BIODIVERSITÀ E SALUTE UMANA: NON SERVE PIÙ CIBO,
MA UN CIBO MIGLIORE
La sostenibilità ambientale ed economica dell’alimentazione è strettamente legata alla tutela della biodiversità, intesa come la variabilità fra gli organismi viventi in termini di tassonomia, filogenetica e funzionalità. Su tale correlazione si basa l’investimento di risorse da parte delle istituzioni governative italiane ed europee nella messa a punto di disposizioni e progetti finalizzati a disciplinare la filiera agroalimentare e sensibilizzare l’opinione pubblica e tutti gli altri stakeholder coinvolti sull’importanza di effettuare scelte alimentari consapevoli (1).
Tali iniziative trovano nel loro complesso riferimento ultimo nella strategia di sviluppo sostenibile concordata dai leader mondiali nel corso della “Convention on Biological Diversity” organizzata nel 1992 a Rio de Janeiro dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (United Nations, UN) e che individua tre obiettivi principali: la conservazione della diversità biologica, l’uso sostenibile delle sue componenti e la condivisione equa dei benefici derivanti dall’uso delle risorse genetiche (2, 3, 4).
Tuttavia, tenuto conto della complessità del tema e della necessità di ottemperare ad esigenze eterogenee incluse quelle legate allo sviluppo economico, è ancora difficile individuare raccomandazioni standardizzabili sufficientemente precise che massimizzino i benefici sia per la salute che per l’ambiente. Stante il contesto attuale, la progettazione delle policy alimentari coinvolge infatti molti aspetti strategici, sia a livello politico che sociale: dalla salute (individuale e pubblica) alla sostenibilità ambientale ed economica, fino a impattare sulla sicurezza del cibo e l’accesso alle risorse alimentari (5, 6, 7, 8, 9, 10).
INTRODUZIONE
Con l’espressione “dieta equilibrata” si intende un regime alimentare che assicura un apporto calorico appropriato, che comprende una vasta gamma di cibi di origine vegetale, una presenza limitata di alimenti di derivazione animale, che contiene grassi preferibilmente insaturi ed una limitata quantità di cereali raffinati, pietanze altamente processate e zuccheri aggiunti (11).
La composizione della dieta e la qualità del cibo che arriva sulle nostre tavole producono un effetto diretto su salute e benessere individuali e un effetto indiretto sulle modifiche ambientali associate ai processi di produzione. Mentre il primo aspetto è ormai estesamente indagato e conosciuto, la correlazione del secondo con la qualità dell’ambiente e la salute globale e personale è meno riconosciuta (12, 13, 14, 15).
La filiera agroalimentare genera uno dei contributi più corposi ai cambiamenti climatici e ai fenomeni di inquinamento dell’aria e delle acque, producendo una percentuale variabile fra il 19 ed il 29% di tutte le emissioni di gas serra di origine antropogenica. Le stime mostrano che nel 2008 le attività del settore hanno portato al rilascio di 9.800-16.900 megatonnellate di biossido di carbonio equivalenti (MtCO₂e) in atmosfera. Dall’altro lato, la produzione di cibo risulta essere fortemente impattata essa stessa dalle modifiche ambientali, che possono penalizzare la resa dell’agricoltura, minare l’integrità della catena del valore e alterare la composizione degli alimenti e, di conseguenza, la loro qualità e il loro valore nutrizionale (12, 13, 14, 15).
AMBIENTE E AGRIFOOD: LE INTERAZIONI RECIPROCHE
MONICA TORRIANI
Consulente scientifica | Italia
Bio...
Monica Torriani è laureata in Farmacia e si occupa di comunicazione nel settore healthcare. È consulente per l'industria farmaceutica e scrive per diverse testate editoriali; è membro del Gruppo di Lavoro SIARV sui Dispositivi Medici e socio AFI Scientifica. Ha creato il blog WELLNESS4GOOD - parole e farmaci.
