Editoriale

Silvana Maini

Direttore editoriale

TKS Publisher

Italia

Pochi termini oggi risultano così ambigui nella comune percezione come quello di “globalizzazione”.


Se ci troviamo nel centro di Shanghai - spero vivamente di tornarci presto - nel vedere negozi e marchi europei, esprimiamo nostalgia per un tempo passato in cui potevamo imbatterci a sorpresa nel negozietto di prodotti di artigianato locale.

Di contro magari il turista cinese si stupirà nell’arrivare a Venezia e trovarsi gondole-souvenirs fatte nel suo Paese.

La globalizzazione come spersonalizzazione è un sentire abbastanza diffuso e anche contradditorio, perché ormai siamo abituati ad avere certi frutti tutto l’anno e gli ultimi ritrovati della tecnica a casa nostra in tempo reale mentre andando in un Paese esotico vorremmo trovare per portarceli a casa, solo prodotti artigianali autoctoni.

Dobbiamo essere realisti.

E oggi la realtà ci dice che l’avere tutto quello che abbiamo in termini di prodotti, tecnologie, è possibile perché un sistema produttivo globalizzato lo permette.

Detto ciò i benefici della globalizzazione ci sono e sono tanti.


Parliamo di pandemia ed integratori nutrizionali.

Un integratore è prodotto anche grazie a tante materie prime vegetali che provengano da molti paesi lontani dalla Europa, come il Far East.

La crescente domanda di questi ingredienti ha attivato molte dinamiche virtuose.

Da parte nostra, dal “versante occidentale”, assistiamo ad una sempre più crescente consapevolezza verso i loro benefici sulla nostra salute.

Dall’altra parte si è sviluppata una economia di zona di cui beneficiano anche i Paesi “lontani” da cui provengono queste materie prime.

Non solo, il tutto oggi avviene con sensibilità e modalità sempre più consapevoli dal punto di vista etico-sostenibile, sia nel rispetto dell’ambiente che delle popolazioni locali.


Tornando al nostro tema, la pandemia ha dimostrato quanto dipendiamo oggi da un sistema globalizzato.

I contraccolpi anche per il nostro settore sono stati durissimi perché la scarsità di prodotti, lo schizofrenico aumento dei costi di trasporto hanno portato alla quasi paralisi delle forniture.


Ricordo quando, durante le Guerre del Golfo, gli occhi del mondo erano puntati ai Paesi Arabi e allo Stretto di Hormuz, punto di transito strategico per le navi petroliere e quindi vena giugulare del sistema produttivo mondiale: la dipendenza da petrolio ha sempre giocato un ruolo strategico nelle nostre economie.

Allora sembrava il peggio che potesse capitare. Oggi sappiamo che al peggio non c’è limite.

A questo si aggiunga che una situazione come questa può aprire la strada a comportamenti commerciali poco corretti. Per altro dobbiamo per fortuna riconoscere di vantare sistemi di vigilanza e regolatori altamente qualificati che garantiscono trasparenza alla intera filiera e ai consumatori.

Consumatori che sono sempre più consapevoli e desiderosi di informazione. Il che porta ad una forte responsabilità ed impegno da parte della comunicazione nel fornire contributi attendibili che contrastino il dilagare della cattiva informazione spesso sdoganata dalle compulsive dinamiche dei canali social.


Mi sembra importante un’ultima considerazione.


La crisi pandemica ha portato ad una forte accelerazione della innovazione in tanti campi e discipline. Una dinamica resa possibile anche da nuovi strumenti tecnologici, da processi sempre più efficienti, testing sempre più accurati.

In questo senso sicuramente uno degli aspetti più positivi della globalizzazione è la condivisione globale, appunto, in tempo reale di quelle risorse intellettuali e tecnologiche ma soprattutto interiori e umane che favoriranno non solo la ripresa post emergenza ma soprattutto uno sviluppo più rapido e significativo di quanto non sarebbe successo in momenti cosiddetti “normali”.

Questo è un aspetto fondamentale nella globalizzazione del benessere.

Cosa di cui noi, operatori del settore, non possiamo che essere orgogliosi.

Globalizzazione e benessere:
una “integrazione” possibile