IL CAMBIAMENTO CLIMATICO

E LA VITAMINA D:

UN ALLEATO PER LA SALUTE

DEL CERVELLO*

La vitamina D rappresenta un promettente composto nutraceutico per la protezione della salute cellulare, intendendo con questo termine il colecalciferolo, ovvero la vitamina D contenuta in cibi di origine animale (propriamente detta vitamina D3), ma anche derivante dal processo di conversione del 7-deidrocolesterolo a livello cutaneo, in seguito all’esposizione solare. La vitamina D3 circolante è metabolizzata poi dalla 25 α - idrossilasi epatica a 25 - idrossi - vitamina D3 (25(OH) D3), che viene poi convertita dalla 1 α - idrossilasi renale a 1,25 - diidrossi - vitamina D3(1,25(OH) D3), la forma biologicamente attiva. 

La carenza di vitamina D3 è associata ad uno squilibrio del metabolismo del calcio, che comporta osteomalacia e rachitismo, ma anche ad una serie di patologie non associate all’apparato scheletrico, come la sclerosi multipla, i disordini autoimmuni, le infezioni, le malattie respiratorie, cardiovascolari e a vari tipi di cancro (1). Recenti studi dimostrano che la vitamina D3, attraverso meccanismi epigenetici, è in grado di influenzare l’espressione di numerosi geni le cui funzioni biologiche sono quelle di preservare i diversi pathway cellulari (2). Numerose evidenze supportano il ruolo fondamentale della vitamina D3, anche, nella regolazione di funzioni neuronali come la plasticità sinaptica (3). Tra i meccanismi neuronali della vitamina D, di rilievo è la sua capacità di stimolare la sintesi di fattori neurotrofici come  il nerve growth factor (NGF), una proteina coinvolta nello sviluppo e differenziamento delle cellule nervose (4). In questo contesto, è stato dimostrato che la carenza di vitamina D3 durante il periodo gestazionale espone il nascituro a problemi di sviluppo cognitivo (5) ed, in età adulta, allo sviluppo di disordini neurologici, come depressione e schizofrenia (6, 7, 8). Studi più recenti hanno dimostrato che condizioni di carenza di vitamina D3 aumentano, inoltre, il rischio di patologie neurodegenerative caratterizzate da processi di neuroinfiammazione, come la malattia di Alzheimer, di Parkinson e la Sclerosi Multipla (9). Queste evidenze supportano, in particolare, l’azione anti-infiammatoria della vitamina D3 a livello neuronale, sia abbassando i livelli di Tumor Necrosis Factor (TNF-α), una citochina coinvolta nei processi di infiammazione, sia inibendo l’attivazione Nuclear Factor kappa B (NFkB), un fattore nucleare responsabile della trascrizione di geni con azione pro-infiammatoria (10). Gli effetti neuroendocrini della vitamina D con liberazione di cortisolo possono, inoltre, contribuire alla sua azione anti-infiammatoria a livello del cervello (11). L’integrazione di vitamina D3 nella dieta può svolgere, quindi, un ruolo fondamentale nel mantenimento dello stato salute del cervello. Recenti studi dimostrano la presenza nelle cellule cerebrali sia dei recettori per la vitamina D (12, 13) sia degli enzimi 25 e 1 α - idrossilasi, responsabili della formazione dei metaboliti attivi della vitamina D (14, 15) suggerendo che il signaling della vitamina D potrebbe avere una natura paracrina o autocrina nel sistema nervoso centrale (16). Nonostante ci siano evidenze scientifiche che supportano la capacità dei metaboliti attivi della vitamina D3 di oltrepassare la barriera emato-encefalica, la loro formazione a livello cerebrale è ancora da dimostrare (16, 17). 

    IL RUOLO DELLA VITAMINA D SULLA SALUTE DEL CERVELLO 

    Il cambiamento climatico rappresenta una delle maggiori sfide del ventunesimo secolo (18), con conseguenze dirette ed indirette che si traducono in fattori di rischio per la salute umana, tra i quali numerosi potenzialmente nocivi per il benessere neuronale, come l’aumento delle malattie infettive, la diffusione di neurotossine, la malnutrizione, lo stress fisico e mentale e l’aumento della temperatura globale (19). In particolare, lo stress termico, che negli esseri umani viene innescato dall’aumento di anche un solo grado della temperatura esterna, attiva diversi meccanismi di acclimatizzazione ed induce, quando prolungato, diversi pathways biochimici legati alla neurodegenerazione, come lo stress ossidativo, la eccitotossicità e la neuroinfiammazione, aumentando il rischio di problemi neurologici od esacerbando i sintomi di quelli già esistenti (20, 21). Inoltre, lo stress termico attiva una serie di effetti endocrini, tra cui la produzione di cortisolo, tramite l’asse ipotalamo - ipofisi - surrene (HPA) (22), ed una cascata di glucocorticoidi che sono associati alla modifica del metabolismo cellulare ed allo sbilanciamento dell’equilibrio neuroendocrino (23). 

