BATTERI A SUPPORTO DELLA TERAPIA: SIMBIOTICI E PROBIOTICI

È noto che il microbiota che popola il tratto gastroenterico produca un impatto sulla salute e che le quantità relative e il mix dei microrganismi che lo compongono possa essere modificato, ad esempio agendo sulla dieta e mediante l’assunzione di probiotici e prebiotici. I primi sono definiti come microorganismi vivi che, somministrati in adeguate quantità, producono un beneficio per la salute dell’ospite. Negli ultimi anni sono stati effettuati numerosi tentativi, più o meno efficaci, di utilizzarli con funzioni di supporto alla terapia convenzionale di diverse patologie. I prebiotici sono, invece, un gruppo di nutrienti che vengono degradati dal microbiota presente a livello della mucosa di rivestimento dell’apparato digerente. I prodotti di tali reazioni di degradazione sono acidi grassi a catena corta (Short-Chain Fatty Acids, SCFAs), che vengono rilasciati nella circolazione sanguigna e, di conseguenza, esercitano i loro effetti a livello sistemico. Frutto-oligosaccaridi (FOS) e galatto-oligosaccaridi (GOS) sono le due categorie di prebiotici che destano maggiore interesse per l’impiego ai fini di prevenzione e cura (1, 2, 3, 4, 5, 6).


I simbiotici sono stati nel 2019 oggetto di un convegno organizzato dalla International Scientific Association for Probiotics and Prebiotics (ISAPP), che ne ha aggiornato la definizione tradizionale di “miscele che contengono microorganismi vivi e substrati selettivamente utilizzati dai microrganismi ospiti e che offrono benefici per la salute dell’ospite” per recepire gli aspetti di innovatività associata a questi prodotti. Non tutti i cocktail di probiotici e prebiotici sono simbiotici, ma possono essere commercializzati come tali solo quelli per i quali è stata effettivamente dimostrata la correlazione con un vantaggio per la salute (1, 7).


L’assenza di microrganismi vitali è, invece, la caratteristica dei postbiotici, definiti come preparazioni di microorganismi inanimati e/o di loro componenti che apportano un beneficio in termini di salute all’ospite (1, 7).

    INTRODUZIONE

    Come parte di una categoria di alimenti promotori di salute la cui assunzione è associata alla riduzione del rischio di malattie croniche degenerative e patologie non trasmissibili, i simbiotici sono un esempio di cibo funzionale.


    Se gli approfondimenti intorno a probiotici e prebiotici hanno ormai portato alla formazione di una conoscenza relativamente solida di queste tipologie di prodotti in relazione alla salute umana e animale, non si può dire lo stesso dei simbiotici. Benché intorno a tali prodotti l’interesse sia da tempo vivo, solo nell’ultimo periodo gli effetti che generano nell’organismo sono stati oggetto di trial clinici dedicati.


    I primi studi risalgono a una decina di anni fa. Una ricerca pubblicata nel 2013 ne metteva in luce gli aspetti di sicurezza, mostrando che l’assunzione di 200 g al giorno di yogurt contenente simbiotici non altera il transito gastrointestinale nei soggetti adulti sani, è ben tollerato e riduce l’apporto complessivo di energia proveniente dai cibi (1, 8).


    Sono successivamente fioriti studi nell’ambito dei quali veniva evidenziato il ruolo dei simbiotici nell’ottimizzazione del sistema immunitario intestinale e nella promozione del controllo della popolazione batterica presente nel tratto gastroenterico. È stato osservato che l’apporto di simbiotici arricchisce la popolazione probiotica, aumenta il numero di linfociti circolanti e stimola il rilascio di citochine che attivano la fagocitosi, riducendo l’incidenza delle infezioni. La presenza contestuale dei prebiotici provoca un aumento dei livelli di acido lattico, promuovendo di conseguenza la riduzione del pH nell’ambiente intestinale (1, 8, 9, 10).


    L’efficacia dei simbiotici può variare in funzione dei ceppi assunti e della tipologia di matrice alimentare in cui sono contenuti, aspetto che può influenzarne la sopravvivenza e i potenziali benefici per la salute (1).

