In pillole

Una finestra aperta sul grande vocabolario degli integratori nutrizionali

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Un intestino sano porta con sé tutta una serie di benefici: numerose ricerche collegano infatti la salute di questo organo ad una migliore digestione, ma anche ad un sonno più profondo, ad un maggiore senso di benessere, ad una funzione cognitiva più acuta, a livelli di energia maggiori, a tassi più bassi di malattie cardiovascolari e ad un ridotto rischio di obesità. 

E un numero sempre maggiore di studi indica che l’assunzione di probiotici può avere un ruolo molto importante nella salute dell’intestino; ma questo ormai è risaputo. Più interessante è sapere che, ora, un recente studio collega l’assunzione di probiotici anche ad una maggiore salute dell’apparato respiratorio: favorire la salute intestinale con questi integratori permetterebbe infatti anche di avere polmoni più sani. 

È infatti assodato che una delle caratteristiche-chiave del microbiota è quella della resistenza alla colonizzazione, cioè la prevenzione delle infezioni sia attraverso l’azione diretta dei componenti del microbiota stesso sui patogeni, che tramite una serie di vie indirette (principalmente attraverso interazioni  con il sistema immunitario dell’organismo ospite). 

Più di recente, la ricerca ha indagato anche il fenomeno del riconoscimento di interazioni specifiche, un vero e  proprio “dialogo”, tra il microbiota intestinale e il polmoni, in particolare per quanto riguarda le risposte immunitarie e antinfettive delle vie respiratorie; un fenomeno spesso descritto come “asse intestino-polmone”. 

Un filone di ricerca interessante, soprattutto alla luce dell’esplosione della pandemia da Covid-19. Mentre infatti i meccanismi alla base del legame tra obesità e rischio di infezioni respiratorie -compreso il COVID-19- pur se ancora incompleti sono stati già ampiamente approfonditi dalla comunità scientifica, un’ altra ipotesi che sta prendendo piede  è quella che i cambiamenti nella composizione del microbioma intestinale correlati all’obesità producano un aumento della permeabilità intestinale, endotossiemia, e attivazione nell’organismo ospite di risposte infiammatorie con maggiore suscettibilità alle infezioni su tutte le superfici mucose. 

Gli specialisti del team coordinato da Benjamin Mullish, ricercatore principale dello studio e docente clinico presso la Divisione di Malattie Digestive dell’Imperial College London, basandosi su questa ipotesi hanno quindi esaminato i dati relativi ad un campione di 220 persone che avevano partecipato a uno studio precedente sui probiotici e la perdita di peso. Il loro scopo era valutare se l’uso di probiotici avesse un effetto sulla prevalenza di infezioni delle vie respiratorie superiori. 

I risultati hanno mostrato che le intuizioni dei ricercatori erano corrette: si è visto infatti che nel gruppo che assumeva probiotici rispetto al placebo vi era un’incidenza complessivamente inferiore del 27% di problemi respiratori (tra cui tosse, mal di gola e respiro sibilante). L’effetto era particolarmente evidente nei partecipanti di età pari o superiore a 45 anni, e in quelli che soffrivano di obesità. 

Questa riduzione dei sintomi è apparsa evidente nell’arco di due settimane dall’inizio dell’assunzione di probiotici. Nei partecipanti trattati con probiotici, la diversità del microbioma intestinale è rimasta stabile durante lo studio. I dati emersi forniscono supporto per ulteriori studi per valutare il potenziale ruolo dei probiotici nella prevenzione delle infezioni virali delle alte vie respiratorie (e forse anche del Covid-19, sostengono i ricercatori), in particolare nelle persone in sovrappeso o obese. 

I risultati di quest’ultimo studio forniscono prove interessanti, ma sicuramente da approfondire, sulla relazione tra intestino e polmoni. Tuttavia, mancano ancora studi comparabili nelle persone in sovrappeso o obese, che sono maggiormente a rischio in per quanto riguarda le infezioni virali del tratto respiratorio superiore. 

