Dalla parte del consumatore
Annalisa Betti
Giornalista professionista
Beauty & SPA | Italia
Bio...
Annalisa Betti, giornalista professionista dal 2005, scrive di bellezza e benessere sulle più importanti testate italiane, con specializzazione su profumeria artistica, make-up e SPA, con un occhio di riguardo a scenari e tendenze globali. Di lei dicono che ha uno stile ironico, schietto e inconfondibile, anche grazie ai riferimenti all'ambito musicale, che spesso si diverte a citare. In vent’anni di carriera ha costruito una reputazione basata su etica e affidabilità. I suoi guru sono Diego Dalla Palma, Coco Chanel e Jean-Claude Ellena.
Probabilmente è il dibattito beauty più acceso dell’autunno ed è la punta dell’iceberg di una controversia ben più profonda.
Tutto è nato in luglio, quando sul Red Carpet del Festival di Cannes abbiamo visto attrici come Andie MacDowell e Jodie Foster sdoganare capelli non tinti. In realtà, anche Caroline di Monaco preferisce mantenere naturale il suo hair-look. E Sarah Jessica Parker, sul set di ‘And just like that’, interpreta una Carrie che fa ben poco per mimetizzare i capelli bianchi.
Sulla scorta delle immagini pubblicate sui media è dunque nato un vero e proprio dibattito che ha diviso le folle – femminili – in un modo così netto come forse neanche Guelfi e Ghibellini; e ha dato origine a un dibattito acceso nel quale da una parte si rivendica, in sostanza, il diritto ad apparire come si è, senza sottostare alla (presunta) schiavitù del ritocco; dall’altra, ci si chiede perché mai rinunciare a un altro diritto, quello di avere un aspetto curato, e non importa se questo risultato passa anche dal colorarsi i capelli.
Leggendo i commenti sotto ai post sui social, ho immaginato le classiche due fazioni, l’un contro l’altra armate, ognuna delle quali faceva di tutto per convincere la controparte della validità delle sue ragioni, senza peraltro riuscire nell’intento, per il semplice motivo che non è sul piano della razionalità che si vince una battaglia del genere. Non ci sono vincitori e vinti, perché entrambi i diritti di cui sopra sono sacrosanti.
Ma poiché il cerchiobottismo non è un atteggiamento che condivido, vi propongo una riflessione.
La premessa resta quella dei due diritti inalienabili ed è inattaccabile nel ‘mondo-come-dovrebbe-essere’. Ma cosa succede nel mondo reale, quello in cui siamo – a torto o a ragione – sottoposti a un bombardamento mediatico che ci vuole curatissime e impeccabili, e a un altro bombardamento, meno dichiarato e palese, più subdolo e subacqueo, ovvero quello dell’opinione della gente? Sono due fronti che dobbiamo considerare, soprattutto se lavoriamo in un settore che costruisce buona parte della sua fortuna (e del suo fatturato, non siamo ipocriti) sull’aspetto esteriore.
Avere un aspetto in ordine e ben curato fa parte dei nostri doveri, se desideriamo essere credibili e coerenti col messaggio che vogliamo dare di noi. Come si dice, ‘non esiste una seconda possibilità di fare una buona prima impressione’, perciò è utile agire di conseguenza: se decidiamo di aderire al movimento ‘no dye’, va bene. Ma questa scelta non ci autorizza a sembrare la Maga Magò. E non è giusto neanche verso noi stesse, non soltanto verso gli altri. Perché il nostro aspetto esteriore è la nostra interfaccia con il mondo e racconta molto di noi: ad esempio, ogni mattina scegliamo cosa indossare non solo perché è comodo o ci tiene caldo, ma anche perché ci sta bene. Allora, perché dobbiamo agire con un altro criterio quando si tratta dei nostri capelli?
Se crediamo veramente che la tinta sia una schiavitù, ok. Non tingiamo i capelli. Ma prendiamocene cura. Perché fanno parte di noi esattamente come la nostra pelle, come il viso a cui dedichiamo tante attenzioni. Se invece così non fosse, se al contrario siamo convinte che ‘io sono così e basta’, forse è il caso di porsi delle domande. Perché non merito attenzioni? Perché gli altri mi devono accettare come sono? Perché non voglio apparire in ordine?
Certo, fare i conti con la realtà e con noi stesse non è sempre facile, perché il rischio è di scoperchiare il vaso di Pandora. Ma può valere la pena almeno provare.