NEUROCOSMESI

La pelle è un organo molto complesso da un punto di vista fisiologico ed ancora più complesso dal punto di vista sociale. L’esteriorità cutanea è da sempre il nostro biglietto da visita mediante il quale ci rapportiamo con l’altro. Non stupisce quindi, come la pelle o, meglio, il suo aspetto, coinvolga la componente psicologica dell’individuo fino ad influenzare la sua autostima e le interazioni sociali. Questo perché la pelle oltre ad essere una barriera fisica all’ambiente esterno è anche un elemento di confine tra interiorità ed esteriorità. Esiste così una profonda ed intima connessione tra pelle e cervello che non è solo ancestrale, che non risale solo alle comuni origini ectodermiche embrionali. Abbiamo i “nervi a fior di pelle”, “a pelle si sentono cose cui le parole non sanno dare un nome” (cit. Alda Merini), proviamo sensazioni “a pelle” e poi ancora abbiamo la pelle d’oca o ridiamo “a crepapelle”. Queste frasi testimoniano come tale connessione non sia solo riservata agli studiosi, ma che è così palese da essere riconosciuta anche dalla cultura popolare. Il cosmetico diventa così un mezzo per parlare alle nostre emozioni attraverso la pelle. Il concetto che ne deriva è stato in vario modo descritto come neurocosmesi o psicocosmesi e che, per me, dovrebbe essere più propriamente descritto come cosmetica delle emozioni. Ma prima di addentrarci nell’affascinante mondo delle emozioni facciamo chiarezza sul significato di neurocosmetico e di psicocosmetico.

INTRODUZIONE

Il termine neurocosmetico è stato coniato per la prima volta dal Prof. Laurent Misery (Università della Bretagna occidentale) nel 2002 per definire quei prodotti che applicati sulla pelle esibiscono attività sul sistema nervoso cutaneo o in generale effetti sui mediatori cutanei (1). Tale concetto non ha ricevuto grande attenzione fino a quando non se ne parlò cinque anni più tardi durante l'incontro annuale della Società dei Chimici Cosmetologi di New York (New York Society of Cosmetic Chemists) (2). Il meccanismo di azione di questa classe di prodotti prevede sia una stimolazione diretta delle terminazioni nervose cutanee (principalmente presenti a livello profondo nel derma, fatta eccezione per le più superficiali terminazioni nervose libere intraepidermiche) che una stimolazione non diretta mediante modulazione dell’attività di cellule non nervose in grado a loro volta di influenzare l’attività delle cellule nervose. Visto il loro sito di azione, i neurocosmetici si portano dietro dei dubbi che sarebbe bene chiarire. Come prima cosa è necessario stabilire come dovremmo inquadrare a livello regolatorio questa classe di ingredienti e, successivamente, i prodotti neurocosmetici che li contengono. In secondo luogo, dovremo poi definire se è possibile che questi ingredienti possano giungere al sito in cui devono svolgere la loro efficacia. Delle due domande è proprio la seconda ad essere di più difficile risposta. E non lo è perché si parla di cosmetico e penetrazione (credo che questo tabù sia ampiamente superato), ma perché le molecole, per arrivare attive e funzionali sino al profondo derma, devono dapprima penetrare lo strato corneo e successivamente devono attraversare gli strati metabolicamente attivi della pelle senza essere degradati, per poi arrivare nel loro sito bersaglio. Molti degli studi sui meccanismi di azione degli ingredienti ad azione neurocosmetica o dei neurocosmetici sono effettuati su sistemi cellulari in cui il prodotto è a diretto contatto con la cellula bersaglio. Questo porta a postulare un eventuale meccanismo di azione di tipo neurocosmetico che però non fa i conti con l’oste, ovvero con la veicolazione dell’ingrediente fino al suo sito di azione. Ed in ultimo quando parliamo dei neurocosmetici dovremmo chiederci se li stiamo comunicando nel modo giusto. Non è che stiamo facendo confusione tra neurocosmetico e l’esperienza di benessere dovuta al tocco sensoriale della texture del prodotto?

NEUROCOSMETICO

VINCENZO NOBILE

Direttore della ricerca e sviluppo, Complife Group



Bio...

