Moby Dick in profumeria 

“Chiamatemi Ismaele...” 


E’ uno degli incipit celebri della letteratura mondiale. 

Apre "Moby Dick" ("Moby-Dick; or, The Whale", 1851) di Herman Melville, un’opera immensa che si colloca nell’empireo dei grandi classici di sempre e la cui lettura va ben oltre lo specifico della meticolosa narrazione sulla caccia alle balene. Infatti, attraverso le figure drammatiche del capitano Achab e della inquietante e spaventosa balena bianca che lo tormenta, l’opera di Melville ha suscitato e continua a suscitare percorsi interiori che interpellano in profondità l’essere umano e la sua tensione alla conoscenza. Visione raccolta dal grande Vittorio Gassman in una sua piece teatrale che rielabora Moby Dick affiancando alla tragedia marina l’ omerico Ulisse di dantesca memoria di cui recita il famoso canto della “Commedia”.  


Oggi parlare di caccia alle balene è (giustamente) molto problematico e attuale (è notizia di questi giorni che l’Islanda  ha deciso di bandirne la caccia dal 2024), perché interpella la salvaguardia di queste specie decimate da anni di sfruttamento. Restano altri Paesi che la permettono ma con sempre maggiori restrizioni e regolamentazioni. 


Tuttavia caccia sistematica c’è stata, specialmente negli anni di Melville, siamo a metà 1800, quando la balena era fonte preziosa di alimento certo, ma soprattutto olio che serviva per la illuminazione, e di una sostanza, ed eccoci arrivati a noi, preziosa nella cosmetica di ogni tempo: è la cosiddetta “ambra grigia”. 

Fino a qui abbiamo parlato di “balena”, ma più propriamente dovremmo parlare di “capodoglio”. Ebbene l’ambra grigia (che nulla ha che vedere con l’ambra fossile), è una sostanza chiamata anche “vomito di balena”. E forse proprio per evitare un termine oggettivamente poco “appealing”, è stata ingentilita come “ambra”. 

E’ una sostanza dal fortissimo odore. Si forma come strato protettivo, un anti-infiammatorio, rilasciato dalle interiora dell’animale per ricoprire le sostanze estranee che introduce alimentandosi, quindi le seppie con i loro becchi, i crostacei e i loro gusci. Purtroppo, oggi, ahimè, anche rifiuti di ogni tipo. 

Questa reazione protettiva produce una sostanza solida organica, l’ambra grigia appunto, che poi viene per lo più espulsa dal corpo. La mancata espulsione può portare a seri problemi, fino all’esito fatale per il cetaceo. Queste masse di varie dimensioni espulse vanno quindi in galleggiamento anche per anni. 

L’ambra grigia ha un odore orrendo all’origine ma con l’andare del tempo, levigata dall’acqua marina, toccata dai raggi del sole, si trasforma in un materiale organico profumatissimo e prezioso e per questo da sempre molto ricercato dai profumieri. Non solo “fissa” il profumo ma ne garantisce anche preziose, uniche, note olfattive.  

L’“ambreina” è il componente principale di questo olio essenziale e sono presenti anche in piccole quantità feromone, castoreo, muschio, noti per le loro intense caratteristiche aromatiche. 


Lasciando la caccia, sempre più limitata, e avendo una reperibilità così casuale, come abbiamo visto in galleggiamento oppure in animali spiaggiati, il valore economico che rappresenta l’ambra grigia può arricchire chi la trova in buona quantità. Profumi, uso rituale come incenso, afrodisiaci, hanno sostenuto nei secoli non poche economie di zona.  

Come si può immaginare la tecnologia ha permesso di ricreare un analogo sintetico dell’ambra grigia. Che, tuttavia, non può avere le stesse caratteristiche del prodotto naturale.  


Come sempre la natura sorprende. Insostituibile fonte di risorse, in questo caso anche di bellezza, non smette di inviarci segnali forti per la sua salvaguardia. Come “amministratori delegati” del nostro pianeta abbiamo il dovere, senza cadere in eccessi ideologici che non fanno altro che radicalizzare barriere preconcette anziché creare ponti di dialogo, di prendere sempre più coscienza delle nostre responsabilità educandoci (qui parliamo di pesca ma è anche opportuno sottolineare il fatto, positivo, che di sostanze di origine animale, anche in profumeria, ce ne sono sempre meno), in scelte che possano nel tempo riequilibrare il creato. 


Moby Dick è un fantasma terrificante per il capitano Achab che nella sua folle ossessione arriva a sacrificare all’altare del suo io devastato, una nave e, tranne Ismaele, la voce narrante, l’intero equipaggio. 

Ma nulla, e lo sa bene chi ama avventurarsi al largo, è emotivamente più esplosivo del salto inatteso di un cetaceo di fianco alla nostra barca (piccola metafora della vita) che diventa un grido di gioia capace di spazzare da noi ogni fantasma.

Giulio Fezzardini

Redazione BH Italia

TKS Publisher

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