VITAMINA D E IMMUNE HEALTH*
La vitamina D è una sostanza essenziale per il mantenimento in salute dell’organismo. Si tratta del precursore di un ormone, che viene attivato in vivo, le cui funzioni toccano in maniera traversale numerosi organi e sistemi.
La scoperta della presenza di un recettore per la vitamina D sulla membrana cellulare di diverse tipologie di cellule del sistema immunitario (linfociti B, linfociti T e Antigen Presenting Cells, APC) e la dimostrazione del fatto che tali cellule sono in grado di sintetizzare metaboliti attivi della medesima vitamina, ha portato l’interesse della comunità scientifica oltre i ruoli tradizionalmente noti sull’omeostasi dell’osso (1, 2).
Sono state in tal modo identificate funzioni strettamente legate alla modulazione delle risposte immunitarie di tipo innato e adattativo. Ed è stata identificata una correlazione fra la deficienza di vitamina D e fenomeni quali l’insorgenza di disturbi autoimmuni e l’aumentata suscettibilità alle infezioni. Alcuni studi sembrerebbero mettere in relazione la carenza di tale elemento con l’aumento del rischio di contrarre infezioni. Sono state, a questo proposito, esaminate possibili correlazioni fra la carenza di vitamina D e l’aumentata suscettibilità a patologie quali vaginosi batteriche, infezione da HIV, malattie respiratorie croniche (bronchiectasie, BPCO) e acute (come la polmonite da SARS-CoV-2). Tuttavia, allo stato attuale, la comunità scientifica non è in grado di trarre conclusioni definitive a riguardo (1, 3, 4, 5, 6, 7).
Benché inizialmente la vitamina D fosse ritenuta un agente immunosoppressore, la comprensione del suo ruolo effettivo nell’immunomodulazione e nel mantenimento dell’omeostasi e della tolleranza nell’organismo è stato chiarito nel tempo (8).
I risultati raggiunti in queste direzioni hanno aperto la strada a nuovi percorsi di sviluppo della ricerca, alcuni dei quali riguardanti lo studio degli effetti della supplementazione di vitamina D come coadiuvante nel trattamento delle patologie autoimmuni e di altri disturbi del sistema immunitario (1, 9, 10).
INTRODUZIONE
L’espressione vitamina D viene utilizzata per descrivere sia la vitamina D₂ (ergocalciferolo) che la vitamina D₃ (colecalciferolo).
Entrambe le forme sono contenute in molti alimenti e integratori alimentari. Ma la maggior parte della vitamina D presente nell’organismo è vitamina D₃ di origine biosintetica, prodotta a livello cutaneo mediante trasformazione fotochimica e termica del precursore del colesterolo 7-diidrocolesterolo.
Dopo essere stata attivata mediante due successivi passaggi di idrossilazione, a livello del fegato e nel rene, la 1,25-diidrossivitamina D (1,25(OH)D₃) si lega al recettore intracellulare per la vitamina D (VDR) e, complessando con il recettore dei retinoidi (RXR), forma l’eterodimero 1,25 D-VDR-RXR, che regola l’espressione di centinaia di geni, attraverso un’azione sugli elementi responsivi alla vitamina D (VDREs) (11, 12).
Fra le attività modulate attraverso la regolazione della trascrizione genica, si osservano anche quelle associate al sistema immunitario.
Come è noto, i macrofagi riconoscono il lipopolisaccaride LPS come espressione di un’avvenuta infezione attraverso il contatto con i recettori Toll Like (Toll Like Receptors, TLR). Il legame del lipopolisaccaride LPS con i TLR porta ad una cascata di eventi che sfocia nel rilascio di peptidi dotati di potente attività battericida, come la catelicidina e la beta-defensina 4. Queste molecole finiscono all’interno dei fagociti insieme ai batteri: qui ne distruggono la membrana cellulare, esercitando una potente azione antimicrobica.
Il legame fra TLR e LPS conduce all’aumento dell’espressione del recettore della vitamina D. Questo fenomeno risulta nel legame dell’eterodimero 1,25 D-VDR-RXR con gli elementi responsivi alla vitamina D (VDREs) presenti a livello dei geni che codificano per la catelicidina e la beta-defensina 4. Conseguentemente, si verifica la trascrizione di queste proteine (1, 4, 13).
La trascrizione della catelicidina avviene solo in presenza di opportune concentrazioni di vitamina D, mentre perché quella della beta-defensina 4 possa verificarsi è necessario il legame del Nuclear Factor kappa B (NFkB) ad opportuni elementi responsivi presenti a livello del RNA della beta-defensina 4.
La sintesi di catelicidina e beta-defensina 4 porta in ultima analisi al rilascio di citochine pro-infiammatorie, chemochine e interferoni, che scatenano la risposta contro i patogeni (1, 14).
Un’ulteriore attività riconducibile alla vitamina D e che genera riflessi sul sistema immunitario è quella che passa attraverso il microbioma. L’insufficienza di vitamina D è messa in relazione alla disbiosi intestinale e, conseguentemente, all’attivazione di un processo infiammatorio. Ciò sembrerebbe dimostrato dal fatto che nelle persone carenti l’incidenza delle malattie infiammatorie intestinali è più elevata rispetto alla popolazione generale (4).
