Elogio della Pizza Margherita
Farina, Lievito di Birra, Acqua, Sale, Olio extravergine di Oliva, Polpa di Pomodoro e Mozzarella di Bufala, Basilico = pizza.
La famosa Pizza Margherita (sembra che la presentazione alla Regina d’Italia con dedica fatta nel 1889 dal pizzaiolo Raffele Esposito sia leggenda, ma prendiamola per buona) ha i seguenti colori dominanti: verde basilico, bianco mozzarella, rosso pomodoro… il tricolore!
L’italica pizza è simbolo di una Nazione ma potrebbe anche esserlo di quel fenomeno che nella Storia della Nutrizione passa sotto il nome di Dieta Mediterranea. Questo perché i suoi ingredienti rispondono pienamente a tutti i dettami di questo manifesto della salute studiato e guardato con invidia da tutto il mondo.
Recentemente ho ascoltato un nutrizionista sportivo che, parlando di integrazione nelle diete per atleti, concordava sui benefici degli ingredienti nutrizionali, ma con altrettanta sicurezza aggiungeva che una dieta sana ed equilibrata, come leggiamo in tutti i “bugiardini”, fatta di cibi cucinati con gli ingredienti tipici della nostra blasonata dieta mediterranea, ci dà in termini di apporto nutrizionale, tutto ciò di cui abbiamo bisogno.
Il termine “dieta”, diciamolo, evoca sempre nel nostro inconscio un desolante immaginario di tristezza gastronomica e privazione da tutte quelle cose buone che implacabilmente ci vengono vietate quando, per esempio, il nostro colesterolo comincia ad agitarsi.
In un suo racconto lo scrittore Giovannino Guareschi, celebre autore della altrettanto celebre saga di “Mondo Piccolo” con le vicende di Don Camillo e Peppone, racconta di una volta in cui a causa di un persistente mal di testa si recò dal medico. Il quale iniziato un lungo interrogatorio sulle sue abitudini alimentari, disperava di arrivare ad una diagnosi e quindi cura perché non trovava nulla da eliminare dalla già scarsa dieta che il tempo di guerra, siamo negli anni ’40, infliggeva allo scrittore.
Mentre stava uscendo dallo studio del medico, visibilmente irritato, Guareschi ebbe un flash.
“Dottore”, gli disse tornando sui suoi passi, “in effetti un vizio ce ‘ho: le caramelle al peppermint!”.
“Benissimo” rispose il medico sollevato e soddisfatto, “Le elimini”.
La cosa funzionò, racconta Guareschi; “in effetti rinunciato alle caramelle, il mal di testa passò e potei tranquillamente continuare a mangiare e bere tutte le cose buone che avevo omesso di dichiarare all’illustre clinico.”
Un paradosso umoristico ovviamente che qualche verità la esprime.
La pizza realizzata con gli ingredienti citati sembrerebbe quindi aprire inaspettatamente rosee prospettive dietetiche.
Sarebbe tuttavia poco prudente abusarne.
Specialmente nelle infinite varianti, spesso ipercaloriche, che ci vengono proposte al ristorante.
E specialmente oltre i nostri confini.
E’ noto che in tanti paesi esteri il concetto di pizza è abbastanza elastico e si adatta con disinvoltura alle attese dei palati locali con esiti spesso stravaganti.
Come la volta in cui, in vacanza a Santo Domingo, ospite da parenti là emigrati, fui invitato in una pizzeria sul Malecon, la splendida passeggiata al mare.
La pizzeria si chiamava Vesuvio e in effetti l’esplosione vulcanica non mancò. L’omonima pizza Vesuvio, specialità della casa, aveva un diametro di almeno sessanta cm e sopra c’era di tutto, carne, pesce, salumi, formaggi, frutta, e sarebbe stato impossibile credere che fosse una pizza se non ci avessero dato le istruzioni d’uso.
Non era dieta mediterranea.
La pizza, è noto, nasce come cibo povero, basic potremmo dire, e viene “istituzionalizzata” a Napoli a metà del 1800. Abbiamo addirittura una testimonianza diretta da un turista di eccezione, lo scrittore Alessandro Dumas padre:
“La pizza è una specie di stiacciata, come se ne fanno a Saint Denis. È di forma rotonda e si lavora con la stessa pasta del pane: varia nel diametro secondo il prezzo...A prima vista sembra un cibo semplice. Sottoposta a esame, apparirà come un cibo complicato. La pizza è all'olio, al lardo, alla sugna, al pomodoro, ai pesciolini" (da Il Corricolo, raccolta di racconti scritti a seguito di viaggi a Napoli e nell’Italia meridionale – 1843).
