GLI INTERFERENTI ENDOCRINI:

UN'INSIDIA NASCOSTA

Gli interferenti endocrini (IE), o distruttori endocrini, termine “importato dalla definizione inglese di “Endocrine disrupting chemicals”, sono sostanze, estranee al nostro organismo, di origine naturale, ma soprattutto sintetica, prodotte industrialmente dall’uomo per i più svariati scopi ed esigenze. Secondo la definizione dell’Unione Europea “Un Interferente Endocrino è una sostanza esogena, o una miscela, che altera la funzionalità del sistema endocrino, causando effetti avversi sulla salute di un organismo, oppure della sua progenie” (1). Le sostanze possono essere di natura inorganica, come ad esempio alcuni metalli pesanti, (Cadmio, Nickel, Piombo e Arsenico ed altri) e di natura organica come gli Ftalati. Pur essendo molecole estremamente differenti fra loro, hanno come comune denominatore la capacità di interferire con il sistema ormonale di animali e dell’uomo, perturbandone il funzionamento. Una conseguenza dell’inquinamento del pianeta è la presenza pressoché ubiquitaria di queste sostanze, molte di esse particolarmente stabili e persistenti nell’ambiente che ci circonda. Inoltre, molte di esse hanno caratteristiche “lipofile”, sono cioè affini ai grassi, e quindi, una volta assorbite, vengono accumulate nei tessuti adiposi animali, dando luogo al fenomeno della biomagnificazione, ovvero il processo per il quale l'accumulo di sostanze tossiche negli esseri viventi aumenta nella catena alimentare arrivando quindi attraverso la dieta, anche sulle nostre tavole. In effetti, veniamo a contatto con gli interferenti endocrini principalmente attraverso l’alimentazione, “Noi siamo quello che mangiamo” come diceva il filosofo Ludwig Feuerbach, ma anche attraverso la pelle e l’aria che respiriamo. Una volta assorbiti, gli IE possono agire a vari livelli mimando gli ormoni naturali, simulandone l’azione, bloccando o attivando recettori, interferendo sulla sintesi, il metabolismo e l’eliminazione degli ormoni naturali. Tutto ciò può determinare una alterazione del livello degli ormoni naturali nei fluidi biologici, con una conseguente ripercussione sulle normali funzioni cellulari. I ricercatori conoscono e studiano gli IE ed il loro impatto sulla salute umana e/o ambientale da lungo tempo. L’ impatto può essere differente anche a seconda del genere, femminile o maschile, e causare anomalie nella riproduzione di alcune specie. Per esempio, la tributiltina, un comune agente antimuffa usato nelle vernici per le barche e presente anche in molti articoli casalinghi, provoca nella lumaca di mare un fenomeno conosciuto come imposex, ovvero la comparsa di organi maschili nelle lumache femmine (2). Gli effetti sull’uomo possono essere collegati o meno al genere, come malattie dell’apparato riproduttivo, tumori del seno e della prostata, ma anche malattie indipendenti dal genere quali malattie neurodegenerative, patologie tiroidee, e obesità. Nella donna gli IE modificano il rapporto estrogeni/androgeni, e hanno conseguenza sulla fertilità, entrando in gioco nell’iperprolattinemia; inoltre, attraverso l’allattamento, molti IE vengono trasmessi al neonato (3).

    INTRODUZIONE

    Gli IE possono essere di origine naturale come i fitoestrogeni contenuti in alcune piante, ad esempio i germogli alfa-alfa e i semi di soia, alimenti sani che, però, se consumati in grande quantità, possono interferire con il corretto funzionamento della tiroide, e con l’azione degli estrogeni nel sesso femminile, poiché contengono sostanze isoflavoniche (4). Nel novero delle sostanze di sintesi invece, oltre ai ben noti ormoni di sintesi disegnati ad hoc per modulare le funzioni del sistema endocrino, vi sono prodotti fitosanitari, additivi per materiale plastico, sottoprodotti della lavorazione industriale. Il Bisfenolo A, ad esempio, è un monomero utilizzato nella manifattura del policarbonato e delle resine epossidiche, queste ultime adoperate industrialmente come rivestimenti protettivi per le lattine delle bibite e per barattoli ad uso alimentare. Dal packaging, durante processi di sterilizzazione dei prodotti alimentari, o a seguito di ammaccature della confezione, molecole libere di Bisfenolo A possono migrare nell’alimento (5). Il Bisfenolo A è anche aggiunto come sviluppatore di colore in alcuni inchiostri utilizzati per la fabbricazione della carta termica, consentendone la stampa. Il momento del trasferimento della sostanza alla pelle si verifica ad esempio quando scontrini e ricevute bancomat appena emessi e ancora tiepidi vengono a contatto con le mani, operazione che per alcune categorie di lavoratori come gli operatori della grande distribuzione, viene ripetuta continuamente ogni giorno e per anni (6). Va inoltre ricordato che circa il 30% della carta termica viene riciclata in altri prodotti di largo consumo quali tovaglioli, giornali, carta igienica e cartoni alimentari, dando luogo a una contaminazione ulteriore attraverso questi prodotti. Il DEHP, o dietilesilftalato, è un additivo plastificante utilizzato nella fabbricazione del cloruro di polivinile, noto come PVC, per renderlo morbido e flessibile. Il DEHP può essere presente nella cancelleria e nei prodotti da ufficio, nei prodotti per l’edilizia, ma anche in contenitori per alimenti come bottiglie usa e getta, pellicole, tappi a corona (7). Alimenti ad alto tenore di grassi quali latte intero, panna, oli da cucina, tonno inscatolato in olio d’oliva, si sono dimostrati contenere Bisfenolo A e DEHP (8).