IL RUOLO DELLA VITAMINA D NELLA MODULAZIONE DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA
MONICA TORRIANI
Consulente scientifica | Italia
Bio...
Monica Torriani è laureata in Farmacia e si occupa di comunicazione nel settore healthcare. È consulente per l'industria farmaceutica e scrive per diverse testate editoriali; è membro del Gruppo di Lavoro SIARV sui Dispositivi Medici e socio AFI Scientifica. Ha creato il blog WELLNESS4GOOD - parole e farmaci.
Le raccomandazioni emesse dalle istituzioni sanitarie sottolineano l’importanza di mantenere le concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D (25(OH)D), considerato il biomarker rappresentativo della presenza di vitamina D nell’organismo, superiori o uguali a 25nmol/L in tutti i periodi dell’anno e per tutto il corso della vita.
Tuttavia, la carenza (definita da una concentrazione sierica inferiore a 50 nmol/L) e l’insufficienza (diagnosticabile quando i livelli sierici sono compresi fra 20 e 50 nmol/L) rappresentano globalmente una questione importante di salute pubblica, specialmente per le persone anziane, per gli individui che non si espongono a sufficienza alla luce del sole e per i gruppi etnici caratterizzati da un colore di pelle più scuro (1, 15, 16).
La carenza di vitamina D è largamente diffusa: uno studio condotto fra gli adolescenti europei ha evidenziato che le concentrazioni sieriche nell’80% dei partecipanti erano al di sotto del livello minimo del range di normalità e che più del 40% di essi era considerato carente o gravemente carente. Occorre, inoltre, tenere conto del fatto che i livelli di questa sostanza, essendo funzione dell’esposizione al sole, fluttuano considerevolmente nei diversi periodi dell’anno (4).
UNA CARENZA DIFFUSA
Gli studi in vitro suggeriscono che la 1,25-diidrossivitamina D possiede effetti antinfiammatori. Questa osservazione, unitamente alla correlazione dimostrata fra carenza di vitamina D e aumentata incidenza, o aggravamento, della suscettibilità alle infezioni e alle patologie autoimmuni (artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico e sclerosi multipla) potrebbe indicare, se confermata da ulteriori studi, nella supplementazione di tale vitamina un possibile trattamento coadiuvante o preventivo (4, 17).
Un primo punto di discussione che si pone approcciando il tema dell’integrazione riguarda la forma più opportuna. In questo senso, l’equivalenza funzionale di vitamina D₂ e D₃ è oggetto di dibattito. Alcuni studi sembrerebbero mostrare che la vitamina D₂ sia meno efficace nell’aumentare i livelli sierici di 25(OH)D se somministrata in bolo. Ma la somministrazione per lunghi periodi sembra evidenziare performance più simili fra vitamina D₂ e D₃ (4, 17).
INTEGRARE SÌ, MA QUALE FORMA?
Se i presupposti a sostegno della supplementazione con vitamina D sono consistenti, le prove ottenute ad oggi dalle sperimentazioni effettuate non sono altrettanto solide.
Sono state condotte ricerche che hanno acceso interesse per quelle che sembravano essere prove di efficacia dell’integrazione nel miglioramento della funzione polmonare in alcune malattie.
Ma le ricerche svolte sulle categorie specifiche di pazienti con patologia polmonare, quelli affetti da COVID-19, non hanno fino ad ora prodotto dati incoraggianti. Malgrado sia dimostrato che la carenza di vitamina D sia più diffusa nella fascia di popolazione che va incontro al decorso grave della malattia da SARS-CoV-2, la supplementazione non sembra essere associata ad una riduzione del rischio connesso (6, 18).
VITAMINA D E MALATTIE POLMONARI
La somministrazione di vitamina D in una popolazione di anziani, a rischio per infezione da Varicella zoster virus superiore rispetto a quella giovane, ha mostrato di aumentare significativamente la risposta immunitaria al virus.
Nelle persone reclutate è stata osservata una riduzione nell’infiltrazione infiammatoria da parte dei monociti con concomitante potenziamento del reclutamento di linfociti T.
Segni incoraggianti sono stati espressi anche in alcuni trial condotti in gruppi di pazienti affetti da sclerosi multipla (19).
I DATI A FAVORE
In generale, la progettazione di nuovi trial clinici incentrati sull’integrazione di vitamina D incontra diverse difficoltà.
In primis, il problema di individuare la dose terapeutica se lo scopo della supplementazione è la riduzione del rischio di patologia autoimmune o infezione o la protezione dalle conseguenze gravi di un’infezione.
Da questo punto di vista, ciò che appare chiaro è il bisogno di modificare le linee guida per la supplementazione, legittimata dal fatto che quelle attualmente in uso sono state elaborate in riferimento alla salute dell’osso (20).
Un’ulteriore criticità consiste nella necessità di prevedere sperimentazioni cliniche di lunga durata che siano condotte in popolazioni significativamente ampie, un vincolo che moltiplica i costi, portandoli vicini ai limiti di sostenibilità.
Trovare soluzioni a questi due nodi cruciali potrebbe aprire scenari di grande interesse per la prevenzione e il trattamento di numerose patologie.
I PUNTI ANCORA CRITICI
Riferimenti bibliografici
Riferimenti bibliografici
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*Articolo pubblicato su NUTRA HORIZONS ITALIA 6 2022