L-ARABINOSIO: DAL GIAPPONE

UN RIMEDIO CONTRO L’OBESITÀ?

Il microbiota intestinale rappresenta un vero e proprio ecosistema, composto da trilioni di cellule – batteri, virus, funghi e protozoi – in costante comunicazione reciproca, che agisce come un unico organismo in grado di dialogare e cooperare intimamente con il sistema metabolico umano. 


Nel corso degli ultimi decenni la ricerca scientifica ha permesso di acquisire conoscenze sempre più approfondite sul microbiota umano, che si è visto riconoscere una serie di funzioni ritenute necessarie e indispensabili al mantenimento dell’omeostasi e della salute dell’organismo ospite: tra esse, 

  • la modulazione della risposta infiammatoria e immunitaria 

  • la regolazione del metabolismo di zuccheri e grassi 

  • l’estrazione di energia da cibi che sarebbero altrimenti indigeribili 

  • la regolazione della permeabilità intestinale 

  • la produzione di vitamine (B e K) 

  • l’assorbimento di minerali 

  • la secrezione di ormoni intestinali coinvolti nella funzionalità digestiva e nel senso di sazietà.   

Non stupisce, dunque, come negli ultimi anni una pletora di studi comparativi, basati sul confronto tra microbiota di individui sani e di individui malati, abbia messo in relazione la buona salute del microbiota con quella dell’intero organismo – e, viceversa, abbia correlato le disbiosi intestinali con fenomeni infiammatori e con una serie di patologie croniche, quali allergie, sindrome metabolica, diabete di tipo 2, dislipidemie, colon irritabile, fino ad alcune forme di cancro [1,4]. 


All’origine delle disbiosi intestinali possono esserci svariati fattori – quali patologie digestive o utilizzo prolungato di farmaci (si pensi alle terapie antibiotiche, per esempio) – ma è ormai assunto comune che la causa principale sia da ricondursi ad uno stile di vita scorretto, caratterizzato in particolare da una dieta ricca di cibi processati e povera di fibre – tipica proprio di quei paesi più industrializzati ove si registra maggior incidenza delle patologie sopra elencate. 


L’importanza di una dieta ricca di fibre risiede nel fatto che, pur essendo indigeribili dal nostro apparato digerente, esse costituiscono un substrato preferenziale per il nutrimento del microbiota, il quale, in seguito a processi fermentativi, produce i cosiddetti SCFA, gli acidi grassi a corta catena (butirrico, acetico e propionico), benefici per la salute umana [2,3,5]. 


Pur essendo fortemente raccomandate, tuttavia, le fibre vanno assunte con cautela da chi è soggetto a sindrome del colon irritabile o a problematiche comunque riconducibili a fenomeni fermentativi intestinali: in questi casi il consumo di fibre deve essere opportunamente modulato, in modo da bilanciare i benefici con la necessità di tenere sotto controllo la sintomatologia [10]. 


    INTRODUZIONE

    Acetato, propionato e butirrato sono sali di acidi grassi a corta catena (SCFA) prodotti in seguito a processi fermentativi ad opera del microbiota intestinale. Oltre ad essere una fonte di energia per l’organismo ospite, gli SFCA giocano un ruolo importante nel mantenimento della salute, nella regolazione del metabolismo e nelle reazioni immunitarie; inoltre, grazie al legame con due recettori accoppiati a proteine G, presenti nelle cellule dell’apparato gastrointestinale, essi stimolano la secrezione di ormoni coinvolti nella riduzione dell’appetito, nel rallentamento della velocità di svuotamento gastrico e nella diminuzione della resistenza all’insulina (alla base di numerosi problemi metabolici). 


    La principale fonte di SFCA è rappresentata dai cosiddetti MAC, i carboidrati microbiota-accessibili: si tratta di polisaccaridi non amidacei (le fibre o NSP=Non-Starch Polysaccarides), di amido resistente (RS=Resistant Starch) e di oligosaccaridi resistenti (per es. i FOS, frutto-oligo-saccaridi) che, indigeribili dal corredo enzimatico di saliva, pancreas e intestino tenue, arrivano intatti a livello del colon, ove costituiscono il substrato per la fermentazione operata dalla microflora intestinale. In buona sostanza, dunque, i MAC sono carboidrati in grado di funzionare da prebiotici, ossia da fonte alimentare per il nutrimento e il benessere del microbiota intestinale [2,6,7]. 

