
Il 22 settembre 2020, Renato Ancorotti mi riceve nel suo studio. Vorremmo parlarvi di Renato Ancorotti in modo inedito. Chi è Renato Ancorotti? Qual è stato il suo percorso personale?
“Ho capito”, risponde lui. “Volete sapere quel che resta del giorno”...
“La mia vita personale si è legata profondamente alla mia vita professionale e di fatto, le due sono sempre andate di pari passo; i viaggi di lavoro infatti, si sono spesso e volentieri tramutati in viaggi di interesse personale che mi hanno dato modo di esplorare realtà e culture. Il mio primo viaggio importante lo feci all’età di 16 anni, nell’inverno del 1973.
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Andai in Russia ad accompagnare un conoscente la cui figlia si trovava a Mosca per motivi di studio. Ebbi così l’occasione di conoscere da vicino una realtà culturale nuova per me, fortemente impregnata del regime politico vigente”.
Seduta di fronte al mio interlocutore, prendo appunti: Mosca, 1973 – quanto basta per ricordarmi questa prima tappa. Ascolto il mio oratore, che con dovizia di particolari mi racconta episodi e vicissitudini del suo viaggio. E’ un buon punto di partenza, penso tra me e me, farò un punto elenco cronologico. Mi accingo quindi a marcare la seconda spunta sul mio foglio, certa che adesso passeremo allo step successivo, quando Renato Ancorotti si china per aprire un cassetto dal quale estrae un quaderno. Mi mostra fotografie, appunti e stampe del suo viaggio in Unione Sovietica: mi racconta la storia di questo paese, delle personalità che hanno fatto la storia di questa nazione; mi parla della realtà all’epoca di Brežnev; mi parla di Mosca, delle complessità di questa città a quel tempo; mi parla della Piazza Rossa, dei regimi politici che fortemente impregnavano la vita, anche culturale, della città. Mi parla di esponenti del Partito, di intelligentia e di scrittori russi. Mi parla del Teatro Bol'šoj, e mi parla di Spartak, un balletto in quattro atti e nove quadri. Me ne descrive le complessità artistiche. Mi mostra la locandina originale dell’epoca. Mi racconta dei ballerini del tempo e delle loro rispettive carriere. Mi racconta ciò che ha visto e ciò che ha conosciuto e respirato per le strade di Mosca.
Ascolto, ma qualcosa mi induce a distogliere lo sguardo che fino ad ora ho tenuto fisso negli occhi del mio oratore e a guardarmi intorno.
Alle mie spalle e alla mia sinistra, le pareti sono fittamente colme di fotografie accuratamente incorniciate. La parete dinnanzi a me invece, alle spalle della scrivania di Renato Ancorotti, ospita una libreria. Cerco di carpire i titoli, ma sono troppo distante, quel che è certo è che vi sono libri di diversa natura: libri di cosmetica, cataloghi, libri di storia, di arte, thriller e narrativa… Accanto alla libreria vi è un mobile lungo e basso sul quale trovano posto altre fotografie e piccoli oggetti. Una collezione di cornetti rossi! E una di tartarughe! di varie fogge e dimensioni… tutto disposto con cura e precisione.
Mi sono distratta – cerco di tornare al mio oratore… mi sono persa parte del racconto sull’Unione Sovietica… mannaggia a me. Ma gli sorrido: ho capito. Adesso ho capito. La storia di Renato Ancorotti è qui davanti ai miei occhi, racchiusa fra queste mura, tra le fotografie, tra i suoi libri, nei suoi oggetti. Qui tutto ha un ordine preciso e ragionato. Ogni pezzo ha il suo perché e la sua storia.
Ecco dunque quel che resta del giorno.
Cosa mai c’è da guadagnare nel guardarsi continuamente alle spalle
e a prendercela con noi stessi se le nostre vite non sono state
proprio quelle che avremmo desiderato?
Al contrario di Stevens, penso che la vita di Renato Ancorotti, sia proprio quella che avrebbe voluto vivere; una vita di curiosità, di forti passioni e di amore per tutto ciò che ha visto, vissuto e fatto, e di cui custodisce ogni prezioso ricordo.
La mattinata scorre veloce fra ricordi e conversazioni di carattere generale e io continuo a chiedermi cosa mai riuscirò a scrivere di tutto questo. Provo a riportare la conversazione su un ordine cronologico che possa fornirmi qualche spunto per scrivere questa intervista. "Accidenti al giorno in cui abbiamo deciso di fare tutto questo", penso! La mia difficoltà è forse così evidente che Renato Ancorotti si sente di rassicurarmi dicendomi che a pranzo avremo modo di soddisfare tutte le mie curiosità.
Per fare il petto di faraona in carpione raschiate le carote, quindi tagliatele a julienne. Spuntate e tagliate allo stesso modo le zucchine. Affettate la cipolla. Fatela appassire in 3 cucchiai d’olio extravergine d’oliva con le verdure tagliate. Bagnate con 2 dita d’aceto, spolverate di zucchero, sale, poi unite una foglia d’alloro. Lasciate cuocere il tutto per 5 minuti circa, badando che le verdure restino croccanti. Tagliate a pezzi il petto di faraona e sistematelo in un recipiente di coccio. Ricopritelo con la marinata di verdure e lasciatelo insaporire almeno 15 minuti, prima di servirlo.
