Legge e dintorni

Antonio Fiumara

Avvocato dello Studio Avvocato Andreis e associati | Italia

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Alcune recenti pronunce, emanate sia da Autorità nazionali che sovranazionali, aventi ad oggetto la composizione e la presentazione dei cosmetici, ci portano a riflettere sulla linea di demarcazione, a volte apparentemente sottile, che intercorre tra questi prodotti e i medicinali.


Sebbene si tratti di un tema noto e del quale più volte si è discusso, il rapporto tra cosmetici e farmaci assume sempre una certa attualità in virtù del progresso tecnico-scientifico e della continua proliferazione di prodotti innovativi, con nuovi principi attivi, finalizzati ad apportare benefici sempre più efficaci per il corpo umano.


In questo contesto, quando la presentazione del cosmetico non è rispettosa dei principi che regolano la materia, ma anzi tende ad enfatizzarne gli effetti curativi, i benefici vantati rischiano di apparire simili, se non del tutto equipollenti, a quelli apportati dai medicinali.


Ma tale equiparazione è vietata, visto che le due categorie di prodotti hanno delle profonde differenze e sostanzialmente diverse sono le finalità perseguite.


Per fare un po' di chiarezza pare opportuno richiamare le disposizioni di legge che regolano le due materie.


I cosmetici sono definiti dall’art. 2, comma 1 lett. a) del Reg. 1223/2009 come “qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei”.


La definizione viene completata anche dal successivo art. 2, comma 2, che, a contrario, ci ricorda come non possa mai considerarsi cosmetico “una sostanza o miscela destinata ad essere ingerita, inalata, iniettata o impiantata nel corpo umano”.


Come di recente ricordato anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, “un prodotto cosmetico non si riduce alle sostanze che lo compongono, ma è caratterizzato, oltre che da tali sostanze, dalla categoria di prodotti cosmetici cui appartiene e dall'uso al quale è destinato” (1).


Vengono quindi in rilievo le otto specifiche destinazioni per i prodotti cosmetici identificate nel preambolo agli allegati da II a IV del regolamento: (2)

  • prodotto per capelli/barba e baffi (destinato all'applicazione sulle zone pilifere della testa o del viso, eccettuate le ciglia)
  • prodotto per la pelle (destinato all'applicazione cutanea)
  • prodotto per le labbra
  • prodotto per il viso (destinato specificamente all'applicazione sulla cute del viso)
  • prodotto per le unghie
  • prodotto per il cavo orale (destinato all'applicazione sui denti o sulle membrane mucose della cavità orale)
  • prodotto da applicare sulle membrane mucose (cavità orale, intorno agli occhi e organi genitali esterni)
  • prodotto per gli occhi (zona perioculare)

Differentemente dai cosmetici, i medicinali per uso umano vengono invece disciplinati, in ambito nazionale, dal D. Lgs. 219/2006 (di recepimento della Direttiva 83/2001 e successive direttive di modifica) che all’art. 1 così li definisce:

1) ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane;

2) ogni sostanza o associazione di sostanze che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un'azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica.


Come si può osservare, le definizioni sopra citate sono di portata generale e si differenziano principalmente per le finalità perseguite. In estrema sintesi, si può osservare come i cosmetici abbiano un fine precipuamente estetico, mentre i medicinali perseguano effetti curativi e terapeutici (che i primi non possono avere) (3).


In conseguenza di ciò, al fine di individuare la corretta disciplina applicabile al prodotto di interesse, si dovrà effettuare una valutazione caso per caso tenendo conto di tutte le caratteristiche del prodotto in questione (in particolare composizione e finalità), tra cui le modalità di presentazione adottate.


Con riguardo a quest’ultimo aspetto, si ricorda che al cosmetico non possono essere attribuire, direttamente o indirettamente o in modo fuorviante, proprietà curative idonee ad intervenire in maniera definitiva sulla causa degli inestetismi. Tutte le indicazioni fornite (sia attraverso diciture e denominazioni che attraverso immagini o altri segni grafici) devono essere prese in considerazione, poiché tutte idonee a veicolare le scelte dell’acquirente.


