Maria Daglia 

Docente di Chimica degli Alimenti e di Nutraceutica 

Università Federico II di Napoli

Italia 


Maria Daglia 

Docente di Chimica degli Alimenti e di Nutraceutica 

Università Federico II di Napoli

Italia 


FederSalus è al lavoro per costruire una position italiana sulla questione dell’acido alfa lipoico (ALA) che la Commissione europea, a seguito della segnalazione delle autorità danesi preposte, ha sottoposto alla procedura dell’art.8 del Regolamento (CE) N. 1925/2006, ponendo vincoli di sicurezza al suo impiego ad alte dosi negli integratori alimentari.  
Il panel di esperti EFSA infatti, da gennaio 2021, ha iniziato ad investigare circa la possibile relazione tra l’assunzione di acido lipoico e il rischio della sindrome insulinica autoimmune (IAS) e indaga se è possibile fissare una dose al di sotto della quale l’ALA aggiunto agli alimenti o negli integratori alimentari non causi tale sindrome nella popolazione generale o nei sottogruppi vulnerabili.  
Ne parliamo con  la prof. Maria Daglia, docente di Chimica degli Alimenti e di Nutraceutica all’Università Federico II di Napoli, coordinatrice del Master di II livello in prodotti Nutraceutici e autore dell’articolo pubblicato sulla rivista Biomedicine & Pharmacotheraphy, sullo studio clinico italiano volto a verificare se l’assunzione dell’acido lipoico alle dosi impiegate negli integratori alimentari induca effetti avversi oppure risulti ben tollerata e sia efficace nella riduzione di differenti forme di dolore idiopatico.


A che conclusioni è arrivata EFSA nella valutazione scientifica della possibile influenza dell’acido lipoico sull’insorgenza della sindrome di Hirata e che cosa è la sindrome di Hirata, che incidenza ha in Europa, quali sono i sintomi e la gravità della malattia?


Su richiesta della Commissione Europea, il Panel on Nutrition, Novel Foods and Food Allergens (NDA) di EFSA ha pubblicato la sua opinione sull’associazione tra l’assunzione di acido lipoico (ALA) e l’incidenza della sindrome di Hirata, nella quale riassume i dati epidemiologici che indicano che nel mondo sono stati registrati solo 49 casi di sindrome di Hirata (IAS) correlati all’assunzione di ALA come integratore alimentare. Di questi 49 casi, 20 sono stati osservati in Europa. Inoltre, 22 casi su 49 non hanno manifestato sintomi, e in soli 12 casi i sintomi sono risultati gravi, ma comunque non letali. Il gruppo di esperti NDA dell'EFSA ha concluso che sulla base dei dati disponibili e della bassa prevalenza di IAS in Europa, il rischio associato allo sviluppo di IAS a seguito del consumo di ALA non può essere quantificato con precisione né per la popolazione generale né per sottogruppi o individui con suscettibilità genetica.  


La sindrome di Hirata è una forma rara di ipoglicemia caratterizzata dalla presenza nel circolo sanguigno di un’elevata concentrazione di anticorpi anti-insulina. L’interazione tra l’insulina e l’anticorpo anti-insulina forma un complesso che impedisce all’insulina di legare il recettore con conseguente aumento della concentrazione plasmatica di insulina che si traduce, come sopra detto, in una forte ipoglicemia.  


L’incidenza della sindrome di Hirata in Europa è bassissima, infatti i dati epidemiologici riportati da EFSA indicavano che nella popolazione giapponese l’incidenza nell’anno 2017-2018 è stata di circa 0,017 casi su 100.000 abitanti, che significa circa 2 soggetti ogni 12 milioni di persone, e nella popolazione caucasica era ancora più bassa per la minore presenza del gene Human Leukocyte Antigen HLA-DR4, in particolare dell’allele DRB1*04:03 riscontrato solo nello 0,4-3,9% della popolazione Europea.  


La sindrome di Hirata causa sintomi neuroglicopenici, neurogenici e colinergici. Solitamente, una volta che la causa scatenante è rimossa, la sindrome si risolve entro pochi mesi. Tuttavia, alcuni pazienti richiedono l’uso di un trattamento farmacologico per la completa risoluzione della sindrome.     


Relativamente allo studio condotto, perché avete scelto il dolore idiopatico

  

Il trattamento del dolore per i medici rappresenta una vera sfida. Nel caso in cui si conosca la patologia alla base del dolore, il medico può intervenire con dei trattamenti farmacologici che curano la malattia e che di conseguenza possono far regredire il dolore. Nel caso del dolore idiopatico, in cui cioè non è nota la causa patologica che provoca il dolore, il medico, non potendo trattare le cause alla base di questo sintomo, utilizza i farmaci antidolorifici che sono farmaci sintomatici finalizzati ad alleviare il dolore. Ad esempio, alcune forme di artralgia non sono classificabili e molto spesso non è previsto un trattamento farmacologico in quanto si risolvono spontaneamente entro un anno. Tuttavia, quando il dolore determina un disagio emotivo e interferisce con le attività quotidiane e la vita sociale, è necessario l’intervento del medico che generalmente prescrive farmaci antidolorifici. Il farmaco più utilizzato per alleviare il dolore è il paracetamolo. Sebbene la percezione comune sia che il paracetamolo è un farmaco estremamente sicuro, tale molecola può causare effetti avversi e si stima che negli Stati Uniti sia responsabile di 56.000 visite al pronto soccorso, 2600 ospedalizzazioni e 500 decessi all'anno (di cui il 50% di questi è dovuta a overdose non intenzionale). Inoltre il paracetamolo è la seconda causa più comune di trapianto di fegato in tutto il mondo.


Innovatività dello studio?


Questo studio risulta innovativo poiché in base ai dati di letteratura ad oggi pubblicati, questo è il primo studio clinico che ha dimostrato la sicurezza e l’efficacia di ALA come integratore alimentare in varie forme di dolore idiopatico, quali neuropatie, artralgie e fibromialgie a eziologia da identificare.


I risultati conseguiti e le ricadute sui medici di base?


Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare la sicurezza e l'efficacia di ALA nella riduzione di diverse forme di dolore idiopatico. In questo studio clinico monocentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, ALA è stato somministrato per via orale, per due mesi, a due dosi (800 e 400 mg/die), in 210 soggetti normoglicemici affetti da dolore idiopatico che non volevano o non potevano assumere farmaci antidolorifici. In particolare, poiché è noto che ALA ha un effetto euglicemizzante nei soggetti iperglicemici, lo studio ha valutato, come outcome primario, l’effetto sulla glicemia in soggetti normoglicemici e sulla riduzione del dolore. Inoltre, le possibili reazioni avverse (AR) sono state valutate utilizzando il modello raccomandato dall’Istituto Superiore di Sanità, Ministero della Salute. I risultati conseguiti dimostrano che dopo 2 mesi di trattamento, nessun soggetto ha riportato una diminuzione della glicemia o effetti avversi. Inoltre, i soggetti trattati mostrano ad entrambe le dosi una riduzione significativa del dolore rispetto al gruppo placebo. In conclusione, l’uso di ALA nel trattamento del dolore idiopatico potrebbe rappresentare per i medici di base e per gli specialisti una opzione sicura ed efficace da proporre ai pazienti che non vogliono oppure non possono assumere farmaci antidolorifici.