ETICHETTE DEGLI INTEGRATORI MULTILINGUA: OPPORTUNITÀ

E SFIDE

Il mercato Europeo degli integratori alimentari soffre ancora oggi della scarsa armonizzazione. Al contrario di un prosciutto, un integratore alimentare italiano non ha a sua disposizione un mercato di 447 milioni di potenziali consumatori (che sarebbe più grande del mercato USA) perché esistono ancora molte barriere alla libera circolazione delle merci. La Commissione Europea e gli Stati Membri non hanno ancora avuto la volontà politica di risolvere le differenze tra Stati, né la Corte di Giustizia è stata così determinata a pretendere il rispetto dei Trattati. Dove hanno fallito le istituzioni, ha funzionato però il libero mercato che il consumatore europeo mostra, in effetti, di apprezzare, chiedendo, di fatto di poter acquistare lo stesso prodotto in qualsiasi Stato Membro dell’Unione. In particolare, la grande diffusione della vendita online, spesso mediata dalla piattaforma Amazon, ha portato molte imprese del settore degli integratori alimentari a non ragionare più nei termini del mercato nazionale, ma di mercato UE, puntando per lo stesso prodotto almeno sui grandi paesi, quali Germania, Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi e, sempre più spesso, Polonia. Puntare anche solo sui “big 5” dell’Europa occidentale per lo stesso integratore pone diverse sfide di conformità, viste le differenze legislative ed interpretative. Si tratta di formulare e di notificare i prodotti con criteri diversi per diversi mercati; di studiare strategie comunicative compatibili; di affrontare altri obblighi anche di classificazione del prodotto o di natura fiscale o ambientale. Certamente, si tratta anche di etichettare in maniera di ridurre i costi, pur assicurando la conformità. La normativa (1, articolo 15), infatti, è chiara nel richiedere che sia presente sull’etichetta la lingua del paese in cui il prodotto è commercializzato (“gli Stati membri nei quali è commercializzato un alimento possono imporre che tali indicazioni siano fornite in una o più lingue ufficiali dell’Unione”), e che le informazioni online non possano sostituire l’etichetta fisica. La Corte di Giustizia (2) ha chiarito che tale obbligo scatta nel momento in cui il prodotto è esplicitamente offerto per la vendita in un dato stato membro (per esempio, con l’uso della lingua polacca; o con la bandierina della Finlandia). Alcune aziende hanno optato per etichette monolingua nei vari mercati di destino, ma questo comporta costi maggiori per la stampa e problemi logistici perché lo stesso prodotto dovrà essere identificato con diversi codici nella catena distributiva, quasi non del tutto risolvibili quando si intende commercializzare su grosse piattaforme paneuropee come Amazon. Da questa esigenza è nata una forte richiesta di etichette multilingua, che da decenni sono usate nel settore alimentare ma sono una novità nel settore degli integratori alimentari, che avevano un mercato ancora fortemente “nazionale”. Gli aspetti da considerare per un’etichetta multilingua non sono però pochi.

PERCHÉ ETICHETTE MULTILINGUA?

La prima sfida è ovviamente di natura linguistica. Nonostante la facilità dei traduttori automatici, l’esperienza insegna che i risultati siano spesso insoddisfacenti, imprevedibili, non conformi e spesso palesemente errati. Il formato “stick” in italiano non si traduce “bastone”. Anche i traduttori professionali, o le persone madrelingua, non risolvono il problema. Da una parte, l’etichettatura degli alimenti e degli integratori alimentari utilizza un “gergo” tecnico-scientifico che è diverso dalla lingua comune. In italiano, per esempio, assumiamo le capsule, non le prendiamo o mangiamo. Dall’altra, la normativa spesso richiede dei termini precisi. Di recente, la Corte di Giustizia ha condannato la catena Tesco nella Repubblica Ceca perché aveva usato una traduzione linguisticamente corretta per il termine polvere di cacao, che però non era, in ceco, quella prevista dal diritto europeo (3). Serve quindi una traduzione regolatoria, adattata al contesto degli integratori alimentari.


I requisiti di etichettatura poi variano da Stato a Stato. La Francia, come la Spagna o l’Italia o la Polonia, prevedono avvertenze specifiche per alcune sostanze; a volte sono simili, a volte del tutto diverse. I Paesi Bassi richiedono avvertenze speciali nel caso di utilizzo di alcuni claim. In Germania, vi sono usanze diverse, e particolari rischi ove i testi non siano accuratamente calibrati.


Questo conflitto di indicazioni rende un’etichetta diversa nelle varie lingue, e solleva il problema della potenziale ingannevolezza per il consumatore (1, articolo 7) che potrebbe essere confuso da avvertenze o modalità d’uso diverse nelle varie lingue che, magari, in qualche modo comprende. A poco vale l’obiezione che se così fosse l’impresa potrebbe evitare di usare mille lingue, perché basterebbe l’inglese. D’altro canto, non vi è molta flessibilità da parte delle autorità sui testi, e consolidare le avvertenze non è sempre possibile. In teoria, l’operatore del settore alimentare dovrebbe fare una sua valutazione del rischio e decidere dell’etichettatura in modo tale da impedire ogni pericolo al consumatore (4, articolo 14), per esempio escludendo dal consumo di un prodotto le donne in gravidanza, usando un testo per un’avvertenza che sia uniforme nelle lingue dell’etichetta. In pratica, questa valutazione sarà rigettata molto spesso se non include le avvertenze “obbligatorie”.


