NEUROCOSMESI:

IL BUONUMORE

PASSA ANCHE DA QUI?

Negli ultimi anni il panorama cosmetico si è arricchito di nuovi termini, che fanno riferimento alle più recenti scoperte sulla relazione tra pelle e sistema nervoso centrale: troppo spesso, tuttavia, parole come neurocosmesi, cosmesi del buonumore, neuroscienza cosmetica – per citarne alcune - sono utilizzate in modo poco chiaro e con finalità di marketing, piuttosto che di reale corrispondenza con la ricerca scientifica. 


Per quanto concerne la neurocosmesi, in particolare, la confusione deriva probabilmente dal fatto che non esista ancora una definizione ufficiale. Dal punto di vista legislativo, termini quali neurocosmetico, cosmeceutico, dermocosmetico rientrano nella definizione generale di cosmetico, che – come riportato dal Regolamento Europeo 1223/2009 – si riferisce a “qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei”. Per definizione, il cosmetico non ha né può vantare proprietà terapeutiche. 

La Commissione Europea ha pubblicato una guida, periodicamente aggiornata, con l’intento di facilitare l’orientamento in caso di prodotti cosiddetti “borderline”, che per tipologia e funzione potrebbero non rientrare perfettamente nella descrizione sopra riportata: essa tuttavia non ha valore legale e non prescinde dalla valutazione, caso per caso, che le autorità competenti a livello nazionale devono effettuare in presenza di ingredienti o formulati di non chiara classificazione [10]. 


Dal punto di vista strettamente scientifico, invece, la prima definizione di neurocosmetico è stata fornita da Laurent Misery, professore di dermatologia e venereologia e studioso delle interazioni tra neuroni e cheratinociti, in un articolo pubblicato nel 2002, dal titolo molto evocativo, “Nervi a fior di pelle” [1]. Il prof. Misery descrive il neurocosmetico come un prodotto che, applicato sulla pelle, è in grado di agire sul sistema nervoso cutaneo o sui mediatori presenti a livello cutaneo: non si tratta quindi di una reazione psicologica, ma di un vero e proprio effetto biochimico.   

In base a quanto riportato, dunque, il neurocosmetico rientrerebbe a pieno titolo nella definizione di cosmetico – in riferimento all’applicazione locale e alla non distribuzione a livello sistemico – ma con la specifica prerogativa di interagire con il sistema nervoso cutaneo. 


    INTRODUZIONE  

    La pelle è il principale organo di rivestimento del corpo umano, ma le sue funzioni vanno ben oltre il mero involucro: essa agisce come barriera dagli attacchi di patogeni esterni, protegge dalle radiazioni solari grazie alla sintesi di melanina, ha funzione termoregolatrice, mantiene il giusto grado di idratazione corporea, è sede di sintesi della vitamina D, in essa risiedono cellule del sistema immunitario (macrofagi e linfociti).  


    Attraverso la funzione sensoriale, poi, tattile e olfattiva, la pelle è in grado di raccogliere stimoli che, tramite opportuni mediatori, vengono tradotti in segnali per il sistema nervoso centrale, che a sua volta può generare risposte positive o di allerta. Dei 200 mediatori ad oggi conosciuti, ben 25 sono espressi anche a livello cutaneo: si tratta di neuropeptidi (sostanza P), bradichinine, catecolamine, endorfine, acetilcolina – per citarne alcuni [2].   


    Queste interconnessioni portarono lo stesso prof. Misery a formulare, già alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, il concetto di sistema neuro-immuno-cutaneo (NICS) [3], oggi pienamente riconosciuto (ed esteso anche al sistema endocrino, con l’acronimo NICE): la pelle è un vero e proprio organo sensoriale in grado di interagire con il sistema nervoso, il sistema endocrino e quello immunitario, al fine di mantenere l’omeostasi, ossia l’equilibrio di tutto il corpo. 