Benjamin Mullish commenta così i risultati dello studio: «Questi risultati si aggiungono al crescente interesse per l’asse intestino-polmone – come l’intestino e i polmoni comunicano tra loro. Non è solo l’intestino che invia segnali che influenzano il funzionamento dei polmoni. Funziona in entrambe le direzioni. Evidenze che vanno a sommarsi al corpus di ricerca che indaga come i cambiamenti nel microbioma intestinale possano influenzare ampi aspetti della nostra salute. (..) è un’ulteriore prova che il microbioma intestinale ha una relazione complessa con i vari organi. Non influisce solo su come funziona il nostro intestino o il nostro fegato, ma sul funzionamento di tutto il nostro corpo». 

Allegati

Probiotics reduce self-reported symptoms of upper respiratory tract infection in overweight and obese adults


Probiotici, benefici anche per i polmoni e il sistema respiratorio 

L’arrivo della primavera è sempre atteso con trepidazione: le giornate si allungano, le temperature risalgono, bellissimi e colorati fiori sbocciano nei prati e nei giardini, e le chiome maestose gli alberi tornano a riempirsi di verdi e brillanti foglioline che danzano al ritmo del tiepido vento primaverile. 

Ma… non per tutti è un momento così poetico e idilliaco! Chi soffre di rinite allergica (più comunemente conosciuta come allergia) sa infatti che questo è uno dei momenti più difficili dell’anno da affrontare. 

Convenzionalmente, le opzioni di trattamento della rinite allergica includono l’assunzione di antistaminici, corticosteroidi e decongestionanti, ma molti sono anche gli integratori alimentari, di facile accesso e dai costi relativamente bassi, che vengono utilizzati per contrastare starnuti, rinorrea, congestione e prurito nasale. E, tra questi, anche i probiotici possono svolgere un ruolo importante nell’attenuazione delle sintomatologie più fastidiose. 

Per esempio, l’aggiunta di Bacillus claussi al trattamento con antistaminici ha dimostrato di ridurre significativamente gli eosinofili nasali, riducendo in maniera incisiva la necessità di antistaminici nei bambini. 

Molti sono poi gli studi relativi all’uso dei ceppi di Lactobacillus condotti negli ultimi anni e tanti quelli che hanno dato esiti positivi. 

Tra i bifidobatteri, uno studio clinico esplorativo del 2013 ha invece dimostrato che il probiotico B. Lactis  Ncc2818 abbassa significativamente i punteggi dei sintomi nasali, i livelli di Il-5 e Il-13, nonché le percentuali di basofili che esprimono Cd63 attivati in pazienti con rinite allergica stagionale. 

In un altro studio, il consumo per quattro settimane di latte fermentato con L. paracasei ST11 ha determinato una congestione nasale significativamente più bassa e inferiori livelli di Il-5 e IgG4 specifico per gli allergeni nei pazienti sensibili ai pollini delle graminacee. 

L’uso di L. johnsonii Em1 in combinazione con levocetirizina si è dimostrato più efficace del solo antistaminico nell’alleviare i sintomi nei bambini e questo miglioramento è continuato per almeno tre mesi dopo la sospensione del probiotico. 

Anche L. plantarum LP14, assunto quotidianamente per sei settimane, migliora significativamente i sintomi oculari e induce l’espressione genica delle citochine di tipo Th1. Allo stesso modo, il consumo di L. plantarum YIT 0132 migliora anche significativamente i sintomi, la qualità della vita e riduce gli eosinofili nei pazienti con pollinosi del cedro giapponese. 

Nel 2004, L. paracasei-33 (LP-33) utilizzato per sette settimane ha prodotto un significativo miglioramento della qualità della vita e sintomi oculari nei pazienti sensibili al polline delle graminacee, che stavano usando un antistaminico per via orale (loratadina), mentre il L. paracasei ceppo KW3110 sembra migliorare il controllo della rinite nei pazienti allergici al polline di cedro. 

