Un appello: laviamocene le mani!
Giorni fa, dopo tanto smart-working, sono finalmente tornato in ufficio e per festeggiare il momento mi sono fermato dal fornaio per acquistare una torta da condividere al coffee break con i colleghi presenti in funzione dei turni che ci siamo dati.
Entrato in ufficio, misurata la temperatura, aperta la finestra, sono andato subito in bagno per lavarmi accuratamente le mani sotto l’acqua bollente.
Dopodiché le ho asciugate sotto la ventola ad aria calda.
Quindi ho sanificato le mani col gel disinfettante e ho tagliato la torta a fette per tutti.
Al termine mi sono rilavato le mani: a quel punto devo aver innescato qualche strano processo perché le mani a contatto con l’acqua, evidentemente esauste dopo aver subito più trattamenti a base di tensioattivi, polimeri, fragranze, igienizzanti, aria calda, cioccolato e canditi, hanno sviluppato un pastone talmente viscido che non riuscivo a liberarmene.
E’ un effetto, lo stiamo sperimentando tutti, di questo periodo che sembra non finire mai.
Effetto che non manca di avere le sue conseguenze: un amico cosmetologo parlando di questi comportamenti li ha lapidariamente definiti come il “funerale del microbioma”, sottinteso delle zone cutanee soggette al trattamento.
Ha ragione ma non abbiamo alternative. Del resto proprio grazie ai colleghi cosmetologi, passati i primi mesi della emergenza, abbiamo ora prodotti di igienizzazione sempre più sofisticati, efficaci e gentili con la pelle, caratterizzati da ottime texture e profumazioni.
Premesso che la sana abitudine, è il caso di dirlo, di lavarsi le mani da sempre dovrebbe far parte del nostro quotidiano, è anche vero che questi gesti sono destinati a restare per sempre, anche trascorsa l’emergenza.
Leggevo recentemente un report dell’ACI, l’American Cleaning Institute, che registrava questo dato di fatto da una analisi effettuata tra i consumatori nordamericani.
In un mio articolo ricordavo l’ossessione di alcune popolazioni asiatiche per l’igiene, frutto, non è un caso, di altre terribili, storiche pandemie.
Ricordavo anche che al contrario un esempio di resistenza alle buone abitudini lo abbiamo avuto nel cuore dell’Europa quando in un grande ospedale di Vienna, nel 1847, un medico ebbe l’intuizione di lavarsi accuratamente le mani da una visita all’altra alle donne del reparto maternità.
Aveva intuito che la causa di tanti decessi a seguito di infezioni letali era dovuta al fatto che i medici arrivavano dalle autopsie senza aver igienizzato le mani: da operatori sanitari diventavano inconsapevoli veicolo di contaminazione. Sbeffeggiato per gelosia e invidia da tanti colleghi questo benefattore dell’umanità andò in depressione e morì in manicomio: era il dottor Ignác Fülöp Semmelweis, ungherese.
Oggi è considerato un eroe. Martire dell’ignoranza che di vittime ne fa sempre tante.
La pandemia sta ribaltando tanti luoghi comuni.
Il noto gesto di Ponzio Pilato che si lava le mani è sempre stato sinonimo di scarico di responsabilità.
Oggi esprime uno dei più importanti gesti di responsabilità sociale.
Certo responsabilità non deve diventare, poco sopra ho usato questo termine, “ossessione”.
Mi è anche capitato di essere in un ufficio e vedere che le persone presenti ogni volta che andavano e venivano dalla stanza schiacciavano sovrappensiero, i pulsanti dei dispenser di gel per strofinarsi le mani.
Quindi un richiamo alla ragionevolezza, sobrietà di comportamento (per altro l’ho sentito in più occasione da vari esperti) è anche auspicabile.
Ci laviamo le mani e non ce le “diamo” nei saluti.
La cautela nelle relazioni ha portato anche a questa assenza e personalmente devo dire che la toccatina di gomito mi deprime. Forse, sempre richiamando gli amici asiatici, sarebbe meglio arrivare all’inchino... Possibilità talmente avulsa dalla nostra mentalità da essere piuttosto remota.
Tornando ai nostri gel, da oggetto di disperato desiderio durante i primi momenti della pandemia oggi li vediamo esposti in grande varietà, quantità e prezzo in ogni tipo di negozio.
Sono anche diventati complemento di omaggistica: invitato recentemente ad un matrimonio nel kit di accoglienza insieme ai confetti e al riso c’era una bottiglietta di gel con tanto di cuoricino e i nomi degli sposi, mentre ad una conferenza stampa insieme al press kit mi è stata regalata una mascherina sponsorizzata.
Non è il caso di stupirsi o scandalizzarsi: il marketing, ne dipendiamo tutti e ci ricorriamo tutti, deve necessariamente cavalcare le necessità.
Certamente le abitudini alla fine ci dominano: non sappiamo come siano nate ma ne dipendiamo.
In un momento in cui era possibile farlo sono stato in vacanza un paio di giorni in Toscana, nel Mugello nei pressi della tenuta in cui è nato Monsignor della Casa, celebre autore dell’altrettanto celebre Galateo, pubblicato nel 1558, testo iconico del saper convivere il cui titolo è diventato a sua volta sinonimo di buone maniere.
La sua lettura ci regala un vivace affresco di quella che era la vita quotidiana dell’epoca con tutto il suo colorito corollario di usi e gesti.
Solitamente tendiamo a rendere romantico il buon tempo antico. Isaac Asimov, grande autore di fantascienza, per inciso era un biochimico, scrisse che solitamente se pensiamo alla antica Grecia ci immaginiamo vestiti di una candida tunica di cotone, a passeggio sotto un colonnato di marmo discettando di filosofia. Mentre con buona probabilità saremmo stati schiavi in qualche miniera.
I tempi di Monsignor della Casa ci parlano di abitudini quotidiane (oggi come minimo ne giudicheremmo alcune orripilanti), che sicuramente avranno contribuito alla creazione di ottimi anticorpi ma con un contraltare fatto di infezioni, epidemie e morte.
In un certo senso anche Monsignor della Casa ha dato una mano al progresso anche se ne sarebbe passato ancora di tempo prima di arrivare alla consapevolezza dell’ importanza fondamentale dell’igiene.
Oggi ne siamo tutti coinvolti e convinti e questo è ottimo. La responsabilità civile oltre che morale passa necessariamente attraverso comportamenti consapevoli. O passerebbe perché in realtà non mancano le sacche di resistenza al richiamo alla attenzione collettiva in nome di un malinteso sentimento di libertà.
Tutti abbiamo assistito in questi mesi al paradosso di persone che in nome di una presunta istanza di libertà si oppongono a quelle misure di contenimento e precauzione che se adottate favoriscono il ritorno alla libertà di una vita normalizzata.
Sicuramente non è mia intenzione iniziare una discussione che porterebbe al nulla.
Il mio vuole essere solo la testimonianza di un momento che tutti ci auguriamo diventi presto un doloroso ricordo con la consapevolezza che solo attraverso una presa ci coscienza individuale possiamo diventare elemento di rinascita.
Una rinascita che possiamo aiutare anche lavandocene le mani!
A volte la vita passa attraverso i paradossi.
Giulio Fezzardini
Redazione BH Italia
TKS Publisher
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