      


    IL CRESCENTE INTERESSE VERSO I SIMBIOTICI 

    MONICA TORRIANI

    Consulente scientifica | Italia

    Bio...

    La necessità di prevenire la riduzione della massa ossea e il rischio di osteoporosi nelle donne in post-menopausa è alla base della somministrazione di integratori e farmaci mirati a mantenere opportuni livelli di calcio disponibile per l’osso. La concentrazione di questo elemento è infatti mantenuta in equilibrio da stimoli ormonali che, con la cessazione della produzione di estrogeni, vengono meno (11, 12, 13).


    Uno dei problemi connessi alla supplementazione del calcio è rappresentato dalla difficoltà di raggiungere un’adeguata biodisponibilità. Uno studio pubblicato lo scorso aprile apre tuttavia nuove prospettive nello sviluppo di prodotti in grado di massimizzare tale parametro. È stato infatti osservato che l’assunzione di cibo funzionale contenente non singolarmente probiotici o prebiotici, ma opportune miscele di questi prodotti (simbiotici) potrebbe aumentare la biodisponibilità di calcio.


    Tale aspetto era già stato in parte rilevato nel corso di ricerche svolte negli anni precedenti, ma non era stato mai esaminato nel dettaglio (14, 15).


    Sono state anche messe a fuoco le caratteristiche delle miscele che costituiscono i simbiotici di interesse ai fini supplementativi e, in particolare, i ceppi che esprimono le migliori performance. Si è in tal modo scoperto che, fra i probiotici, alcuni ceppi di Lactobacillus spp. possiedono un effetto benefico sulla salute delle ossa, quando impiegati da soli o in combinazione con i prebiotici. Fra i prebiotici, l’inulina (un carboidrato prodotto dalle piante indigeribile dall’organismo umano) è stato associato all’aumento nell’assorbimento del calcio (14, 16, 17).


    Lo studio da poco pubblicato cui si è accennato nei passaggi precedenti dimostra che l’assunzione quotidiana, per un periodo pari a 3 settimane, di yogurt funzionale contenente prebiotici (inulina) e probiotici (Lactobacillus rhamnosus GG) da parte di una popolazione di donne adulte potenzia l’assorbimento di calcio rispetto al normale yogurt (braccio di controllo). Nel dettaglio, i dati emersi nel corso della ricerca mostrano che l’assorbimento del calcio aumenta del 24% (14).


    Tale conclusione necessita di ulteriori studi per essere confermata, ma sottolinea un aspetto di notevole interesse clinico, ossia che l’assorbimento del calcio nell’organismo umano si verifica principalmente a livello del colon (14).

    SIMBIOTICI: UNO SCENARIO NEL FOCUS DELLA RICERCA

    Nel recente passato i probiotici sono stati proposti come terapia aggiuntiva nella gestione di alcuni disturbi gastrointestinali, fra i quali la colite ulcerosa. Ma la rilevazione, emersa nell’ambito della comunità scientifica, di preoccupazioni per la sicurezza del trattamento con probiotici ha portato alla proposta di alternative, fra cui i postbiotici (1, 2, 3, 18, 1920, 21).


    La colite ulcerosa è una patologia cronica infiammatoria dell’intestino che si manifesta con dolore addominale, diarrea e sanguinamento rettale. Malgrado l’eziologia non sia completamente chiara, è ampiamente accettato che diversi fattori di tipo genetico, microbico e immunitario contribuiscano al suo sviluppo e alla sua progressione. Sotto questo profilo, il ruolo del microbiota intestinale è fra i più studiati. Numerose evidenze suggeriscono che la somministrazione di probiotici potrebbe attenuare la sintomatologia della colite ulcerosa e il livello di infiammazione indotta dalla malattia, presumibilmente attraverso la modulazione del microbiota intestinale (21, 22, 23, 24, 25, 26, 27).