    Le funzioni della pelle non finiscono qui: essa rappresenta anche la manifestazione del nostro stato di salute interiore, sia dal punto di vista organico che emozionale. In passato si conoscevano già molte malattie organiche che producevano effetti caratteristici a livello cutaneo: si pensi alla pellagra, al vaiolo, all’ittero, alle malattie esantematiche. In epoca più recente sono stati via via riconosciuti alcuni disturbi cutanei come manifestazioni esterne di disagi di origine psicologica: tra essi eczema, orticaria, dermatiti, alopecia, alcune forme di acne, psoriasi. 

    Anche senza scomodare la sfera più strettamente patologica, è evidente come molti stati d’animo si riflettano a livello cutaneo: vasocostrizione e arrossamento per vergogna o timidezza, sudorazione in risposta a disagio o paura -e così via.


    La pelle è dunque un organo molto complesso; le sue interconnessioni con il sistema nervoso rappresentano un filone di ricerca relativamente nuovo ed estremamente affascinante, all’interno del quale si inserisce di diritto anche la ricerca cosmetica, con la nuova frontiera della neurocosmesi. 

    LA PELLE: UN UNIVERSO DI FUNZIONI 

    SONJA BELLOMI

    Fondazione ITS Biotecnologie e Nuove Scienze della Vita Piemonte | Italia

    Bio...

    Sulla base della definizione fornita dal prof. Misery, un neurocosmetico è tale se, a seguito dell’applicazione topica, è in grado di interagire con il sistema neuro-immuno-cutaneo (NICS) a livello dell’epidermide, agendo su problematiche di tipo estetico o, comunque, locale. 

    Questa interazione può avvenire sostanzialmente in due modi: 

    • Modulazione del rilascio dei neurotrasmettitori per azione diretta sulle terminazioni nervose della cute (presenti ovunque ad eccezione dello strato corneo); 

    • Azione agonista o antagonista sui recettori dei neurotrasmettitori, con azione indiretta sugli effetti da essi mediati 

    Esistono numerose sostanze funzionali che possono a buon diritto rientrare nella definizione di neurocosmetici: ne verranno descritte alcune qui di seguito, con la consapevolezza che la lista – dato il crescente interesse per la materia – è in continua evoluzione e dunque tutt’altro che esaustiva. 


    Una prima classe di neurocosmetici riguarda le molecole in grado di agire a livello delle terminazioni nervose dei neuroni sensoriali – quelli deputati alla percezione di caldo/ freddo (termorecettori), di stimoli dolorosi (nocicettori) o di stimoli pressori (meccanocettori). Modulando la reazione di questi neuroni, si può intervenire su manifestazioni cutanee quali prurito, bruciore, rossore –che, oltre alla sensazione sgradevole, causano spesso disagio anche dal punto di vista estetico e dunque relazionale. 

    Un esempio tipico è rappresentato dal mentolo, che agisce provocando una sensazione di fresco immediatamente percepibile, tramite l’attivazione dei recettori canale di tipo TRPM-8 [4]. 


    Le sostanze botulino-simili agiscono direttamente sui motoneuroni presenti a livello cutaneo, inducendo rilassamento muscolare e di conseguenza attenuando la visibilità delle rughe [2]. 


    I peptidi biomimetici, di derivazione sintetica o naturale, possono agire come neuromodulatori a livello cutaneo: si tratta di piccole molecole, costituite da brevi sequenze amminoacidiche, in grado di simulare l’azione delle proteine endogene, aventi come porzione funzionale la stessa sequenza amminoacidica. Un esempio è costituito dal Palmytoil Pentapeptide-4 o dal Palmitoyl Tripeptide-28, peptidi biomimetici in grado di stimolare la sintesi del collagene – proteina fondamentale per il mantenimento del tono cutaneo ma che, in ragione delle elevate dimensioni, non potrebbe essere assorbita dalla pelle. In caso di ridotta sintesi del collagene, caratteristica delle pelli più mature, i peptidi biomimetici costituiscono dunque un interessante approccio nell’ambito della cosmetica antiage [5,6]. 