Sul punto, una riflessione interessante è stata fornita dal Giurì dell’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria che, ancora di recente, nel valutare i profili di ingannevolezza di una comunicazione commerciale (avente ad oggetto l’utilizzo del termine “rigenerare”), ha osservato come debba essere preso in considerazione anche il significato semantico delle parole (4).


L’inidoneità può infatti derivare anche quando il termine adottato per indicare una funzionalità del prodotto pubblicizzato abbia uno spettro semantico ampio che non lo circoscriva necessariamente al primario senso letterale; invero, quando il termine viene adottato in un contesto comunicativo che, sia per suggestioni, sia per un uso reiterato del termine, riconduce al senso primario letterale, il messaggio che lo adotta può risultare ingannevole qualora risulti incompatibile con la natura del prodotto.


Questo principio trova applicazione anche per l’attribuzione di qualità curative allorché la comunicazione commerciale di un prodotto cosmetico, pur se contraddistinto da una funzionalità “secondaria”, ovvero ulteriore rispetto all'efficacia normalmente attribuita alla categoria merceologica di appartenenza, evochi qualità medicinali in realtà assenti.


Si precisa, per completezza, che il divieto del richiamo a raccomandazioni e attestazioni di tipo medico non è assoluto ma, come detto, è rivolto a vietare che tali riferimenti possano esplicare una efficacia suggestiva conferendo al prodotto una aurea di medicalità che non gli compete.


In ogni caso, si ricorda che il vanto di una determinata efficacia del prodotto, soprattutto quando si enfatizzano benefici specifici, deve essere il frutto di una valutazione fondata su basi scientifiche e su sperimentazioni adeguate e pertinenti.


La giurisprudenza ha infatti più volte affermato il principio secondo cui “deve ritenersi ingannevole il messaggio pubblicitario che attribuisce alle componenti di un prodotto cosmetico caratteristiche e proprietà non ancora sperimentalmente accertate e non fondate su evidenze scientifiche ampiamente condivise ovvero riconducibili alla ripetibilità, statisticamente significativa, delle osservazioni dei ricercatori e, quindi, alla pluralità dei dati sperimentali a sostegno di una determinata ipotesi, che sono proprie del metodo scientifico. In tal modo, la promessa di effetti mirabolanti o, comunque, l'enfatizzazione di risultati assai più ampi rispetto a quelli desumibili dalle sperimentazioni effettuate configura, infatti, un messaggio decettivo per omessa informativa, che impedisce al pubblico di percepire correttamente la reale portata dei benefici prospettati. Ed infatti, laddove si faccia riferimento a effetti clinicamente testati o comunque presentati come oggettivamente accertati, occorre il supporto di una validazione di efficacia particolare, affidata a metodiche scientificamente rigorose ed attendibili anche in termini statistici.” (5).


In ultimo, parlando della presentazione del prodotto, bisogna di riflesso tenere in considerazione anche l’aspettativa del consumatore e quindi la sua capacità di comprensione dei messaggi.


Tale valutazione va compiuta con maggior rigore quando ci si rivolge ad acquirenti c.d. vulnerabili, che presentano inestetismi o imperfezioni fisiche poiché “tali circostanze appaiono in grado di rendere i destinatari dei messaggi promozionali particolarmente sensibili a sollecitazioni, rendendo pertanto necessaria una valutazione rigorosa circa la veridicità, trasparenza e correttezza dei messaggi pubblicitari veicolati dagli operatori del settore” (6).


In questi casi, infatti, “risulta affievolita l'elaborazione critica del consumatore nel caso di messaggi che volutamente oscillano sul confine tra medicinale e cosmetico, anche perché l'interesse dell'acquirente si concentra sulla descrizione degli effetti vantati piuttosto che sulla sua composizione.” (7).


Può apparire una valutazione rigorosa ma, a ben vedere, tale principio si inserisce nell’orientamento ormai diffuso e condiviso secondo cui il consumatore medio tende a decodificare i messaggi che riceve nei termini prestazionali che gli possono interessare e non già in termini puramente comunicazionali che non lo interessano affatto.

 Il confine tra cosmetici e medicinali

Riferimenti bibliografici