    IE: FACCIAMO QUALCHE NOME

    LUCIA GRUMETTO

    Dipartimento di Farmacia,

    Università degli studi di Napoli Federico II | Italia

    Bio...

    Anche i tessuti, l’abbigliamento e soprattutto la biancheria a contatto con la pelle, possono essere fonte di possibile contaminazione da interferenti endocrini. I polibromurati (PBDE), ad esempio, sono utilizzati dall’industria tessile per eliminare il rischio di infiammabilità dei tessuti stessi, i composti perfluoroalchilici sono aggiunti per conferire resistenza alle temperature di lavaggio, mentre gli alchilfenoli etossilati entrano nei processi di tintura al pari di metalli (Cromo VI e Cadmio) come coloranti e pigmenti. Tutte queste sostanze hanno mostrato una attività sul sistema endocrino. Sempre attraverso la pelle, possiamo venire in contatto con alcuni ingredienti presenti nei cosmetici e nei prodotti per la cura della persona dimostrati, o sospettati avere, azione interferente endocrina. Parliamo di Parabeni e Triclosan (9), aggiunti a prodotti a risciacquo quali bagnoschiuma, shampoo e maschere per capelli. La loro funzione è quella di conservante al fine di impedire, dato l’alto contenuto di acqua, la crescita di batteri e muffe, ed aumentare così la shelf life del prodotto. Anche altri prodotti hanno “insidie nascoste” come gli smalti per unghie con i Benzofenoni per evitare effetti dovuti agli UV, oppure le creme viso, corpo e capelli che possono contenere ciclometicone con funzione emolliente. Il resorcinolo nelle tinture, e l’enzacamene o metilbenzene canfora contenuti nelle creme solari per proteggerci dai raggi del sole, non sono altro che esempi di un lungo elenco. Ben il 95% delle sostanze chimiche che entrano nella formulazione di profumi e fragranze sono composti di sintesi, che possono sia causare allergie e problemi respiratori, ma anche interferire con la funzionalità ormonale. Ed infine i PFAS, composti chimici fluorurati, utilizzati in molti prodotti per le loro proprietà oleorepellenti e idrorepellenti, come le padelle antiaderenti, i tessuti impermeabili e antimacchia. Sono IE particolarmente preoccupanti perché, una volta sversati nell’ambiente, difficilmente si degradano.

    NON SOLO ALIMENTI 

    La valutazione di un elenco di interferenti endocrini da parte dell’ECHA (European Chemical Agency) è presente nel regolamento europeo REACH (acronimo di registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) al fine di proteggere uomo e ambiente dai rischi provenienti dalle sostanze chimiche. IE noti o sospetti, sono regolamentati nel loro utilizzo e periodicamente rivalutati anche alla luce di recenti ricerche come avvenuto per il Bisfenolo A. Questo era già stato vietato nel gennaio 2011 nella produzione dei biberon in policarbonato, ma nell’aprile 2023, è stato sottoposto a riconsiderazione sulla sua sicurezza da parte dell’EFSA (European Food Safety Authority); il panel di esperti che si occupa di alimenti e sicurezza alimentare, ha operato una riduzione significativa della soglia della sua assunzione giornaliera tollerabile che ora risulta di 0,2 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo per giorno, rispetto alla precedente soglia temporanea del 2015 di 4 microgrammi, di ben 20000 volte superiore (10). Anche per i cosmetici esiste uno specifico Regolamento dell’Unione Europea (n. 1223/2009), che ne stabilisce la valutazione sulla base delle informazioni e caratteristiche del prodotto, vietando alcune sostanze o limitandone l’uso al di sotto di concentrazioni ritenute sicure (11). C’è da aggiungere che a causa dell’aumento della consapevolezza riguardo la loro tossicità e di norme di produzione e di utilizzo di molti di questi chimici, le industrie hanno fatto ricorso con maggiore frequenza ad analoghi ritenuti, il più delle volte senza alcun fondamento, più sicuri, solo in virtù della loro stretta somiglianza chimica con i composti capostipite; un esempio fra tutti, il Bisfenolo S nel settore della carta termica.

    IE: COSA DICE LA NORMATIVA A RIGUARDO

    Paracelso diceva che “E’ la dose che fa il veleno”; gli IE agiscono anche a concentrazioni molto basse ed al di sotto di quelle ritenute sicure dalla normativa vigente, per cui una esposizione ripetuta nel tempo, a differenti IE provenienti da varie fonti (alimentare, dermica e inalatoria), si somma in un effetto “cocktail” potenzialmente dannoso per la salute. Quello che si può consigliare è sicuramente un corretto utilizzo dei materiali a contatto con gli alimenti, e con la nostra persona, occhio alle etichette e preferiamo per gli alimenti, quando possibile, prodotti sfusi e non preimballati in materiale plastico, così anche l’ambiente ci ringrazierà.

    IE: QUALE REALE PERICOLO E COSA POSSIAMO FARE PER EVITARLI

    Riferimenti bibliografici

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    SICUREZZA ALIMENTARE