Infine, un trial di buona qualità ha dimostrato che L. salivarius PM-A0006, assunto per dodici settimane, riduce significativamente i sintomi della rinite allergica e l’uso di farmaci nei bambini con rinite allergica perenne. 

Nonostante questi risultati positivi, esistono diversi studi correlati al Lactobacillus che non hanno mostrato risultati statisticamente significativi, e va ricordato che gli integratori probiotici presenti sul mercato consistono tipicamente in una combinazione di due o più generi o ceppi batterici, il che rende più complessa una valutazione ceppo-specifica dei risultati. 

Anche le formule combinate possono essere utili e hanno dato prova di efficacia oltre a complessi probiotici particolarmente specifici, una miscela di vitamina D3, quercetina e Perilla frutescens, nonché la combinazione di vitamina D 3 e L. reuteri

Allegati

Health supplements for allergic rhinitis  A mixed-methods systematic review  

Evidence-based phytotherapy in allergic rhinitis 


I benefici dell’assunzione di probiotici nel trattamento della rinite allergica 

La ricerca sui probiotici è abbondante, e molto è stato scritto (e dimostrato) sugli effetti benefici e protettivi dell’assunzione mirata di determinati ceppi batterici – perché questo alla fine sono i probiotici- nel contrasto all’adesione di alcuni germi patogeni, nel migliorare la qualità della flora batterica intestinale, nel favorire i processi digestivi, e persino sulla possibile influenza positiva sul sistema immunitario; molti altri studi sono ancora in corso e in fase di validazione. 

Meno noto è il fatto che i probiotici possono avere un ruolo positivo anche nel campo dell’igiene orale, e che possono contribuire alla riduzione dei batteri cariogeni nella saliva. È quello che emerge da una sperimentazione clinica, che ha voluto testare l’effetto dell’assunzione regolare di un alimento ad alto contenuto di probiotici (nello specifico, lo yogurt) nella riduzione  della concentrazione salivare di  alcune specie batteriche cariogene, quali lo  Streptococcus mutans e i lactobacilli. 

La carie infatti è una malattia infettiva di origine batterica in grado di produrre la perdita di sostanza dura del dente, fino ad arrivare alla cavitazione e dunque alla lesione cariosa. L’accumulo e la persistenza del biofilm della placca batterica sulle superfici dentali è il principale fattore responsabile del danno dei tessuti duri del dente e della conseguente cavitazione. 

Nello specifico nella placca batterica matura, presente da diversi giorni sulle superfici dentali, le specie batteriche responsabili di questo danno sono ritenuti i succitati Streptococcus mutans e lactobacilli: si tratta di specie batteriche particolari, in grado di fermentare gli zuccheri semplici per produrre acidi capaci di demineralizzare i tessuti duri del dente; le capacità di acido-produzione e acido-resistenza fanno di questi batteri le specie cariogene per definizione. 

I probiotici sono invece specie batteriche non patogene per l’uomo, e in grado di svolgere molte attività favorevoli, tra cui appunto  quella di antagonizzare diverse specie batteriche patogene per l’organismo nei suoi vari distretti e, in particolare, lungo tutto il tubo digerente. Tra le principali azioni ci sono la produzione di agenti antibatterici (batteriocine) e acqua ossigenata, in grado di uccidere le specie batteriche patogene, e la competizione con queste ultime per le sostanze nutritizie e le superfici da colonizzare. 

La conferma del loro ruolo positivo nel contrasto alla caria viene da uno studio clinico controllato e randomizzato condotto da Javid e il suo gruppo di lavoro, che ha valutato come la somministrazione di yogurt, contenente il probiotico Bifidobacterium lactis Bb12, potesse influire sulla concentrazione salivare delle specie batteriche cariogene Streptococcus mutans e lactobacilli. 

Sono stati reclutati 66 studenti che presentavano lesioni cariose in fase iniziale e di conseguenza con spiccata presenza di specie batteriche cariogene nella saliva. 

