La salute intesa come “assenza di malattie” è un concetto ormai sorpassato da anni. Oggi, quando parliamo di salute, dobbiamo considerare nell’equazione anche lo stato mentale del soggetto, l’ambiente in cui è inserito e ciò che potrebbe, a tutto tondo, alterare il suo benessere.


Non a caso la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) richiama i concetti di benessere fisico, mentale e sociale nella sua definizione di salute.


Che cos’è la salute mentale?


Possiamo definire uno stato di salute mentale quando c’è assenza di disturbo del pensiero, capacità di regolazione dell’emozioni interne e del comportamento. Tuttavia, possiamo anche allargare il perimetro della definizione in quanto la mente si articola in sfaccettature più complesse. Per esempio, una condizioni di stress o ansia eccessiva, per contesti sociali lavorativi, si traduce e si abbatte inevitabilmente sul benessere psicologico e compromette la salute del singolo anche giornalmente. Considereremmo questa una condizione di benessere mentale?


Le depressioni sono oggigiorno una delle malattie che colpisce in maniera consistente anche la fascia di età più giovane: difficile escludere che stress ed ansia non siano un fattore determinante. La salute mentale inizia da lì.

Nell’ultimo biennio, con il Covid-19, il peggioramento dello stato di salute mentale della popolazione ha reso il tema molto più evidente di prima e, pertanto, ha richiamo in maniera più consistente l’attenzione pubblica. Nel pratico, basti pensare alla politica del bonus psicologo, per portare un esempio pratico italiano.


Parallelamente, e conseguentemente, la ricerca ha prestato il suo contributo cercando nuovi strumenti per sopperire alle necessità del cittadino-paziente, cercando modi di intervenire e prevenire queste condizioni.


In questo scenario della prevenzione e mantenimento del benessere mentale, si colloca quello che viene definito come l’Asse Intestino-Cervello (gut-brain axis). In maniera semplicistica, si tratterebbe di un sistema di comunicazione tra l’intestino, nello specifico del sistema nervoso enterico (dell’apparato digerente) ed il sistema nervoso centrale, il cervello. Si potrebbe dire che qualcuno ha dato prova scientifica della famosa frase “l’intestino è il nostro secondo cervello” o delle fondamenta delle “decisioni prese di pancia” (il famoso “gut feeling”, dall’inglese).


Perché tra tutti gli organi proprio l’intestino è quello in più stretta relazione con il cervello? Sebben ovvio, non scontato pensarci: perché l’intestino è colui che ci permette di sopravvivere, grazie all’assorbimento del cibo. Le sue funzioni sono di vitale importanza, è bene che venga controllato a stretto giro.


L’asse Intestino-Cervello si manifesta in uno stato di salute (o malessere) che si traferisce dall’uno all’altro, in modo più o meno sincrono. La porta che collega i due è il nervo vago, il quale veicola le informazioni in ambe due le direzioni.


Tra le due, è più facile avere un riscontro pratico di come il cervello parli al nostro intestino pensando, ad esempio, a particolari periodi di stress, ansia, o malumore che si traducono in nausee, condizioni di indigestione, mancata peristalsi, per citarne alcune (quella che viene anche definita “somatizzazione”). Nella direzione opposta invece possiamo pensare al malumore che ci portiamo dietro quando la sera prima non abbiamo digerito la cena un po’ pesante, che ci indispone nelle nostre attività giornaliere. Questi sono piccoli segnali che effettivamente una comunicazione c’è.


Da questa piccola (grande) scoperta, la scienza ha iniziato ad indagare su come intervenire per trattare patologie usando questo asse.


Quando parliamo di intestino, dobbiamo innanzitutto parlare di microbiota intestinale, ossia l’insieme dei microorganismi -non patogeni- che popolano il nostro apparato digerente e permettono tutte le funzionalità digestive. La rigogliosità della flora intestinale dipende da molti fattori primo tra i quali, ovviamente, come ci alimentiamo -qualitativamente e quantitativamente. L’assunzione di farmaci gioca anche un ruolo piuttosto determinante.


L’impiego dei probiotici, gruppo di sostanze definite dal Ministero come “microrganismi, lieviti o batteri, che favoriscono l'equilibrio della flora intestinale", ha trovato strada anche in questo contesto. Partendo dal concetto teorico che l’assunzione di sostanze benefiche all’intestino possano migliorare la salute mentale, è stato coniato il termine psicobiotici (dall’unione di psiche e biotico) per descrivere quei probiotici che agendo sull’intestino hanno un effetto anche sul cervello. Molto si discute su quali siano effettivamente queste sostanze e come si faccia a verificare l’effettiva azione a livello centrale; qualcuno parla anche di intervenire sulla via di sintesi della di serotonina (molecola “della felicità”) attraverso l’uso di alcune sostanze che agiscono a livello intestinale. L’ambito della ricerca, in questo senso, spazia davvero in maniera multidirezionale.


Per ora possiamo dire che in Italia i probiotici/psicobiotici vengono venduti in farmacia come Integratori Alimentari, talvolta consigliati da un parere medico, ma accessibili liberamente al consumatore. Essi ricadono nel campo di applicazione della Direttiva 2002/46/CE (1) e Decreto legislativo del 21 Maggio 2004, N.169 (2).


I probiotici però sono una categoria di prodotti particolari in quando in Italia vengono descritti puntualmente da delle 3Linee Guida Ministeriali (3). Queste non parlano di psicobiotici ma si limitano a descrivere, appunto, i probiotici per i quali si ammette la dicitura "favorisce l'equilibrio della flora intestinale" in etichetta. Da considerarsi, questa, una situazione “tutta Italiana” in quando tale claim non è armonizzato in tutta Europa e sul quale la stessa Autorità della Sicurezza Alimentare Europea (EFSA) nutre perplessità. Secondo il Regolamento (CE) 1924/2006 (4) sui Claims, infatti, EFSA deve pronunciarsi con un’opinione scientifica che, per i probiotici, non è stata positiva (registro Europeo dei claims).


Essendo distanti da un parere unanime sull’effettiva azione dei probiotici a livello intestinale, probabilmente siamo ancora distanti anche dall’accettazione di claims per l’azione di queste probiotici che agiscano a livello del cervello e sulla salute mentale: la correlazione tra esposizione ed effetto è di difficile descrizione. Nel frattempo, ora che lo sappiamo, possiamo scegliere di fare del bene al nostro cervello e migliorarci l’umore attraverso gli alimenti con cui ci nutriamo.

  Gli integratori per la salute della mente: controversie

Riferimenti bibliografici