    MODULARE IL MICROBIOTA NELLE MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE DELL’INTESTINO

    I postbiotici sono stati definiti nel 2021 dalla ISAPP come preparazioni di microorganismi inanimati e/o di loro componenti che apportano un beneficio in termini di salute all’ospite. Di recente sono emerse evidenze che evidenziano come l’attività biologica dei postbiotici nei confronti dell’ospite sia paragonabile a quella offerta dai probiotici, in particolare nella gestione di alcuni disturbi intestinali, malgrado l’assenza di microrganismi vivi. Il fatto che la vitalità dei microrganismi non rappresenti più una preoccupazione costituisce un aspetto di particolare vantaggio, soprattutto con riferimento alla sicurezza. Al contrario di quanto avviene per la somministrazione di probiotici, quella di postbiotici non è infatti correlata ad alcun rischio di batteriemia, né di trasmissione di geni di virulenza o di diffusione del fenomeno dell’antibiotico resistenza (2, 21, 28, 29).


    Anche dal punto di vista della fabbricazione e dello stoccaggio del prodotto le implicazioni sono nettamente inferiori rispetto a quelle connesse ai probiotici. Le preparazioni postbiotiche possono essere facilmente e stabilmente conservate a temperatura ambiente per anni senza la necessità di considerare la progressiva riduzione dell’attività biologica dovuta alla perdita di vitalità dei batteri nel tempo (2, 30).

    PIÙ SICUREZZA, MENO VINCOLI PER LA CONSERVAZIONE: I POSTBIOTICI

    Nel complesso, queste considerazioni hanno alimentato un discreto interesse verso le potenzialità delle applicazioni dei postbiotici nella prevenzione e nel supporto alla terapia (2, 30).


    Uno studio recentissimo (pubblicato il 22 novembre scorso) ha comparato gli effetti benefici generati dall’assunzione di postbiotici e probiotici (derivanti dal ceppo Bifidobacterium adolescentis B8598) in un modello di colite ulcerosa murina ottenuta tramite somministrazione di destrano solfato di sodio (DSS). Nel corso della ricerca, sono stati analizzati gli effetti in 4 gruppi. Nel gruppo di controllo non è stata indotta la malattia ed è stata somministrata una soluzione acquosa salina. In un secondo gruppo (DSS) è stata indotta la malattia e non sono stati somministrati probiotici né postbiotici. In un terzo (postbiotici) è stata indotta la malattia e sono stati somministrati postbiotici. In un quarto (probiotici) i topi hanno subito l’induzione della colite ulcerosa e ricevuto i probiotici (9).


    I dati ottenuti dai ricercatori hanno dimostrato che sia il braccio postbiotici che quello probiotici sono andati incontro a un miglioramento della colite. Nessuno dei trattamenti testati ha modificato la alfa-diversity del microbiota fecale (ossia la variabilità con riferimento alle specie presenti). Ma il trattamento con postbiotici ha evidenziato un effetto più robusto sulla modulazione della beta diversity (la variabilità riferita ai ceppi presenti) (9, 31).


    COLITE ULCEROSA: UN POSSIBILE SUPPORTO DAI POSTBIOTICI?

    Riguardo probiotici e prebiotici la comunità scientifica ha accumulato una significativa quantità di conoscenze, sia in merito alla sicurezza che all’efficacia dei singoli prodotti.


    Di recente, l’attenzione dei ricercatori si è aperta alle loro combinazioni: gli studi condotti sui simbiotici mettono in evidenza aspetti interessanti per le possibili applicazioni nella supplementazione. Una delle possibili prospettive è quella del supporto alla prevenzione della deplezione di osso in menopausa, tramite l’effetto positivo sull’assorbimento del calcio e la massimizzazione della sua biodisponibilità.


    Mentre nell’individuo sano la somministrazione di batteri risulta essere relativamente sicura, nella persona affetta da malattia cronica si pongono problemi di safety. Ciò limita l’integrazione nei pazienti con patologia infiammatoria cronica dell’intestino con prodotti che sembrano offrire un beneficio in termini di miglioramento della sintomatologia. L’assunzione di postbiotici, prodotti nei quali non sono presenti microrganismi vitali, sembra offrire i medesimi vantaggi a fronte di un profilo di sicurezza migliore.


    Su entrambi i versanti sono tuttavia necessari ulteriori approfondimenti a conferma dei risultati fin qui ottenuti.

    OLTRE PROBIOTICI E PREBIOTICI: SIMBIOTICI E POSTBIOTICI PER LA MODULAZIONE DEL MICROBIOTA

    Riferimenti bibliografici

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    BIOTICI