Il marchio in soffitta: quali conseguenze?

Da consumatrice mi è successo di chiedere in profumeria o in farmacia un certo prodotto e sentirmi rispondere che no, quel prodotto proprio così non esiste più; adesso ne esiste una nuova versione con una formulazione più efficace, o con una fragranza più intensa, o senza questo o senza quello… il prodotto ora non si chiama più X ma Y.

Da avvocato, invece, mi chiedo: e il marchio del prodotto precedente? L’imprenditore sa cosa rischia a non usare più il “vecchio” marchio?

Oppure succede che il marchio viene registrato per una categoria di prodotti generica (es. “cosmetici”) ma poi viene utilizzato solo per una parte di detti prodotti.

Il non uso prolungato del marchio ha delle conseguenze sul piano giuridico che è opportuno conoscere prima di decidere per il non uso del marchio.

L’art. 24, comma 1, del codice della proprietà intellettuale (c.p.i.) stabilisce che “A pena di decadenza il marchio deve formare oggetto di uso effettivo da parte del titolare o con il suo consenso, per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato, entro cinque anni dalla registrazione, e tale uso non deve essere sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, salvo che il mancato uso non sia giustificato da un motivo legittimo” (Ref 1).

Una norma del tutto simile è prevista all’art. 58, comma 1, Regolamento UE 2017/1001 (Ref 2).

Lo scopo di queste norme è chiaro: il legislatore intende sgombrare i registri dai marchi per i quali i titolari non dimostrano un reale interesse; la permanenza dei segni non usati in detti registri impedirebbe a chi fosse realmente interessato alla registrazione/uso di un certo segno di non poterlo utilmente registrare/utilizzare.

La legge quindi prevede che, una volta che il marchio sia stato concesso esso deve essere utilizzato in modo “effettivo” entro cinque anni dalla data di concessione del marchio (e non, quindi, dal deposito della domanda), e tale uso non deve essere sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni.


Quando l’uso può considerarsi effettivo?

Né la legge né la giurisprudenza fissano regole minime in relazione ai requisiti (anche quantitativi) di uso del segno sufficienti ad escludere la decadenza.

L’uso effettivo, come chiarito dalla giurisprudenza nazionale e dell’Unione Europea, non mira a verificare il successo di un prodotto sul mercato né a controllare la strategia economica del titolare del segno, esso si identifica con un uso reale e concreto, con esclusione di ipotesi di uso meramente simbolico, sporadico o episodico, teso soltanto a conservare i diritti conferiti dal marchio.

La valutazione sull’uso effettivo avviene di volta in volta, considerate le circostanze del caso concreto. Così, ad esempio, se si parla di auto di lusso o di farmaci destinati alla cura di una malattia rara è ovvio che anche la vendita di poche unità di prodotto potrà essere considerato uso effettivo; la medesima quantità di vendite potrebbe non esser sufficiente a dimostrare l’uso effettivo del marchio per prodotti di basso costo unitario o di largo consumo. Altri elementi che andranno presi in considerazione (oltre la tipologia di beni o servizi e la quantità di vendite) saranno, ad esempio, l’estensione territoriale dell’uso, il mercato di riferimento, ecc.

Anche l’uso pubblicitario del segno può contribuire alla prova l’uso effettivo ma non può essere l’unico elemento di prova (Corte di Giustizia 11 marzo 2003, causa C-40/01, caso «Ansul» e Corte di Giustizia 27 gennaio 2004, C-259/2002, caso «La Mer»). Importante però sottolineare che l’uso pubblicitario del segno ha un rilievo solo se prodromico alle vendite del prodotto.

Quindi, ad esempio, l’uso effettivo del marchio non potrebbe essere dimostrato esclusivamente attraverso un uso su gadget, sui social network o sul sito aziendale se non accompagnato da una funzione di e-commerce; in particolare la Corte di Giustizia ha ritenuto che l’avere inserito la funzione di e-commerce ma in una piattaforma non specificatamente destinata al consumatore nazionale non sia elemento sufficiente a dimostrare l’suo sul territorio nazionale (in questo senso, sia pure in una questione non relativa alla decadenza per non uso, Corte di Giustizia 12 luglio 2011, C-324/09, caso «Oréal» - par. 64; la decisione si può leggere a questo link, nonché Trib. Milano, 11 giugno 2018 e da Trib. Roma, 4 marzo 2019).


La decadenza è un effetto automatico del non uso?

La decadenza non è un effetto che si verifica automaticamente decorso il termine quinquennale di non uso. Piuttosto, essa dovrà essere richiesta da un terzo (verosimilmente un concorrente attuale o potenziale che semplicemente affermi di ritenere l’esistenza del marchio un ostacolo all’esercizio della sua attività, senza che debba essere dimostrato un interesse più specifico) tramite un’azione giudiziaria avanti al Tribunale in via principale o in via riconvenzionale (la domanda riconvenzionale è quella proposta da chi è chiamato in giudizio, c.d. “convenuto”, che, non solo si limita a difendersi, ma a sua volta propone una domanda nei confronti di chi lo ha chiamato in giudizio, c.d. “attore”).

Per i marchi EU la decadenza può anche essere richiesta da un terzo, in via amministrativa, con un procedimento avanti l’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO), lo stesso Ufficio che si occupa della concessione dei marchi dell’Unione Europea.


Chi deve dimostrare il non uso o l’uso?

Iniziato il procedimento per fare accertare la decadenza per non uso di un certo marchio è il titolare del marchio a dovere dimostrare di avere usato il marchio; ciò in quanto è evidente che la prova di un fatto negativo (il non uso appunto) è una prova diabolica, impossibile da fornire con certezza. Dunque, chi è interessato ad ottenere la pronuncia di decadenza di un marchio altrui potrà limitarsi ad affermare che il titolare del marchio non lo ha utilizzato in modo effettivo per un periodo di cinque anni; spetterà al titolare del marchio fornire le prove dell’uso effettivo e serio del marchio al fine di conservare la registrazione.

