MIND DIET: OLIO EVO,

FRUTTI DI BOSCO

E FRUTTA A GUSCIO

PER IL BENESSERE DELLA MENTE

Sono sempre più numerose le evidenze scientifiche che suggeriscono come un’alimentazione sana, unita a un corretto stile di vita, possa influire positivamente sulla salute mentale e sulla prevenzione delle malattie, comprese quelle neurodegenerative, la cui incidenza a livello mondiale sta aumentando in maniera preoccupante: secondo una stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel corso del decennio 2000-2020, l’Alzheimer e altre forme di demenza hanno raggiunto il settimo posto tra le cause di decesso e il terzo posto tra le cause di disabilità a livello mondiale; ansia e depressione risultano al primo posto tra le cause di perdita di salute protratta nel tempo (YLD: years lived with disability) (1,2).


E la situazione è purtroppo destinata a peggiorare, in ragione del costante invecchiamento della popolazione a livello globale: nel 2015 le persone affette da demenza erano 47 milioni; nel 2030 si stima saranno 75 milioni; nel 2050 potrebbero superare la soglia dei 130 milioni (3,4).


Ad oggi non esistono cure efficaci e risolutive per il trattamento dei disturbi della sfera cognitiva: dalle patologie neurodegenerative ai disturbi del comportamento, le terapie oggi a disposizione sono pressoché solo sintomatiche e in grado, nella migliore delle ipotesi, di rallentare il progredire della patologia, senza tuttavia invertirne il decorso (5).

Risulta dunque quanto mai urgente saper individuare strategie di prevenzione sempre più efficaci, che scongiurino, o quanto meno ritardino, la comparsa di tali patologie e permettano un invecchiamento sereno e il più possibile in salute.

    INTRODUZIONE

    Nonostante i numerosi sforzi compiuti dalla comunità scientifica, ad oggi non si conosce ancora l’esatto meccanismo di insorgenza dei disturbi della sfera cognitiva, siano essi malattie neurodegenerative, come Parkinson e Alzheimer, o disturbi dell’umore, come ansia e depressione. La genesi di queste patologie è probabilmente multifattoriale: una combinazione cioè di fattori genetici, predisposizione individuale e cause ambientali – intendendo con questo termine tutti i fattori legati ad eventi e abitudini di vita.

    Ciò che però sembra accomunare la maggior parte dei disturbi della sfera cognitiva è la presenza della componente infiammatoria (5,6,7,8) – la stessa implicata in un gran numero di patologie croniche quali diabete, dislipidemie, obesità, malattie cardiovascolari, sclerosi multipla, malattie autoimmuni e tumori (9,10).

    L’infiammazione è un evento fisiologico del tutto normale e necessario al mantenimento della salute del corpo: tramite i processi infiammatori vengono innescate tutte quelle risposte immunitarie che permettono di combattere patogeni esterni (virus, batteri, funghi) o di far fronte a danni tissutali (ferite, ustioni, traumi muscolari ecc). Il problema insorge quando l’infiammazione cronicizza – per mancata rimozione della causa o per alterazione dei meccanismi di controllo antinfiammatori - divenendo essa stessa patologia, spesso subdola e non facilmente identificabile o trattabile.

    Pare sia proprio l’infiammazione cronica cosiddetta “di basso grado”, invisibile e silente, protratta nel tempo, a causare squilibri permanenti e a porre le basi per lo sviluppo delle patologie sopra elencate. Se ciò è ormai riconosciuto per le patologie metaboliche, fino a qualche tempo fa si riteneva che il cervello fosse immune dai meccanismi infiammatori: ora si sa che le cellule della microglia (le cellule del sistema immunitario innato presenti a livello del sistema nervoso centrale) sono coinvolte nei meccanismi immunitari e infiammatori al pari dei leucociti (i globuli bianchi) nel resto dell’organismo. Gli studi più recenti suggeriscono che la componente neuroinfiammatoria sia implicata nelle patologie neurodegenerative, nelle malattie del neurosviluppo (autismo, schizofrenia) e nei disturbi psichiatrici quali ansia e depressione (11,12,13,14).