Per esempio, un prodotto che contenga una dose giornaliera di vitamina B6 di 3,5 mg, dovrebbe riportare in Francia un’avvertenza che ne esclude il consumo ai bambini fino a 10 anni e nei Paesi Bassi (6) ai bambini fino a 3 anni.


Naturalmente è possibile concepire avvertenze combinate, che siano sensate. Però, se, come nell’esempio citato, uno Stato Membro impone il divieto del consumo sotto i 10 anni, e un altro sotto i 3 anni, si potrebbe optare per il limite più restrittivo dei 10 anni in tutte le lingue, a rischio però che lo Stato che impone il limite dei 3 anni pretenda esattamente questo testo. In sostanza, sono situazioni da affrontare attentamente, caso per caso.

PROBLEMI LINGUISTICI E REGOLATORI

Oltre alle problematiche linguistiche e regolatorie, si è posta la questione di come presentare le informazioni. La maggioranza degli integratori occupa piccoli volumi, e richiede pertanto confezioni di piccole dimensioni. Lo spazio per indicare le informazioni obbligatorie nelle varie lingue (principalmente, la denominazione “integratore alimentare”, gli ingredienti, le avvertenze, la quantità delle sostanze ad effetto fisiologico, le istruzioni per l’uso, il nome dell’operatore responsabile e, da poco tempo, le informazioni per una corretta raccolta differenziata) è pertanto limitato. È vero che si possono ridurre le informazioni necessarie con qualche accorgimento (per esempio, abbandonare l’inutile dicitura “peso netto” o premesse poco utili al nome dell’operatore responsabile), ma la mole di informazioni è comunque importante.


Già da alcuni anni, sono disponibili le etichette peelable o peel-off che permettono di fornire sull’etichetta le informazioni obbligatorie in un soffietto multistrato o multipagina che può essere aperto e richiuso dal consumatore. Per quanto siano abbastanza diffuse, la conformità di queste soluzioni è tuttora dibattuta. In primo luogo, il Reg. (UE) n. 1169/2011 vieta di sacrificare le informazioni obbligatorie per fornire informazioni commerciali (volontarie), divieto che sembrerebbe in contrasto col proporre claim sulla confezione e relegare gli ingredienti nell’etichetta peel-off. In secondo luogo, lo stesso Regolamento prevede che le informazioni obbligatorie siano facilmente accessibili per il consumatore, e non è chiaro che questo requisito sia rispettato dalle etichette multistrato. Infine –per riassumere solo le principali perplessità – è evidente il diritto del consumatore di consultare tutte le informazioni prima dell’acquisto, per esempio per verificare se il consumo del prodotto non è raccomandato nel suo particolare stato di salute (per esempio, ipertensione), né si potrà obbligare il consumatore ad acquistare il prodotto se, nell’esaminare l’etichetta a soffietto, ne ha compromesso in qualche modo la forma. Nel complesso, tuttavia, questa soluzione è in rapida espansione, con la sostanziale mancanza di nuove obiezioni da parte delle autorità (con isolati dubbi in Polonia e, anche se non recenti, in Francia). Meno problematica in ogni caso appare la commercializzazione via Internet. In questo caso la normativa fornisce maggiori argomentazioni a supporto, anche perché la scelta commerciale dell’acquisto viene fatta sulla base delle informazioni online (anche se poi l’etichetta deve essere presente fisicamente nella lingua rilevante quando il prodotto raggiunge il consumatore). Vi sono delle linee guida in materia, tra cui quelle dell’associazione di categoria ESSNA (5), che però non sono pubblicamente disponibili.

LE ETICHETTE MULTISTRATO O MULTIPAGINA – PEEL-OFF LABELS

Fino ad una distante sostituzione delle etichette, parziale o totale, con codici QR, la necessità di presentare ai consumatori le informazioni obbligatorie sulle confezioni resterà pressante per gli operatori del settore alimentare. Questa necessità diventa ancora più complessa nel caso di etichette multilingua, che sono sempre più richieste nel settore degli integratori alimentari: con solo 4 lingue, si possono raggiungere oltre 250 milioni di consumatori; le piattaforme stanno dando pratica esecuzione all’obbligo di avere una lingua per ogni paese di commercializzazione pur pretendendo un unico codice di prodotto. La soluzione è quella di considerare le etichette multistrato o multipagina, cosiddette peel-off label, purché tecnologicamente adeguate e ben redatte, ove necessario, e di condurre un’attenta analisi linguistica (traduzione regolatoria) e regolatoria, per individuare testi conformi ai singoli paesi, senza che nel loro insieme questi possano risultare ingannevoli.

QUALI SOLUZIONI?

Riferimenti bibliografici

LUCA BUCCHINI            LUCILLA CARICCHIO
Hylobates Consulting srl | Italia

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