Il rischio è, appunto, quello di vedersi dichiarato decaduto il marchio per non uso come ad esempio successo – in primo grado (la decisione non è definitiva) -al colosso americano McDonald's in relazione al marchio dell’Unione Europea “Big Mac” a causa di un procedimento avanti l’EUIPO iniziato dalla società Supermac's (Holdings) (decisione n. 14 788 C dell'11 gennaio 2019). Secondo l’EUIPO la società McDonald's non ha fornito sufficienti ed oggettivi elementi di prova a dimostrazione dell’utilizzo ininterrotto del marchio Big Mac nel territorio dell’Unione Europea.


L’uso del marchio in una forma diversa vale come prova d’uso?

Dipende da quanto il marchio usato risulta diverso rispetto al marchio a rischio decadenza. Se le modifiche apportate sono tali da non alterare il carattere distintivo del segno, tale uso è equiparato all’uso del marchio (articolo 24 c.p.i. citato, II comma) ed è quindi utile ai fini della valutazione della decadenza/non decadenza.

Secondo la giurisprudenza comunitaria è necessario determinare anzitutto quali siano gli elementi distintivi e dominanti del segno registrato e poi verificare se essi siano presenti anche nel segno utilizzato.

Per quanto riguarda le integrazioni: più segni possono essere usati contestualmente senza modificare il carattere distintivo del segno registrato; se l'aggiunta non è distintiva o non è dominante, essa non altera il carattere distintivo del marchio registrato.

Per quanto riguarda le omissioni se l'elemento omesso si trova in una posizione secondaria e non distintiva, la sua omissione non altera il carattere distintivo del marchio.


Ad esempio, l’uso del marchio qui sotto riportato è stato ritenuto uso idoneo a evitare la decadenza del marchio BIONSEN in quanto «la combinazione della forma stilizzata della parola “BIONSEN” e del carattere giapponese, indipendentemente dal fatto che si trovi sopra o sotto la parola “BIONSEN”, costituisce al massimo un uso diverso dalla forma in quale è stato registrato solo in elementi trascurabili. La parola “BIONSEN” come usata è semplicemente una stilizzazione leggera e banale della parola 'BIONSEN'. Quanto all'aggiunta dell'elemento figurativo sotto forma di un elemento circolare con carattere giapponese, questo sarà difficilmente notato dal consumatore medio a causa delle sue dimensioni e della posizione relativamente ridotte, sotto o a destra sopra la parola "BIONSEN”» (punto 23) della decisione dell’EUIPO R1236/2007-2 del 18/04/2008 (la decisione si può leggere a questo link).


È possibile una decadenza parziale del marchio?

Proprio con riferimento a prodotti cosmetici, ha risposto in modo positivo l’EUIPO, che ha dichiarato la decadenza parziale per non uso del marchio tridimensionale illustrato nell'immagine qui sotto riportata che era stato depositato per la classe 3 (cosmetici, in particolare le creme cosmetiche per la pelle). Secondo l’Ufficio il titolare del marchio (la tedesca Beiersdorf AG) era riuscito a dimostrare l‘uso effettivo del marchio per creme per mani ma non per gli altri prodotti appartenenti alla classe 3 come per es. prodotti per il trucco e prodotti per la cura dei capelli (la decisione si può leggere a questo link) con la conseguenza che il marchio è stato dichiarato decaduto per non uso limitatamente alla classe 3 con l’esclusione delle creme per mani. Tale decisione è stata confermata in secondo grado avanti la Commissione dei Ricorsi.

Il non uso che dipende da un legittimo motivo può impedire la decadenza?

La legge prevede che se il titolare del marchio dimostra che il mancato uso sia giustificato da un legittimo motivo, la decadenza non può essere dichiarata e il marchio rimane valido.

Il legittimo motivo è quello che non dipende dalla volontà del titolare come ad es. una guerra o la mancata concessione di un’autorizzazione amministrativa (per es. alla produzione) ma non è legittimo motivo l’assenza di mezzi finanziari dell’impresa che rientra nel normale rischio che assume l’imprenditore.


Conclusioni e best practices del titolare del marchio.

Alla luce di quanto sopra, anche considerata la difficoltà che talvolta si incontra a individuare dei nomi “liberi” da usare come marchio, specie in un settore così affollato come quello cosmetico, è opportuno predisporre – almeno per i marchi meno usati – documentazione che all’occorrenza possa essere utilizzata per dimostrare la non decadenza del marchio.

È quindi buona regola per le aziende tenere un archivio organizzato per anno e per tipologia (es. fattura di vendita, pubblicità, cataloghi ecc.) delle prove d’uso e conservarle in modo da non perdere le prove per potere documentare l’uso in caso di contestazioni da parte di terzi.

Per quanto riguarda le fatture bisogna anche considerare che quasi mai esse riportano il marchio ma indicano il prodotto tramite un codice. Pertanto, affinché le fatture abbiano valore probatorio per dimostrare l’effettiva commercializzazione dei prodotti/servizi è indispensabile conservare anche i cataloghi datati che riconducano il codice al prodotto e al relativo marchio.

La mancanza di queste prove potrebbe mettere in difficoltà anche coloro che usano nella realtà il marchio ma non sono in grado di dimostrarlo.

Inoltre, quando si intende registrare un nuovo marchio che, all’esito delle eventuali ricerche di anteriorità, è già presente nei registri è opportuno – prima di desistere – valutare se possa essere utilmente proposta l’azione di decadenza al fine di sgombrare il registro dal marchio altrui e potere quindi depositare il proprio marchio.