PROBIOTICI, PREBIOTICI 

E INDICAZIONI

SULLA SALUTE:

A CHE PUNTO SIAMO?

Un integratore con probiotici o prebiotici fa bene alla salute? Da questa semplice domanda, deriva la complessa situazione regolatoria dell’uso del termine “probiotico” e del termine “prebiotico” nell’Unione europea. Rispondendo positivamente a questa domanda, nel 2007, la Commissione europea con gli Stati membri presero, inconsapevolmente, una posizione decisiva per gli eventi dei successivi 15 anni. Decisero, infatti, che i termini “probiotico” e “prebiotico” implicassero un beneficio sulla salute e potessero continuare ad utilizzarsi in etichettatura e pubblicità solo nell’ambito del Regolamento (CE) n. 1924/2006 (1) sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute, come riferimenti generali ai benefici sulla salute (benessere intestinale, per esempio). I riferimenti generali (articolo 10.3) si possono, infatti, vantare purché accompagnati da un’indicazione sulla salute specifica. In altre parole, se per una specifica specie di microrganismi probiotici fosse stata autorizzata un’indicazione, come, per ipotesi, “Lactobacillus bulgaricus aiuta a mantenere una regolare funziona intestinale”, e si fosse aggiunta questa specie al prodotto, allora lo stesso poteva chiamarsi “probiotico” perché poteva vantare l’indicazione specifica. 


Nel 2007, era difficile prevedere che negli anni successivi, fino al 2012, EFSA, l’autorità europea deputata alla valutazione delle domande di indicazioni sulla salute, comprese quelle specifiche sui singoli probiotici, avrebbe ritenuto che il proprio mandato di garantire gli standard scientifici più elevati possibili (“una valutazione scientifica del più alto livello possibile”) l’avrebbe condotta a dare parere negativo a tutte le domande di autorizzazione ai claim sulla salute sui probiotici (il caso dei prebiotici è un po’ diverso, come discusso sotto). Unica eccezione è stato il claim sui “fermenti vivi” nello yogurt (“Nei soggetti che maldigeriscono il lattosio, i fermenti vivi nello yogurt o nel latte fermentato migliorano la digestione del lattosio contenuto nel prodotto”), di nessun uso nel campo degli integratori alimentari. Senza claim specifici, il termine “probiotico” diventava, seguendo l’iter logico sopra esposto, inutilizzabile. La Corte di giustizia federale (Bundesgerichtshof (BGH) der Bundesrepublik Deutschland), la suprema corte tedesca, finiva nel 2014 (26.02.2014 - I ZR 178/12) (2) per validare questo approccio in maniera quasi definitiva, vincolando la Germania ed in qualche misura la Commissione stessa. Certamente, Commissione e Stati membri non potevano prevedere l’esito della valutazione di EFSA, e, prima dell’esito stesso, i criteri adottati da EFSA stessa per i microrganismi; a posteriori, si può riflettere sul fatto che la Commissione abbia affrontato un intero settore industriale ed anche un importante ambito scientifico (e questo riguarda anche EFSA) con una certa superficialità, dettata probabilmente dall’esigenza di EFSA di imporre una linea rigorosa ma anche di affrontare migliaia di domande di autorizzazione in poco tempo. Questa mancanza di riflessione – che in parte c’è stata sui botanicals da parte della Commissione stessa - continua a tutt’oggi e non c’è quindi un chiaro percorso di studi e dati che possa portare all’autorizzazione di un claim su specifici ceppi probiotici. La carenza di fiducia nel processo di approvazione da parte di industria e comunità scientifica non può essere visto come un successo. Nell’attuale situazione, in effetti, bisognerebbe credere che i probiotici siano del tutto inefficaci, e la scienza relativa ad essi infondata, per pensare che la situazione sia soddisfacente. 


Tuttavia, la regolamentazione dei claim sui probiotici non si è fermata nel 2007 a Brussels, nel 2012 a Parma, o a Karlsruhe nel 2014. In maniera particolarmente significativa, nel 2009, EFSA (3) concluse, in un’opinione scientifica, che l’equilibrio della flora microbica intestinale non sia un effetto benefico sulla salute di per sé. Questa presa di posizione – ad EFSA compete la decisione sulla compatibilità di un claim proposto con le definizioni del regolamento – portò l’Italia a ritenere superata la posizione comunitaria del 2007. Di conseguenza, l’informazione volontaria relativa all’equilibrio della flora intestinale poteva essere equiparata al termine “probiotico” e quest’ultimo collocato nell’ambito più generale delle informazioni corrette sugli alimenti (articolo 7 del Reg. (UE) n. 1169/2011) (4) con l’emanazione di specifiche linee guida. Sulla base di tali linee guida, con ultima revisione nel 2018 (5) , il termine “probiotico” ha continuato ad essere utilizzato in Italia. Regole simili sono state applicate al termine “prebiotico”. 