MEMBRO DEL COMITATO SCIENTIFICO 

di BEAUTY HORIZONS ITALIA

Se il concetto di neurocosmetico è maggiorenne ai tempi di scrittura di questo articolo, il concetto di psicocosmetico è anziano, anzi no volevo dire maturo; maturo e ben invecchiato come si conviene per un concetto cosmetico. Il termine psicocosmetico compare per la prima volta alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso (precisamente nel 1986) in una tesi/dissertazione intitolata «“Psychocosmetic" treatment of depression: a comparative study» (3). Nella sua accezione iniziale il termine indicava la combinazione tra terapia cognitiva e istruzioni cosmetiche quale trattamento in grado di migliorare l’autostima mediante il miglioramento dell’aspetto esteriore. Successivamente, il concetto si è ulteriormente sviluppato ed è riemerso ottenendo maggiore popolarità nel periodo della pandemia di COVID-19. Il psicocosmetico, non più associato alla terapia cognitiva, diventa così un cosmetico in grado di generare sensazioni positive mediante specifiche caratteristiche legate alla sua texture. Data questa definizione, è palese come questa attività sia più affine al cosmetico piuttosto che al neurocosmetico. Meglio ancora, questa attività non crea imbarazzo regolatorio perché rientra al 100% nella definizione (attuale) di cosmetico. Un psicocosmetico è quindi un cosmetico promotore e portatore sano di benessere, gratificazione, autostima e autodeterminazione. I suoi benefici sono quelli legati alla promozione del benessere mentale dell’individuo a cui consegue un miglioramento della qualità dell’umore, delle relazioni sociali e più in generale della qualità della vita. Questo miglioramento non è effimero se legato ad una beauty routine e ad uno stile di vita consolidati. L’effetto benefico di questi cosmetici trova la sua più nobile definizione nel campo applicativo delle procedure estetiche volte a preservare il benessere cutaneo e l’immagine di persone il cui aspetto è alterato dalle terapie oncologiche.

PSICOCOSMETICO

Quindi dopo aver definito il neurocosmetico e il psicocosmetico siamo ancora certi di voler associare alla parola cosmetico questi due suffissi di natura medica? Sebbene i due concetti possano essere (forse) attrattivi da un punto di vista della comunicazione scientifica, lo sono un po’ meno da un punto di vista della comunicazione marketing. Ma soprattutto, nella maggior parte dei casi quando si parla di questi prodotti se ne parla impropriamente volendo fare riferimento alla sensazione di benessere e dell’emozione che scaturisce dall’applicazione del prodotto. È per questo motivo che quando mi riferisco a questi prodotti preferisco parlare di cosmetica delle emozioni, piuttosto che utilizzare un naming che fa commistione di suffissi medici associati al cosmetico. E questo non perché il cosmetico sia frivolo, ma perché è giusto mantenere una doverosa separazione tra la medicina (e i suoi rami) dalla cosmetologia. La cosmetologia è, infatti, una scienza seria che non ha bisogno di trovare in altre scienze conferme del proprio operato (per quanto sia lecito accettare commistioni ad essa esterne).

L’emozione cosmetica può essere definita da un’equazione che mette in correlazione la durata dello stimolo, con l’intensità con cui esso attiva il sistema nervoso e con la sua valenza (positiva o negativa). Da questa semplice equazione ci accorgiamo già da subito che a differenza delle emozioni primarie (es. gioia, sorpresa, tristezza), suscitate da altri stimoli, le emozioni causate da un cosmetico hanno un grado di attivazione del sistema nervoso di molto inferiore. Questo ha profonde implicazioni sulla nascita dell’emozione, sulle componenti della formula che sono in grado di stimolarle ed in ultimo sui metodi con cui è possibile dimostrare che il cosmetico è stato in grado di suscitare un’emozione sulla nostra pelle. Infatti, il concetto delle emozioni cosmetiche è di sicuro affascinante ma diventa pura teoria se non riusciamo a dimostrarlo. Ed è qui che chiediamo aiuto alle neuroscienze applicando metodi tipici di questa disciplina scientifica, tecniche che riescono ad elaborare il segnale elettrico del nostro cervello nelle aree in cui hanno origine le emozioni.

La cosmetica delle emozioni è quindi quella parte di cosmesi che non solo considera la bellezza esteriore, ma che si fa carico di parlare alla parte più intima di noi stessi elevando il concetto di bellezza oltre i canoni odierni. Questo aspetto ha anche implicazioni sull’efficacia del prodotto stesso e spiega i meccanismi dietro all’efficacia percepita, che non è la semplice misura di parametri cutanei. Oltre agli ingredienti attivi, l’efficacia di un cosmetico è influenzata anche dalle emozioni che il cosmetico suscita, ovvero è influenzata da tutti quei fattori che in una crema hanno azione sull’equilibrio psico-fisico del soggetto.


Per concludere, ricordiamoci che la cosmetologia è una scienza seria e dimostra di esserlo solo quando, seppure contaminandosi, mantiene ben saldi i concetti alla base della sua vera essenza. Non c’è bisogno di strafare, la cosmetologia fa già tanto: non è mica cosa di poco conto parlare alle emozioni delle persone attraverso la loro pelle.

COSMETICA DELLE EMOZIONI

No. È possibile testare almeno tre referenze di colore rappresentative degli estremi dell’intera gamma (es. tonalità chiara, media, scura) per poi estendere il risultato a tutte le tonalità di colore.

BISOGNA TESTARE TUTTE LE TONALITÀ DI COLORE DELLA GAMMA? 

LA COSMETICA DELLE EMOZIONI, OVVERO L’AFFASCINANTE MONDO DELLA CONNESSIONE TRA PELLE E CERVELLO

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