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Giulio Fezzardini

Redazione NH Italia

TKS Publisher

Italia

La dieta dell’eschimese 

In un vecchio film ambientato nei ghiacci dell’Artide, Ombre Bianche (Anthony Queen protagonista), l’offerta di un pasto a base di vermi freschi fatta da un eschimese ad uno sprovveduto ospite canadese che la rifiuta per comprensibili motivi offendendo il padrone di igloo, da inizio ad una serie di incomprensioni che portano ad un esito tragico del malinteso culturale che si era creato. 

Chissà, forse oggi in un clima culinario aperto alle sperimentazioni estreme (mi è capitato di mangiare insetti fritti ad un party “esclusivo”), la cosa sarebbe accolta anche con una certa compiacenza intellettuale. 

Personalmente ai vermi artici continuo a preferire i più solari vermicelli di Gragnano. Tuttavia una verità il film ce la dice perché come ho già ricordato in un precedente editoriale dedicato al dattero mediterraneo, in luoghi della terra caratterizzati da climi estremi è evidente che il corpo umano si adegua all’offerta locale della natura ed è quindi perfettamente logico che i nativi si adeguino a loro volta a diete che garantiscano loro un adeguato apporto proteico e vitaminico.  

Contemporaneamente a questo articolo ne ho scritto uno per Beauty Horizons in cui parlo dell’Ambra Grigia prodotta dai Capodogli, una rara sostanza organica apprezzatissima in profumeria. Ed è stato lavorando a questo pezzo e quindi parlando di balene e caccia alle balene inseguendo il fantasma di Moby Dick (caccia oggi in via di estinzione, sono pochissimi i Paesi che ancora la permettono e comunque sotto stretto, si spera, controllo) sono stato proiettato in pieno clima artico. Ho letto infatti che la carne della balena fa parte della dieta degli eschimesi o meglio degli “Inuit” (“uomo”) come preferiscono essere chiamati.  

Ebbene quale è la dieta Inuit? Sulla carta non è male. Verdura in estate, bacche, radici, licheni, alghe, un pò scarsa in inverno date le circostanze. Carne, molta: uccelli, renne, caribu, foche, trichechi, quindi, importante, pesci e, va da se, balene. Una varietà quindi invidiabile. 

Ma è una dieta in apparenza decisamente sbilanciata. Carne e grassi tanta, poca verdura... L’esatto contrario di quanto ascoltiamo quotidianamente dai nostri nutrizionisti. Tuttavia con gli Inuit, oggetto di studio da tempo, questa dieta per loro (sottolineo “per loro”) funziona. A parte il consistente apporto proteico, le vitamine arrivano dagli animali, la cui carne, assunta cruda, garantisce un alto contenuto di vitamina C che assicura una buona protezione contro lo scorbuto.  

Inoltre la ricchezza di pesce fa sì che gli Inuit vantino una ottima situazione cardiovascolare grazie anche all’elevata quantità di Omega 3 assunta. 

Una dieta paradossale per certi versi. Resa efficace evidentemente anche da una evoluzione del loro corpo. Sembra infatti che gli inuit abbiano un fegato più grosso rispetto ai nostri standard visto l’extra lavoro cui è sottoposto. 

Credo che vista la nostra situazione, capendo anche che non possiamo inseguire tutte le diete del pianeta, non dico nulla di nuovo nell’ invitare a continuare a seguire le indicazioni cui siamo abituati. Quindi verdure e pesce in abbondanza, carne rossa con moderazione magari aiutati questo sì, dalla ricchezza che ci mette a disposizione la scienza nutrizionale con i tanti integratori che oggi abbiamo a disposizione. 

Io non sono il capitano Achab e le uniche razzie che ho fatto nella mia vita sono i campioni di Omega 3 che ho pescato negli stand del Vitafood durante le mie visite. 

Inseguire la dieta perfetta non è facile anche perché ognuno di noi è un caso a sé.  

Certamente non deve diventare una ossessione. Non si tratta di dare la caccia a fantasmi marini come è successo al tragico equipaggio del Pequod, ma di navigare nelle acque tranquille della conoscenza di sé aiutati dalle tante competenze disponibili. 

Perché la salute, oltre ad essere patrimonio personale, è anche valore e impegno in un dovere sociale cui tutti siamo chiamati.