Parallelamente, l’ipotesi di considerare “probiotico” un descrittore generico, cioè un termine che potesse sembrare un’indicazione benefica sulla salute ma usato ormai tradizionalmente in altro senso (come “acqua tonica” o “biscotto della salute”), discussa negli scorsi anni, è nel frattempo tramontata. In qualche misura, per un decennio, la posizione italiana è rimasta isolata. 

PROBIOTICO E PREBIOTICO E I CLAIM

Negli ultimi anni, Stati membri diversi dall’Italia si sono trovati in difficoltà, considerando il crescente interesse dei consumatori e la “gabbia” imposta dalla posizione del 2007. La Commissione, considerando le conclusioni del supremo tribunale tedesco, non è stata disposta a rivedere quella posizione. D’altro canto, i continui rifiuti di EFSA di ogni domanda di autorizzazione di probiotici (finché ne sono state presentate) creava e crea una tensione molto particolare tra principi e realtà; l’industria ha sostanzialmente perso fiducia nella possibilità di un parere positivo su un probiotico da parte di EFSA. D’altro canto, l’industria reagiva, anche in Italia, abbinando vitamine e minerali o piante con i probiotici negli integratori alimentari finiti. Vitamine e minerali da una parte, e piante, con claim rispettivamente autorizzati o in regime transitorio, possono conferire ai prodotti con probiotici la funzione che i probiotici non possono di per sé vantare. Per esempio, un probiotico con azione benefica sui gas intestinali viene abbinato ad oli essenziali di piante, che hanno dei claim transitori rilevanti, in modo che nel complesso si possa veicolare l’informazione desiderata. 


Dopo l’Italia, anche la Spagna – rendendosi conto di aver dato il via libera a numerosi prodotti con il nome probiotico a livello regionale e per mutuo riconoscimento – ha consentito l’uso del termine probiotico a determinate condizioni per evitare discriminazioni. D’altro canto, poiché un claim corrispondente al termine prebiotico è stato autorizzato relativamente all’inulina (“l'inulina da cicoria contribuisce alle normali funzioni intestinali grazie a un aumento della frequenza di evacuazione”), la Spagna, al contrario dell’Italia, associa il termine solo a questo claim. 


I Paesi Bassi hanno invece indicato l’accettabilità del termine “probiotico” come categoria delle sostanze contenute in un prodotto, un’informazione richiesta dalla normativa sugli integratori alimentari, come è consentita la categoria “vitamine” (con la denominazione “integratore alimentare con probiotici”). Altri Stati membri, come la Repubblica Ceca, si sono mossi nello stesso senso, e più recentemente anche la Francia sta formalizzando un’esplicita tolleranza del termine “probiotico”. 


Resta ostinatamente contraria la Germania. Anche nel Regno Unito è rimasta una posizione negativa, anche se è in corso un fitto dialogo per superarla. In Svizzera, la legislazione ha previsto alcune disposizioni sulle “colture batteriche” senza consentire il termine con provvedimento generale. 

LA SITUAZIONE NEGLI STATI MEMBRI DELLA UE, NEL REGNO UNITO E IN SVIZZERA: PROBIOTICO 

Ci si può chiedere se esiste una concreta possibilità di superare lo stallo a livello europeo, portando ad una regolamentazione armonizzata che si ispiri, per esempio, alle linee guida italiane. Certamente, un approccio proporzionato al tema che, senza compromettere l’integrità scientifica, promuova una ripresa della ricerca scientifica e delle domande di autorizzazione, sarebbe auspicabile. Bisogna riconoscere però che questo approccio richiederebbe una volontà che al momento non è condivisa. Senza proporre cambiamenti radicali alla legislazione, e tenendo conto del macigno della sentenza tedesca, è probabilmente un’iniziativa di EFSA, che porti a ridare fiducia ai richiedenti nella possibilità di un esito positivo, la prospettiva più praticabile. Realisticamente, in ogni caso, i prossimi anni vedranno, probabilmente, unicamente un progressivo allentamento a livello nazionale dei vincoli, come già accaduto in Italia, Spagna e Francia, con l’eccezione della Germania. A questa situazione vanno rapportate le strategie scientifiche e di sviluppo e comunicazione. Cambiamenti più profondi ed in linea con le evidenze scientifiche dovranno, purtroppo, aspettare ancora diversi anni.

EVOLUZIONE ARMONIZZATA DIFFICILE 

LUCA BUCCHINI            LUCILLA CARICCHIO
Hylobates Consulting srl | Italia

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