    Livelli elevati di cortisolo possono contribuire ai processi di neurodegenerazione attivati dallo stress termico. Recenti studi mostrano che la persistente attivazione dei recettori per il cortisolo, presenti in diverse aree cerebrali, si traduce in una perdita e funzione della plasticità neuronale, nonché nell’attivazione di meccanismi genetici ed epigenetici prodromici di eventi neuroinfiammatori e neurodegenerativi causali della malattia di Parkinson e di Alzheimer (24). L’esposizione al cortisolo per lunghi periodi di tempo potrebbe, inoltre, influenzare i livelli basali di vitamina D. Diversi studi supportano questa ipotesi registrando livelli subottimali di vitamina D sia in pazienti in terapia cronica con glucocorticoidi sia in soggetti con il morbo di Cushing, un disturbo ormonale caratterizzato da livelli ematici cronicamente elevati di cortisolo o di corticosteroidi ad esso correlati (25, 26). Nel loro insieme, queste evidenze supportano che lo stress termico può essere responsabile di eventi neurodegenerativi anche attraverso un aumento ed un calo dei livelli di cortisolo e di vitamina D, rispettivamente. 

    IL CAMBIAMENTO CLIMATICO INFLUENZA I LIVELLI DI VITAMINA D E LA SALUTE DEL CERVELLO 

    Il livello sierologico di 25(OH) D3 è riconosciuto come marcatore del contributo netto della sintesi cutanea e dell’assunzione totale (da alimentazione e integrazione) di vitamina D3 (27). Un comitato di esperti del Food and Nutrition Board (FNB) della National Academies of Sciences, Engineering, and Medicine (NASEM) ha convenuto che i livelli sierologici di 25(OH) D3 minori di 30 nmol/L sono considerati indicatori di una carenza di vitamina D3, mentre i livelli tra 30 e 50 nmol/L sono considerati insufficienti. Un livello di 25(OH) D3 superiore o uguale a 50 nmol/L è riconosciuto come ottimale per la salute negli individui adulti, mentre i livelli superiori a 125 nmol/L sono associati a condizioni di ipervitaminosi e a potenziali effetti avversi (28). 

    Le raccomandazioni di assunzione per la vitamina D e altri nutrienti sono fornite nelle assunzioni dietetiche di riferimento (DRI) sviluppate dagli esperti del NASEM. L’assunzione giornaliera raccomandata per mantenere costanti i livelli sierologici di 25(OH) D3, nelle diverse fasi di crescita, sono riportati nella tabella 1 (29). Tuttavia, la relazione tra la concentrazione di 25(OH) D3 nel siero e nei tessuti, in particolare il tessuto cerebrale, dopo integrazione di vitamina D3 non è stata ancora chiarita (16).

    L'integrazione di vitamina D3 è la strategia più utilizzata per ripristinare la carenza di vitamina. L'assunzione raccomandata è di 800 UI per raggiungere 25 ng/mL di 25(OH) D3  totale nel siero, 1600 UI di vitamina D per 30 ng/mL di 25(OH)D3 totale nel siero. Il fabbisogno medio stimato è di 400 UI per raggiungere 20 ng/mL e 800 UI per livelli sierici totali di 30 ng/mL (30).

    IL FABBISOGNO GIORNALIERO DI VITAMINA D 

    Tabella 1. quantità giornaliere raccomandate di vitamina D espressi in mcg e UI, suddivisi per sesso, età e stadio fisiologico. (29)

    Riferimenti bibliografici

    EDIZIONE SPONSORIZZATA DA:

    MARTINA BALDUCCI,  ANDREA TAROZZI

    Università di Bologna | Italia

    Bio...

    Martina Balducci: Conseguita la Laurea Magistrale in Biologia della Salute, con un curriculum nutrizionale, svolge il primo anno di Dottorato in “Future Earth, Climate Change and Societal Challenges” presso il Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita dell’Università di Bologna. Sviluppa la sua ricerca sulla salute unica, l’approccio scientifico che collega la salute dell’uomo a quella di animali ed ambiente.


    Andrea Tarozzi: Professore di Farmacologia e Tossicologia presso il Dipartimento di Scienze per la Qualità della Vita dell’Università di Bologna. L'interesse delle sue ricerche è rivolto principalmente allo sviluppo di strategie terapeutiche per la prevenzione e la riduzione dei fattori di rischio associati allo sviluppo di malattie neurodegenerative.

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    *Articolo pubblicato su NUTRA HORIZONS ITALIA 3 2022