Avevo già avuto modo di visitare lo stabilimento produttivo della Ancorotti Cosmetics lo scorso anno, dunque sapevo già ciò che avrei trovato varcando quella soglia. Eppure ancora una volta mi stavo sbagliando. Passiamo dal magazzino, superiamo lo smistamento delle materie prime in entrata, siamo nel cuore della produzione, lì dove innumerevoli prodotti di makeup prendono forma e sono pronti per approdare sui mercati di tutto il mondo. Tecnologia, avanguardia, ricerca, lavoro e dedizione. Sappiamo bene cosa avviene qui dentro ma paradossalmente non è questo ciò che mi colpisce – conosciamo tutti bene questa realtà e l’importanza di questa Azienda nel panorama italiano e mondiale. Oggi però, io ho avuto un enorme privilegio, quello di percorrere queste superfici accanto al suo Fondatore. Ci illustra ogni singolo macchinario, ci spiega e ci mostra il funzionamento esatto di ciascuno di essi e ci racconta il processo produttivo di ogni articolo di makeup. Prende fra le mani un pezzo appena uscito, è una palette di ombretti sui toni caldi della terra. La osserva “sembra un vassoio di dolcetti” dice. Ne è profondamente innamorato, penso.
La vicenda di Renato Ancorotti dagli anni 80 in poi è cosa nota. La storia che dal 1984 lo conduce dalla creazione di Gamma Croma, alla fondazione della Ancorotti Cosmetics, nel 2009, insieme alla figlia Enrica, la conosciamo tutti. Mi pare addirittura superfluo, seppur doveroso, ricordarvi il ruolo che Renato Ancorotti ha storicamente avuto ed ha, come ambasciatore del Made in Italy nel mondo. Lui, il Re del Mascara, che per tutti noi connazionali è motivo di orgoglio e simbolo di quella visionaria inventiva e creatività tutta italiana che il mondo così tanto ci invidia. Lui, il cui impegno sociale lo ha più volte visto in prima linea a sostegno della collettività e del territorio prima cremasco, poi italiano, a cui è profondamente legato. Il recupero di aree cadute in disuso (come l’ex stabilimento Olivetti), la creazione di asili per i figli dei dipendenti (la nascita del primo asilo nido aziendale provinciale di Crema), il suo impegno ad accogliere lavoratori che avevano perso il lavoro (progetto Rete per la Cosmesi, 2017), la sua dedizione nel partecipare alla creazione di nuovi corsi ad elevata specializzazione per i giovani laureati (creazione del primo ITS dedicato alla produzione cosmetica 4.0)… tante cose potremmo dirvi di Renato Ancorotti ma vi basterebbe aprire una qualsiasi pagina web per leggere di lui.
Come avrete avuto modo di capire, a pranzo io non ebbi mai le risposte alle mie curiosità.
Quel giorno, Renato Ancorotti e io, mangiammo della faraona in carpione in una cascina di Crema. Il 22 settembre fu una giornata calda e l’autunno sembrava ancora lontano. Parlammo di tante cose: parlammo del mercato cosmetico, parlammo di covid-19 e parlammo di noi.
Non parlammo mai delle mie curiosità. Tantomeno parlammo della nostra intervista.
Il cartello autostradale Barriera di Milano svetta ora dinnanzi ai miei occhi mentre io continuo a chiedermi cosa potrei raccontarvi di questa giornata. Quali domande abbiamo posto e quali risposte abbiamo avuto? Alla fine di questa giornata, sul mio quaderno degli appunti compare solo una scritta: Mosca, 1973. Se il mio intento era dunque quello di raccontarvi le vicende di Renato Ancorotti, allora ho clamorosamente fallito l’obiettivo e il mio lettore ne resterà deluso.
Ma Eugenio Montale scrisse a suo tempo una poesia che recita così:
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[…] Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
si qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti: non fate domande riguardo il senso della vita, dal momento che egli non è in grado di dare una risposta, se non qualche nozione soggettiva.
Quello che scoprii di Renato Ancorotti fu soltanto che è un amante del jazz e un grande appassionato di storia. Al punto tale che se avesse dovuto forzatamente immaginare una vita diversa per se stesso, avrebbe voluto fare l’insegnante di storia. In tutta onestà, a me la storia non è mai piaciuta un gran che, quando andavo a scuola. Pur avendo un’ottima memoria ho sempre fatto un po’ fatica ad appassionarmi a quel susseguirsi di date ed eventi riportati sui libri, e che mi risultavano di scarso interesse... mi viene però il sospetto che se Renato Ancorotti fosse stato un professore di storia, ci avrebbe appassionato tutti a questa materia. Forse perché lui la ama, e come sempre accade, quando vi è amore in ciò che si fa, si riesce a trasmetterlo al prossimo.
Ci sono persone che non possono essere intervistate, o meglio, che non possono essere raccontate attraverso i canonici meccanismi editoriali dell’intervista. Ci sono personalità così articolate, complesse e profonde che vanno solo vissute, ascoltate ed osservate perché saranno queste cose nel loro insieme a darci le risposte che stiamo cercando e numerosi saranno gli insegnamenti che ne trarremo.
Intelligenza, passione, dedizione, lavoro, visione, estrosità, carisma, curiosità, umanità, sono gli ingredienti che formano la complessa personalità di questo grande imprenditore che prima di tutto è un grande uomo e un vero fuoriclasse.
Ah… naturalmente tutto ciò sarebbe nulla senza l’ingrediente segreto: l’amore!
Non è un elevato grado di intelligenza, e nemmeno l’immaginazione,
e nemmeno le due cose assieme che creano un genio.
Amore, amore, amore, quella è l’anima del genio.
[Wolfgang Amadeus Mozart]
Sara Corigliano
Project leader "Italia"
TKS Publisher | Italia
Testo a cura di