    Anche le neurotrofine stanno destando notevole interesse in campo neurocosmetico: si tratta di una famiglia di peptidi cui appartiene il noto NGF, il fattore di crescita neuronale, necessario per la crescita e la sopravvivenza di molte cellule nervose, tra cui quelle cutanee. A livello dei cheratinociti, per esempio, l’NGF promuove la proliferazione cellulare e protegge dai danni indotti dalle radiazioni UV, mentre nei fibroblasti promuove le reazioni volte alla guarigione delle ferite. Con l’avanzare dell’età i livelli di NGF diminuiscono fisiologicamente: lo studio di molecole che possano mimarne gli effetti a livello cutaneo rappresenta un altro potenziale campo di applicazione nel quale si sta muovendo la ricerca neurocosmetica [7,8].  


    Come appare evidente dagli esempi sopra menzionati, lo studio dei neurocosmetici si è concentrato finora principalmente sul settore antiage, ma i campi di applicazione sono potenzialmente molto numerosi, compreso il mantenimento dell’omeostasi cutanea, la prevenzione dei danni prodotti da fattori stressogeni esterni o interni, il trattamento cosmetico degli inestetismi della cute o di fenomeni di ipersensibilità cutanea [2].  


    PELLE E SISTEMA NERVOSO: IL TARGET DELLA NEUROCOSMESI 

    Non è raro trovare in commercio cosmetici definiti “della felicità”, “del buonumore” o addirittura “antidepressivi”, in virtù di ingredienti presenti all’interno della formulazione, con vera o presunta azione sul sistema nervoso cutaneo. In realtà, le sensazioni di piacevolezza e persino di miglioramento del tono dell’umore, generate dall’applicazione di un cosmetico, non necessariamente appartengono alla sfera della neurocosmesi.  


    Il fraintendimento deriva probabilmente dal fatto che alcuni neurotrasmettitori legati alla sensazione di benessere, prodotti a livello centrale (endorfine, serotonina, dopamina), possono essere rilasciati, a livello locale, anche da specifiche cellule cutanee. Nell’epidermide, tuttavia, questi neurotrasmettitori mediano effetti differenti da quelli centrali: la dopamina, per esempio, a livello cutaneo produce aumento dell’afflusso di sangue e un miglioramento della funzione di barriera dell’epidermide [2].  

    Tutto ciò ha erroneamente indotto a pensare che l’aumento di concentrazione di questi neurotrasmettitori nella cute – mediato dall’utilizzo di opportuni neurocosmetici – possa avere ripercussioni dirette sul tono dell’umore. In realtà, l’effetto del neurocosmetico (così come quello di qualsiasi prodotto cosmetico) può e deve avvenire solo a livello locale: in caso contrario, si sconfinerebbe nell’ambito farmaceutico. 


    E’ vero che l’applicazione di un cosmetico - neuro o tradizionale che sia – può suscitare una sensazione di benessere generale, ma il fenomeno è legato a un ambito diverso, quello della cosiddetta psicocosmesi: texture, colori, profumi utilizzati nei prodotti per la cura della persona generano sensazioni positive, legate all’immagine di sé e all’autostima, ma che non derivano da un’azione diretta a livello neuronale locale [9].  

    NEUROCOSMESI: COSMESI DELLA FELICITÀ? 

    Le recenti scoperte riguardo le interconnessioni tra pelle e cervello rappresentano un potenziale di grande interesse per l’industria cosmetica. Il settore tuttavia, appare ancora scarsamente regolamentato e molto spesso i claims pubblicitari riguardo cosmetici con presunta azione “euforizzante” o “antidepressiva” generano confusione e fraintendimenti sulle peculiarità del prodotto e sui risultati attesi, non solo nel consumatore finale ma anche tra gli stessi addetti ai lavori. 


    In definitiva, se da un lato la neurocosmesi rappresenta un settore di ricerca estremamente innovativo e promettente, dall’altro è necessario fare chiarezza su diversi aspetti ancora poco definiti – primo fra tutti la distinzione tra sostanze funzionali in grado di interagire effettivamente con il sistema nervoso cutaneo e ingredienti o formulati che agiscono, sì, sul piano sensoriale, ma che interessano la sfera psicologica piuttosto che quella strettamente biochimica a livello locale. 

    CONCLUSIONI

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    NEUROCOSMETICA

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