    IL RUOLO DELL’INFIAMMAZIONE NEI DISTURBI COGNITIVI  

    SONJA BELLOMI

    Fondazione ITS Biotecnologie e Nuove Scienze della Vita Piemonte | Italia

    Bio...

    ASSE INTESTINO-CERVELLO: MICROBIOTA E INFIAMMAZIONE

    Da quando sono aumentate le conoscenze sul microbiota intestinale e sul ruolo che esso riveste nel mantenimento dell’omeostasi dell’organismo, non c’è pressochè patologia cronica in cui non sia stata riconosciuta una componente legata al disequilibrio del microbiota intestinale – a sua volta strettamente correlato alla funzionalità del sistema immunitario (15,16,17). Le patologie a carico del sistema nervoso centrale non fanno eccezione: fenomeni di disbiosi intestinale possono infatti tradursi in un aumento della neuroinfiammazione, predisponendo lo sviluppo di patologie neurodegenerative e disturbi del comportamento (18,19,20,21).

    La scoperta della correlazione tra intestino e cellule gliali ha aperto la strada a nuovi filoni di ricerca e all’introduzione del concetto di asse microbiota-microglia nello studio delle patologie del sistema nervoso centrale (22).

    Il meccanismo attraverso il quale la disbiosi intestinale influisca negativamente sulla salute cerebrale non è ancora del tutto chiarito: una delle ipotesi plausibili è quella descritta da uno studio a firma italiana, pubblicato nel 2021 sulla rivista Science (23). La ricerca era partita dall’osservazione che il 40% dei soggetti affetti da malattie croniche intestinali (morbo di Chron, colon irritabile ecc) soffriva altresì di disturbi dell’umore quali ansia e depressione. Ebbene, secondo i ricercatori, in presenza di infiammazione intestinale e per scongiurare l’entrata sostanze tossiche a livello cerebrale, trasportate dall’intestino infiammato tramite il torrente circolatorio, è possibile che il cervello “chiuda” il plesso coroideo, una struttura presente a livello dei ventricoli cerebrali, che funziona come una sorta di cancello per il passaggio dei nutrienti. Questo meccanismo di difesa, se protratto, finirebbe con l’isolare il cervello dal resto dell’organismo, privandolo di nutrienti essenziali e innescando quei processi di ansia, depressione e disturbi della memoria che si rilevano in una elevata percentuale di chi soffre di infiammazione intestinale.

    I risultati dello studio necessitano ovviamente di ulteriori approfondimenti, ma forniscono indizi interessanti sulla correlazione tra microbiota e salute cerebrale e, soprattutto, su potenziali strategie di trattamento.

    Alimentazione sana e corretto stile di vita possono influire positivamente sulla salute generale e sulla prevenzione delle malattie, comprese quelle neurodegenerative. Ma in che modo lo fanno? Esistono alimenti più efficaci di altri nel mantenere il cervello in buona salute e ritardare – o addirittura scongiurare – il declino cognitivo che talvolta sembra così inevitabile?


    Nel 2015 sono stati pubblicati due articoli sulla rivista Alzheimer’s and Dementia da parte di un gruppo di ricercatori del Rush University Medical Center di Chicago, nei quali veniva introdotto il concetto di dieta MIND - acronimo per Mediterranean-DASH Intervention for Neurodegenerative Delay (24,25).

    La dieta MIND nasceva dalla combinazione di dieta Mediterranea e dieta DASH, due modelli alimentari già associati a effetti positivi sulla salute cardiovascolare, che risultano altresì correlati a una minor incidenza di patologie della sfera cognitiva (26,27,28). La dieta Mediterranea, lo ricordiamo, è caratterizzata da un’elevata presenza di frutta e verdura, cereali integrali e legumi, pesce, olio extravergine di oliva, come condimento principale; la dieta DASH è simile, ma - elaborata nello specifico per contrastare l’ipertensione - presenta restrizioni maggiori nel consumo di grassi e nell’utilizzo del sale.


    I ricercatori hanno dunque messo a punto un programma alimentare, selezionando 10 gruppi di alimenti che, dalla letteratura scientifica, risultavano maggiormente associati ad un effetto positivo sulla salute cerebrale: tra essi, l’olio extravergine di oliva, le verdure a foglia verde (cavoli, verze, spinaci), i frutti di bosco e la frutta secca (noci, mandorle, nocciole). Per contro, i cibi da limitare il più possibile risultavano quelli ricchi di grassi saturi e trans, ossia carni rosse, latticini, fritti e dolciumi.