Un punto fondamentale nella discussione sulle scelte alimentari a tutela della biodiversità è costituito dal fatto che non tutti i regimi alimentari considerati sani sono a bassa impronta ambientale. Uno studio pubblicato nel 2018 sulla rivista The Lancet Planetary Health ha valutato, sulla base di dati sperimentali, l’impronta ambientale di tre diversi regimi dietetici raccomandati dalle 2015-2020 Dietary Guidelines for Americans. L’analisi venne effettuata sulla base di parametri quali il cambiamento climatico, l’utilizzo di suolo, il consumo di acqua, l’eutrofizzazione delle acque (ovvero l’arricchimento da parte degli ecosistemi acquatici in nutrienti che portano alla proliferazione di alghe e ad eventi anossici) e la produzione di particolato. Fra gli stili alimentari esaminati, il cosiddetto healthy US-style, la dieta mediterranea e la dieta vegetariana, quest’ultima si è rivelata in grado di portare ad una riduzione dei parametri considerati (eccettuato il consumo di acqua, che è risultato simile per tutti e tre) pari al 42-84%. (12. 16, 17, 18, 26).
Nel framework dello European Green Deal, l’UE ha introdotto la strategia Farm to Fork, finalizzata a promuovere una filiera agroalimentare pulita, sana e sostenibile dal punto di vista ambientale. Tale strategia prevede la messa in campo di strumenti e iniziative per accelerare la transizione verso un sistema carbon neutral, in grado di invertire il fenomeno della perdita di biodiversità e di assicurare l’accesso esteso alle risorse alimentari (19).
All’interno del panorama UE, spicca la visione olistica dei Paesi del Nord Europa, che nelle loro food policy supportano una cultura più trasversale e integrata, incentivando il consumo di carne e pesce a basso impatto ambientale, la sostituzione delle proteine di origine animale con proteine plant-based, il consumo di frutta e verdura di stagione e la riduzione degli sprechi di cibo (12 ,16, 20, 26.).
Nella prospettiva di raggiungere l’obiettivo di un’alimentazione sana e sostenibile e in un’ottica One Health di salute integrata e globale, le istituzioni del nostro Paese, attraverso gli studi portati avanti dal Centro Alimenti e Nutrizione del CREA (Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria, che fa riferimento al Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste), hanno elaborato le Linee Guida per una Sana Alimentazione, oggetto di una recente revisione. Il fulcro del documento è rappresentato dalla raccomandazione ad estendere la quota di alimenti di origine vegetale, aumentando anche l’apporto di proteine vegetali. Se è inimmaginabile, dato il contesto attuale, la rinuncia totale agli allevamenti di tipo intensivo, appare tuttavia necessario ridurre il consumo di carne, in particolare di carne rossa, da sostituire con pollame, uova, latte e pesce (anche proveniente da allevamenti in acquacoltura) (2, 21).
I DIVERSI SCENARI
L’analisi dello scenario globale impone, data la sua complessità, di tenere conto di tutti gli elementi in gioco, nonché di tutte le loro sfaccettature. Se è vero che ormai la correlazione fra allevamenti intensivi e impatto ecologico negativo è accertata, è necessario considerare anche le ripercussioni connesse all’agricoltura. L’aumento dell’apporto vegetale alla dieta pone infatti esso stesso il tema delle ricadute della produzione agricola sull’ambiente, intese in particolare in termini di maggior consumo di acqua e di suolo e di potenziamento del ricorso ai fertilizzanti (2,12, 21, 22, 23).
Occorre, pertanto, individuare anche da questo punto di vista un equilibrio effettivamente e complessivamente sostenibile, nell’ambito del quale sia promossa la scelta di prodotti provenienti da aziende locali ed ottenuti con metodologie che minimizzino il ricorso ai fertilizzanti, alla luce artificiale e al riscaldamento. Il trend verso un’alimentazione sempre più basata su cibi di origine vegetale impone, infine, di caratterizzare il concetto di agricoltura intensiva e aprire/sviluppare un dibattito sulle applicazioni delle biotecnologie alla filiera agrifood (12, 21, 22, 23).
UNA NUOVA VISIONE DELL’AGRICOLTURA
Malgrado le prudenti premesse poste nei passaggi precedenti, allo stato attuale delle conoscenze stratificate, la comunità scientifica sembra comunque concorde nell’affermare che i regimi alimentari basati sui cibi di origine vegetale permettono di massimizzare sia i vantaggi per la salute che quelli per l’ambiente (12).
Questa considerazione apre a sfide ambiziose, in particolare in Paesi dove il consumo di carne costituisce una componente fondamentale della cultura alimentare e sociale, come gli Stati Uniti. Una delle strategie possibili, da questo punto di vista, consiste nella proposta di alternative green ai prodotti da allevamento: una risposta potrebbe giungere dall’agricoltura cellulare finalizzata alla produzione di carne coltivata (in vitro o lab grown, ad esempio) o di proteine di sintesi (ovalbumina, albumina del latte) da utilizzare come ingrediente per la produzione di alimenti (12).