Ma la possiamo anche definire una evoluzione di un pasto composto da alimenti vari servito su un piatto di pane a sua volta commestibile. Ne abbiamo una descrizione illustre anche nella Eneide di Virgilio!
Oggi la “vera” pizza napoletana è patrimonio culturale e nel 1984 nasce l’Associazione Verace Pizza Napoletana che la codifica dettandone le procedure di realizzazione.
Tornando a Guareschi, l’economia di guerra cui accennavo, aveva portato in quegli anni ad una dieta globale forzata di cui sono immagine i film del neo-realismo italiano del periodo post bellico: uno per tutti l’iconico “Ladri di Biclette” dove gli attori protagonisti sono decisamente filiformi.
Dovevano arrivare la ricostruzione ed il boom degli anni ’60 per vedere un progressivo cambio di abitudini alimentari e di offerta nei servizi di ristorazione.
Prima , “andare al ristorante” era un lusso riservato a pochi e anche il numero di ristoranti non era eccessivo. Per la massa c’erano le trattorie frequentate dai lavoratori e dai gitanti fuori porta nei fine settimana.
Oggi il panorama è totalmente cambiato e la ristorazione, attualmente messa in ginocchio dalla crisi pandemica, è un business enorme con una altrettanto enorme offerta di locali e servizi.
Ma insieme alle abitudini alimentari è cambiata anche la nostra dieta. Anzi, le nostre diete.
Basta passeggiare per le nostre città intorno all’ora di pranzo per assistere all’affascinante spettacolo della nutrizione di massa. Si passa da chi al self service riempie il vassoio dall’antipasto al dessert fino a chi si nutre con un beverone dietetico preparato a casa.
Inutile dire che la nostra pizza, consumata in pizzeria o in asporto, la fa da protagonista.
Tuttavia non è tutto così idilliaco.
Il mangiare in fretta e disordinatamente non fa bene. Se a questi comportamenti accompagniamo anche un fenomeno come gli aperi-cena (che io adoro, specialmente se vissuti al tramonto sulla spiaggia) capiamo come il nostro organismo sia spesso sottoposto a forti stress che lo debilitano.
Potremmo anche dire che queste abitudini rendono la nostra dieta mediterranea abbastanza difficile da seguire con regolarità e la famosa piramide che la illustra rischia di diventare più una dichiarazione di intenti che un protocollo esistenziale.
E’ inutile che a pranzo mangi una insalata mista se poi uscito dal lavoro mi lancio su cocktail e salumi.
Come uscire da quest’impasse?
Forse la risposta è proprio nella corretta declinazione dei termini.
Più che di dieta in effetti dovremmo parlare di stile alimentare e quindi di stile di vita.
Se ne parla molto e oggettivamente i tempi che stiamo vivendo non ci aiutano.
Forzati alla limitazione di movimenti e relazioni in un contesto quotidiano fatto di sofferenza e pressioni psicologiche, le nevrosi purtroppo sono in agguato e, guarda caso, sono spesso gli appuntamenti con il cibo a creare ulteriori problemi.
Come sappiamo nei mesi del lockdown il cucinare diventa sia meccanismo di svago che dinamica consolatoria.
Se alla consolazione del cibo aggiungiamo quella di un bicchiere di whisky capiamo come oggi siamo tutti un po' a rischio.
I richiami alla vigilanza, alla cura di sé, alla adozione di stili di vita sani, e in questo i nostri integratori sono un ottimo supporto, si sprecano. Ed è ottima cosa.
Ma forse alla piramide della dieta mediterranea dovremmo aggiungere un ulteriore scalino, alla base: la speranza.
Non una speranza fatalistica, ma una speranza propulsiva di vitalità che ci faccia protagonisti di rinascita.
Nella certezza che ci troveremo ancora insieme di fronte ad un tramonto sulla spiaggia ad accogliere la notte con il sottofondo di una chitarra, magari aiutati dai polifenoli, proteine, calcio, fosforo, licopene, betacarotene, magnesio, carboidrati offertici dalla nostra affascinante Regina Margherita.
Giulio Fezzardini
Redazione NH Italia
TKS Publisher
Italia