Il farmaco e l’integratore alimentare sono cose diverse, lo sappiamo tutti, ma fino a che punto ne siamo consapevoli? Quando agiamo da pazienti e quando da consumatori? Sappiamo davvero, quando stiamo comprando, cosa stiamo comprando e perchè?


Per sviscerare questo argomento dobbiamo partire con il comprendere che cos’è una sostanza terapeutica.


Terapeutica viene definita una sostanza che è capace di determinare nell’organismo vivente variazioni funzionali tali da essere utilizzate nel trattamento di malattie. Quando parliamo di effetto terapeutico o di terapia siamo di fronte ad una patologia da curare o, ad ogni modo, un contesto dove il paziente è la figura che si sta considerando. L’assunzione di un farmaco è preceduta da un parere medico in merito alla situazione specifica. L’assunzione di un farmaco ha scopo curativo e interviene al fine di eliminare il sintomo e la sua fonte scatenante -un agente patogeno o un processo infiammatorio, se vogliamo pensare al caso di un antibiotico.


Tuttavia, l’azione terapeutica non ha niente a che vedere con l’integratore alimentare -o almeno così dovrebbe essere.


Secondo la legislazione vigente, l’integratore alimentare non vanta di un’azione terapeutica, bensì ha scopo esclusivamente preventivo, integrativo o di mantenimento della salute (garantire l’omeostasi). Ne consegue che l’acquirente dell’integratore alimentare sia un consumatore, o un paziente sano (controsenso?), invece che un paziente (malato).


Pensando agli integratori più venduti, che integrano vitamine e minerali nei periodi caldi come questi, possiamo tranquillamente dire che non siamo malati se vogliamo integrare nutrienti che perdiamo con la stagione estiva.


Come tutte le questioni però ci si ritrova spesso ad essere figure di mezzo. Capita spesso che in veste di paziente-consumatore ci rechiamo in farmacia per comprare integratori alimentari per alleviare sintomi o lievi scompensi prima di ricorrere ad un farmaco. Oppure direttamente ci viene suggerito dal nostro medico curante un integratore prima di ricorrere ad un farmaco. Stiamo ancora ricercando un’azione non terapeutica in questo caso?


La questione diventa ancora più spinosa quando il principio attivo farmaceutico non è nient’altro che un principio attivo botanicals, che deriva quindi da una pianta, come estratto, e che esiste sul mercato sia in veste di farmaco che in veste di integratore.


O ancora, quando il dosaggio del prodotto venduto fa da discriminante tra l’integrazione e la terapia. Ne sono d’esempio la melatonina e la vitamina D, presenti in entrambe le categorie regolatorie in dosaggi diversi.

Dal punto di vista regolatorio, l’integratore alimentare cade sotto la definizione di alimento così come definito dal Regolamento quadro del settore alimentare (1). Questo regolamento esclude la sua applicabilità ai farmaci.


L’integratore alimentare viene poi disciplinato dalla Direttiva 2002/46/CE (2) e, in Italia, dal Decreto legislativo del 21 maggio 2004, n. 169 (3), i quali li definiscono “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali le vitamine e i minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, aminoacidi, acidi grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme predosate”.


Il controllo degli integratori sul mercato è di competenza nazionale, poiché non esiste, ad oggi, un’armonizzazione Europea per le sostanze ammesse negli integratori (fatta eccezione per vitamine e minerali, le quali dispongono al Regolamento No 1925/2006 (4) (Allegato I e II di una lista positiva). L’operatore del settore alimentare (OSA) in Italia può mettere in commercio un integratore sul territorio nazionale previa Notifica al Ministero della Salute (5), seguendo la procedura descritta online e presentando l’etichetta.


Il farmaco invece ha un iter di registrazione che dura decenni per le ovvie prove, di sicurezza e di efficacia, che richiede. La ricerca, i costi e gli adempimenti sono nettamente superiori a qualsiasi altra tipologia di sostanza che noi utilizziamo come pazienti-consumatori.


A complicare la vicenda per i pazienti-consumatori ci sono poi le rivendicazioni salutistiche apposte sugli integratori, che, per chi non è del mestiere, sono la via più facile di inganno. La rivendicazione salutistica non è nient’altro che l’effetto o l’azione dell’integratore.


Il Regolamento No. 1924/2006 (6) introduce un’armonizzazione, a livello Europeo, di quelle che sono le dichiarazioni (o claims) nutrizionali e sulla salute ammesse sulle etichette degli alimenti. I claims salutistici, nel caso specifico, sottolineano l’esistenza di un rapporto tra il prodotto e la salute (es. rafforzare le difese naturali dell’organismo oppure migliorare la capacità di apprendimento). Tra questi troviamo anche indicazioni funzionali generiche (es. prodotto che aiuta la salute psicologica, o il dimagrimento) oppure di indicazioni di riduzione del rischio di malattia e sviluppo o salute dei bambini. In entrambi i casi, il claim salutistico deve passare attraverso una valutazione da parte dell’Autorità della Sicurezza Alimentare (EFSA) e un’approvazione da parte della Commissione Europea altrimenti non può essere apposto in etichetta.


Per gli integratori parliamo sempre di un effetto che non cura ma aiuta. La difficoltà nell’autorizzazione di un claim da parte delle autorità, nonché nell’operatore a presentare una domanda di claim, è tangibile se ci fermiamo a pensare a come si possa supportare scientificamente una relazione causa-effetto chiara senza ricadere nella rivendicazione di un effetto terapeutico. Un’altissima percentuale di domande di claim è stata respinta dalle Autorità perché le prove a supporto non garantivano una lineare correlazione cause-effetto. La domanda che sorgerebbe spontanea farsi è che cosa discrimina l’effetto da un effetto terapeutico, in questo contesto?


Analizzando le difficoltà concettuali e pratiche del tema, è chiaro come la figura del paziente-consumatore sia frequente in questi giorni.


La miglior arma di difesa del paziente-consumatore rimane l’informazione. La capacità di incrociare in maniera critica le informazioni che trova, confrontandosi con un parere medico di fronte a dei leciti dubbi, in un mercato così a portata di mano e ricco, è sicuramente il modo migliore per preservare la nostra salute.

 L’effetto terapeutico:il cut-off
tra farmaco e integratore alimentare?