In una fase successiva i soggetti reclutati sono stati suddivisi, mediante procedimento di randomizzazione, in due gruppi. Il primo gruppo (n=33) era quello d’intervento al quale è stato somministrato 300 grammi al giorno per otto settimane uno yogurt contenente il probiotico, mentre il secondo gruppo di controllo (n= 33) ha ricevuto lo stesso quantitativo, per lo stesso numero di giorni, di yogurt privo del probiotico e dunque uno yogurt convenzionale. Nessun drop-out di soggetti è stato osservato nelle otto settimane di trattamento e dunque, per entrambi i gruppi, i soggetti inclusi sono rimasti costanti (n=33). 

L’indice DMFT (Decayed, Missing, and Filled Dental) dei soggetti reclutati nello studio era pari a 2.47±0.38 e la conta batterica al baseline di Streptococcus mutans  era simile sia nel gruppo d’intervento sia in quello di controllo, mentre una maggiore presenza di lactobacilli era presente nel gruppo d’intervento (significativa dal punto di vista statistico p=0.001). 

Lo studio è stato condotto in doppio cieco: la persona che ha compiuto le procedure sui due gruppi e l’analizzatore dei risultati erano due persone diverse. I risultati dello studio sono stati valutati attraverso un prelievo di saliva al termine delle otto settimane di sperimentazione, con successiva conta batterica (cfu, unità batteriche formanti colonie). 

La conta batterica ha evidenziato che nel gruppo d’intervento, che aveva assunto yogurt a base di Bifidobacterium lactis Bb12, è apparsa una significativa (p=0.001) riduzione salivare delle specie batteriche cariogene Streptococcus mutans e lactobacilli. Nel gruppo controllo, che aveva assunto yogurt convenzionale, non si è invece osservata una riduzione significativa, dal punto di vista statistico, della concentrazione salivare delle specie batteriche cariogene. 

L’implicazione clinica più importante che emerge da questo studio è che esistono buone prospettive riguardo l’efficacia dei probiotici nel ridurre le specie batteriche cariogene intraorali e di conseguenza la comparsa e la progressione delle lesioni cariose, e che quindi determinati alimenti, come ad esempio il comunissimo yogurt, potrebbero rappresentare un buon mezzo per veicolare i probiotici all’interno del cavo orale. 

Allegati

Effect of probiotic yogurt containing Lactobacillus acidophilus and Bifidobacterium Lactis on lipid profile

L’efficacia dei probiotici nella prevenzione della carie 

Le fake news non risparmiano neanche i probiotici: il termine “probiotico” è infatti entrato nel linguaggio comune, e gode di una generalizzata – ma spesso superficiale- fama, quasi miracolosa. Spesso però le aspettative della popolazione in generale sugli effetti dei probiotici sono irrealistiche: l’idea diffusa è che possano apportare benefici in caso di disturbi gastrointestinali, ma anche rinforzare il sistema immunitario, e contribuire persino al miglioramento in caso di disturbi mentali o malattie cardiovascolari; ma la realtà scientificamente dimostrata è ben più specifica e circostanziata…

Il rischio per chi si informa online è consistente: Internet e i social network sono infatti pieni di informazioni riguardanti i probiotici, ma spesso provengono da siti commerciali (che quindi perseguono un interesse di parte e sono interessati a mettere in luce determinati e non meglio specificati benefici), o da blog di sedicenti “esperti”, che nella maggior parte dei casi non citano fonti scientifiche, o a volte dichiarano benefici che non sono stati provati da studi clinici e di solito non menzionano i possibili effetti collaterali.

La conferma di questa eccessiva “mitizzazione” dei probiotici arriva anche da uno studio condotto dai ricercatori dell’Université libre de Bruxelles e della Brighton and Sussex Medical School nel Regno Unito, e pubblicato sulla rivista Frontiers in Medicine.

«Le informazioni online sono state fondamentali per promuovere i probiotici in tutto il mondo. Tuttavia, solo pochi studi clinici rigorosi hanno soddisfatto i severi criteri richiesti per stabilire l’efficacia e la sicurezza dei probiotici», hanno osservato gli autori dello studio.