AGRICOLTURA CELLULARE: UNA RISPOSTA ALLA DOMANDA DI CARNE?
Un tema centrale nella trattazione degli aspetti alimentari connessi alla biodiversità è costituito dall’imperativo a ridurre gli sprechi.
Secondo il documento The state of food security and nutrition in the world 2022 pubblicato dalla FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), nel 2021 ben 828 milioni di persone nel mondo hanno sofferto la fame, 46 milioni in più rispetto all’anno precedente e 150 milioni in più rispetto al 2019. In generale, si stima che 3,1 miliardi di persone non abbiano accesso ad una dieta equilibrata. Al contempo, il report State of food and agriculture 2019 della medesima organizzazione evidenzia come il 14% circa del cibo (a cui è associato un valore pari a 400 miliardi circa all’anno) continui ad essere sprecato e come gli alimenti che vengono smaltiti senza essere consumati potrebbero sfamare 1,26 miliardi di persone ogni anno (5, 6).
A livello europeo, le ultime stime Eurostat indicano che il 69% degli sprechi alimentari sul territorio UE proviene dagli ambienti domestici, dalla ristorazione e dal commercio al dettaglio (24).
Il fatto che significative quantità di cibo siano prodotte ma non consumate dalla popolazione mondiale crea conseguenze negative non solo a livello economico, ma anche ambientale e sociale. Basti pensare che, in accordo con le stime elaborate dalla comunità scientifica e dalle istituzioni, una percentuale variabile fra l’8 e il 10% delle emissioni di gas serra è associata al cibo che non viene mangiato (6, 20).
Da questo punto di vista, risultano auspicabili interventi da parte delle istituzioni politiche e sanitarie di incentivo alla programmazione attenta e responsabile degli acquisti alimentari, alla conservazione scrupolosa e al riutilizzo degli avanzi: tutti aspetti che permettono di tutelare l’ambiente, ma anche la salute individuale e collettiva, oltre che risparmiare (20).
BASTA SPRECHI
Gli alimenti non salutari e non sostenibili rappresentano un grave rischio per le persone e per il pianeta. Un problema che si sta progressivamente intensificando, alla luce dell’inarrestabile trend di espansione della popolazione, che le proiezioni prevedono raggiungere i 10 miliardi di individui entro il 2050 (11).
Una sfida tanto ambiziosa può essere vinta solo con un forte commitment globale e con la messa in campo di iniziative attive su più fronti. Il primo è quello della formazione e dell’informazione e si basa sulla pianificazione e realizzazione di progetti di comunicazione tesi a potenziare il coinvolgimento della popolazione su questi temi e a supportare la transizione della cultura del cibo da un concetto di quantità a un concetto di qualità. In altre parole, non dobbiamo produrre e consumare più cibo, ma cibo migliore, più nutriente (a parità di peso), economico ed eco-friendly. Contestualmente, è essenziale lavorare nella direzione del miglioramento delle tecniche di produzione in termini di sostenibilità ambientale ed economica, anche e soprattutto attraverso l’adozione delle tecnologie sofisticate che il progresso scientifico mette a disposizione. E, in ultimo, abbattere gli sprechi, riducendo significativamente la quantità di cibo persa lungo tutta la supply chain (11, 25).
Sono ormai numerosi gli studi che indicano l’agricoltura cellulare come una potenziale alternativa rispetto alla produzione di carne da allevamenti. Un minor numero di allevamenti intensivi permetterebbe di ridurre l’impatto ambientale ad essi connesso e, altresì, di liberare suolo, rendendolo disponibile per altri utilizzi. Tali considerazioni mettono in luce la necessità di individuare opportuni e virtuosi utilizzi alternativi del suolo e, dall’altro lato, procedure e sistemi che rendano l’agricoltura cellulare scalabile (12).
Più in generale, sono richieste ulteriori ricerche mirate ad evidenziare tutti i vantaggi e gli svantaggi connessi ai diversi regimi alimentari e a valutarne le reali conseguenze ambientali.
UN CAMBIO DI PROSPETTIVA
Riferimenti bibliografici
Riferimenti bibliografici
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