Il mercato della nutraceutica continua a crescere da più di 15 anni, nei paesi industrializzati, ma non solo, in periodi di relativo benessere come di crisi economica. Questo è particolarmente vero nel nostro Paese, che ha avuto la capacità di creare un vero e proprio “Made in Italy” di un nutraceutico che è sinonimo di sicurezza, di ricerca e di avanzamento tecnologico. Cosa distingue però realmente il nutraceutico italiano? In prima battuta abbiamo un grande numero di aziende di R&D che cercano in continuazione di identificare nuove fonti di nutraceutici, di migliorare il livello di purificazione e concentrazione, e di lavorare sulla loro bioaccessibilità/biodisponibilità. Poi alcune aziende (quelle che realmente vogliono sapere quanto il loro prodotto può impattare parametri correlati alla salute, e non solo supporlo) investono anche in test clinici.

Non è ovviamente tutto oro ciò che luccica. Per esempio, molto spesso l’applicazione di tecnologia farmaceutica atta ad aumentare bioaccessibilità/biodisponibilità è ipotizzata essere efficacie o al massimo studiata con tecniche indirette, mentre quasi mai nell’uomo. Inoltre le sostanze utilizzate per bioaccessibilità/biodisponibilità occupano in genere molto volume (che si toglie agli altri attivi), sono costose e non sempre hanno un buon impatto sul microbiota.

Lo stesso vale per gli studi clinici: avere raccolto qualche dato al di fuori di studi clinici randomizzati in doppio cieco contro placebo di adeguata numerosità campionaria non ha necessariamente un valore.

Allora perché dovremmo avere una ricerca e sviluppo che non è utile o che non segue necessariamente le regole della ricerca convenzionale? In prima battuta un ostacolo motivazionale nasce dalla difficoltà di poter comunicare la scienza in nutraceutica. Infatti la normativa attuale prevede che si possano formalmente comunicare solo gli “health claims” approvati dall’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (European Food Safety Agency) e pochi altri approvati dal Ministero della Salute in aggiunta ai precedenti. Questi Health Claims sono poco aggiornati e spesso basati su letteratura preclinica o comunque non su studi clinici randomizzati in doppio cieco. Quindi la comunicazione su prodotti con ingredienti studiati più recentemente non può vantare alcun claim. Un esempio tipico è quello dei probiotici, sui quali la letteratura scientifica cresce ogni giorno a livello esponenziale e per i quali non si può vantare nulla. Ma abbastanza clamoroso è il fatto che non si possa dire che la supplementazione con Coenzima Q10 riduca il rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco e morte per cause cardiache in pazienti affetti appunto da scompenso cardiaco, oppure che l’acido folico riduca del 12% il rischio di sviluppare uno stroke (ictus) nei pazienti già interessati da un evento cardiovascolare, tutti dati confermati da più trials clinici controllati in doppio cieco e relative meta-analisi.

Il secondo problema è che nessuna azienda ha interesse ad investire nel cercare di creare un nuovo dossier per ottenere un claim su di un singolo nutraceutico, perché questo poi potrà essere comunque vantato da tutte le aziende che commercializzano lo stesso nutraceutico. Quindi, con il sistema attuale, la comunicazione al grande pubblico in tema di nutraceutica non può avanzare, ed il rischio che si corre è che si usino meta-messaggi per proporre un’informazione. Un esempio tipico è il porre l’attenzione su di una vitamina supportata da un claim per spingere un prodotto i cui componenti attivi sono ad esempio 2 o 3 estratti vegetali supportati da letteratura scientifica ma non da un claim. Per fortuna, almeno in Italia, non è inibita la comunicazione scientifica fra esperti del settore. Questo consente una maggiore libertà di azione nella possibilità di impostare una rete di informatori scientifici del nutraceutico che parlano agli operatori sanitari (caratteristica peculiare del mercato italiano), ma anche di organizzare attività formative congressuali o corsuali per operatori sanitari, che non debbano restare necessariamente legati alla normativa sugli Health Claims. Questo aspetto sicuramente motiva le aziende che hanno una rete di informatori scientifici e che organizzato attività formative ad investire in ricerca clinica, perché ne possono poi comunicare i risultati con questi mezzi.

Di questi temi (e di altri) si è trattato nella terza edizione della Review “Integrazione alimentare: stato dell’arte e nuove evidenze scientifiche”, promossa da Integratori & Salute, realtà nazionale che rappresenta le principali aziende italiane di integratori alimentari e che è parte di Unione Italiana Food, pubblicata da Passoni Editore, e presentata a luglio 2024 a Milano. In questa review troverete gli aggiornamenti elaborati dal Prof.Andrea Poli (Nutrition Foundation of Italy) per l’area cardiometabolica, Mariangela Rondanelli e Clara Gasparri (Università di Pavia) per la Terza età, Irene Cetin (Università di Milano) per la Salute della donna, Franca Marangoni(Nutrition Foundation of Italy) per il benessere psicologico e la funzione cognitiva, Mariuccia Bucci (International Society of Plastic Rigenerative Dermatology - ISPLAD) per l’Invecchiamento cutaneo, Fabio Pace (ASST Bergamo Est) per la Gastroenterologia, Gianluca Scuderi e Maria Chiara di Pippo (Università la Sapienza di Roma) per la Salute dell’occhio e Antonio Paoli (Università di Padova) per lo Sport.

Un’occasione di ulteriore approfondimento sarà possibile a Bologna, al prossimo congresso nazionale della Società Italiana di Nutraceutica (www.sinut.it), dal 12 al 14 settembre 2024 con più di 80 esperti invitati fra moderatori e relatori.

Nutraceutici 2024: fra evoluzione delle conoscenze scientifiche e difficoltà di comunicazione delle stesse

Riferimenti bibliografici