Per verificare l’attendibilità delle informazioni che si possono trovare online, i ricercatori hanno analizzato i contenuti dei primi 150 siti internet, apparsi cercando la parola “probiotici” su Google. Hanno classificato i siti web per categorie (commerciali, governativi, portali che trattano di medicina, ecc…), e hanno poi valutato gli articoli sulla base del punteggio JAMA (che prende in considerazione la presenza di 4 elementi: il nome dell’autore, la data della pubblicazione o degli aggiornamenti, il nome del proprietario del sito e il riferimento a fonti) e sulla presenza dell’ HONcode, una certificazione indipendente che attesta l’affidabilità e la credibilità dell’informazione. Infine, hanno preso in considerazione la completezza dell’informazione scientifica dell’articolo, in termini di referenze e avvertimenti su benefici e effetti indesiderati dei probiotici. Le informazioni scientifiche riportate, in particolare gli effetti benefici, sono state verificate sulla Cochrane Reviews, un database di revisioni sistematiche e meta-analisi che sintetizzano e interpretano i risultati della ricerca medica.

Dalla ricerca è emerso che quasi la metà dei siti web erano commerciali e in genere avevano un basso punteggio per quanto riguarda i criteri JAMA e l’HONcode. I portali che trattano di medicina e le news si sono rivelati invece più affidabili. Il 35% dei siti faceva riferimento alla letteratura scientifica, il 25% menzionava i possibili effetti collaterali e solo il 15% menzionava le disposizioni normative. Il 19% dei siti web non hanno fornito informazioni sui ceppi batteri che compongono i probiotici.

Tra le 325 dichiarazioni che vengono fatte sui probiotici nei diversi siti, solo 77 sono supportate da prove scientifiche comprovate presenti nelle recensioni di Cochrane, invece 66 non sono supportate da alcuna prova scientifica.

L’88% dei siti riporta i benefici rispetto ai disturbi gastrointestinali, che trovano in effetti riscontro negli studi scientifici. Il 62% dei siti parla però di potenziamento immunitario, «a malapena studiato nei trial clinici, lo stesso vale per i disturbi mentali e le malattie cardiovascolari», scrivono gli autori.

Dalle recensioni di Cochrane emerge in effetti che i probiotici possano avere un effetto positivo in caso di diarrea infettiva, inclusa la colite associata a Clostridium difficile. Tuttavia, vi è ancora incertezza su quali probiotici debbano essere utilizzati per quali gruppi di persone e anche per valutare l’efficacia in termini di costi di questo trattamento. «Le recensioni di Cochrane supportano anche l’uso di probiotici nella prevenzione dell’enterocolite necrotizzante nei neonati pretermine, ma con dati insufficienti riguardo ai benefici e ai potenziali effetti avversi nei neonati più a rischio», aggiungono gli autori.

I ricercatori hanno comunque osservato che la top 10 di articoli di Google era piuttosto affidabile: la metà degli articoli aveva la certificazione HONcode (rispetto al 6% degli articoli restanti) e un buon livello di completezza delle informazioni scientifiche.

Una ricerca che conferma quanto sia importante fare attenzione quando si decantano le proprietà “miracolose” di questi microorganismi, e quanto sia importante un’informazione scientifica accuratamente vagliata.

Ecco perché prima di assumere un probiotico (e sempre sotto indicazione medica), contenuto in un alimento, è importante conoscere il nome completo del ceppo di appartenenza, la quantità di probiotici vivi contenuti nel prodotto e le adeguate condizioni di conservazione: informazioni che devono essere, di norma, tutte riportate sulla confezione dei cibi o integratori specifici. È importante ricordare che, sebbene abbiano nomi tra loro simili – ad esempio Lactobacillus casei Shirota, Lactobacillus johnsonii, La1 e così via – in realtà il principio di azione di questi microorganismi è differente, così come le reazioni che potrebbero suscitare nell’organismo a causa di uno scorretto utilizzo o di un sovradosaggio.

Probiotici: rischio “fake news” su internet