    I risultati forniti dai ricercatori, riguardanti un periodo di studio osservazionale di 4 anni e mezzo condotto su più di 900 soggetti, hanno evidenziato una correlazione lineare e statisticamente significativa tra l’aderenza alla dieta MIND e parametri quali miglioramento delle performances cognitive (memoria e ragionamento), diminuzione del rischio di depressione, diminuzione del rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer (53% in caso di elevata aderenza al programma alimentare, 35% in caso di aderenza moderata). 

    Ovviamente si tratta di uno studio osservazionale, che suggerisce una correlazione e non una relazione causa-effetto, ma che può fornire un’indicazione molto importante: l’effetto positivo sulla salute mentale (e non solo) derivante dal consumo di alimenti con elevate proprietà antiossidanti e antinfiammatorie (vitamina E, folati, carotenoidi, flavonoidi, ecc.) sarebbe una conferma dell’incidenza della componente infiammatoria e ossidativa nello sviluppo delle patologie della sfera cognitiva e potrebbe aprire le porte a un filone di ricerca per lo sviluppo di terapie dirette alla neuroinfiammazione, volte ad arrestare anche la progressione di patologie eventualmente già in atto.


    I risultati di questo studio sono stati confermati da ricerche successive (29) – alcune delle quali ancora in corso: nel 2021 è stato avviato uno studio multicentrico (30), della durata di 3 anni, per monitorare gli effetti della dieta MIND sulle funzioni cognitive di 604 soggetti sovrappeso, di età compresa tra 65 e 84 anni, a rischio per la malattia di Alzheimer. I partecipanti sono stati divisi in due gruppi: ad uno è stato richiesto di seguire la dieta MIND, all’altro la dieta abituale - entrambi con restrizione calorica. Ai soggetti che seguono la MIND vengono periodicamente forniti olio evo, frutti di bosco e frutta a guscio, che in base al programma alimentare devono essere sempre presenti, in ragione delle loro importanti proprietà nutrizionali: l’olio extravergine di oliva è ricco di polifenoli, i frutti di bosco hanno elevato potere antiossidante e la frutta a guscio è ricca di grassi insaturi (omega-3), vitamine E, proteine e fibre di alto valore nutrizionale.

    I risultati dello studio saranno estremamente importanti per poter definire linee guida alimentari per la prevenzione delle malattie neurodegenerative.

    MIND DIET: UN PREZIOSO ALLEATO PER LA SALUTE CEREBRALE

    PSICHIATRIA NUTRIZIONALE: PROSPETTIVE PER IL FUTURO

    “Non si può impedire di invecchiare, ma si può impedire di diventare vecchi”. Parafrasando il pensiero, attribuito al grande pittore Henri Matisse: non possiamo evitare di invecchiare, ma possiamo farlo cercando di rimanere il più possibile in salute. Cibo, attività fisica, svago e riposo sono gli ingredienti che abbiamo a disposizione: come in ogni ricetta ben riuscita, il segreto è saperli abbinare in modo equilibrato.


    Negli ultimi anni si è delineato un nuovo ambito di studio, la cosiddetta psichiatria nutrizionale, che nasce proprio sull’onda delle sempre più numerose evidenze scientifiche che correlano la dieta con la salute cerebrale e che suggeriscono come l’approccio nutrizionale possa avere effetti importanti su numerosi fattori coinvolti nelle patologie mentali, tra cui infiammazione, stress ossidativo, asse intestino-cervello e neurogenesi (31,32).

    Si tratta ancora per lo più di studi osservazionali, che necessitano di ulteriori e più rigorosi approfondimenti, ma che – se confermati – aprirebbero la strada all’elaborazione di linee guida per indicazioni alimentari efficaci non solo in termini di prevenzione, ma anche come prezioso supporto terapeutico nel trattamento di patologie neurodegenerative già in atto.

    Riferimenti bibliografici

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    ASSE INTESTINO-CERVELLO