    MICROBIOTA E OBESITÀ: IL RUOLO DI SCFA E MAC 

    SONJA BELLOMI

    Fondazione ITS Biotecnologie e Nuove Scienze della Vita Piemonte | Italia

    Bio...

    Se da un lato è stata riconosciuta l’importanza dei MAC all’interno di un’alimentazione sana ed equilibrata, dall’altro il modo con cui ciascun MAC influenzi il microbiota intestinale – e il metabolismo dell’ospite - resta ancora poco chiaro, dipendendo esso sia dalle caratteristiche del carboidrato in sé, sia dall’efficienza metabolica del microbiota, diversa da individuo a individuo e fortemente influenzata dalle abitudini alimentari. 


    Nel tentativo di approfondire questa tematica, con particolare riferimento ai problemi di sovrappeso e obesità, un gruppo di ricercatori giapponesi dell’Università di Tokyo ha recentemente investigato l’azione sinergica di due specifici MAC, l’L-arabinosio e il saccarosio, i termini di attività sia sul microbiota intestinale che sull’aumento di peso corporeo indotto da un’alimentazione squilibrata [7]. 


    L’L-arabinosio è un monosaccaride, estratto dalle fibre vegetali, che viene utilizzato come dolcificante naturale e come additivo per alimenti. Scarsamente assorbito a livello intestinale, esso si è dimostrato in grado di ridurre l’assorbimento del saccarosio assunto con il cibo, abbassando il picco glicemico post-prandiale: per tale ragione è utilizzato come dolcificante in pazienti obesi o affetti da diabete di tipo 2.  


    L’effetto ipoglicemizzante dell’L-arabinosio risiede nella sua attività inibente nei confronti della saccarasi, l’enzima che scinde il saccarosio nei due monomeri glucosio e fruttosio: secondo i risultati di un precedente studio, effettuato sia in vitro che su un gruppo di volontari sani [8], l’inibizione coinvolge circa il 20% delle saccarasi presenti a livello intestinale, per un tempo intorno alle 6 ore, durante le quali si riduce la quantità di glucosio disponibile per l’assorbimento intestinale – e, di conseguenza, la glicemia postprandiale.  

    In aggiunta a ciò, in esperimenti condotti su topi, l’L-arabinosio si è dimostrato in grado di modulare in senso favorevole la composizione del microbiota intestinale e di migliorare la sindrome metabolica indotta con una dieta ricca di grassi [9]. 


    La prima fase dello studio giapponese in oggetto, pubblicato sulla rivista Cell Reports nel luglio 2022 [7], è stata condotta somministrando saccarosio, in presenza o in assenza di L-arabinosio, in topi mantenuti a digiuno nelle precedenti 24 ore. I livelli di glucosio sono stati monitorati dopo 15, 30 e 45 min dalla somministrazione e sono effettivamente risultati inferiori nei topi trattati con L-arabinosio rispetto a quelli non trattati. 


    In una fase successiva dello studio, i topi trattati con L-arabinosio, alimentati con una dieta ricca di grassi, hanno mostrato un minor incremento di peso e dei livelli di colesterolo plasmatico, rispetto al gruppo non trattato; nessuna differenza invece è stata rilevata sul livello dei trigliceridi.  

    L’aspetto interessante del test è che l’effetto antiobesità dell’L-arabinosio si è manifestato solo in presenza di saccarosio, assunto con la dieta ad alto contenuto calorico somministrata ai topi: laddove, infatti, il saccarosio è stato sostituito con glucosio, l’integrazione con L-arabinosio non ha sortito effetti sull’aumento di peso. 


    Secondo i risultati della ricerca, l’effetto anti-obesità dell’L-arabinosio non si limiterebbe all’azione diretta sulla saccarasi - e quindi sui livelli di glucosio postprandiali: il monosaccaride avrebbe dimostrato altresì di promuovere, nel microbiota intestinale, la proliferazione di Bifidobatteri e di Batterioidi, due famiglie di batteri in grado di contrastare l’aumento di peso. A riprova di ciò, i ricercatori hanno evidenziato come in assenza di questi due ceppi batterici – indotta per esempio somministrando antibiotici (eritromicina) – l’efficacia dell’L-arabinosio risulti pressochè nulla. Esiste dunque un’influenza reciproca tra microbiota e L-arabinosio nel controllo dell’obesità. 


    Dallo studio giapponese è infine emerso un terzo meccanismo attraverso cui l’L-arabinosio eserciterebbe il suo effetto antiobesità, ossia tramite la stimolazione di due recettori accoppiati alle proteine G, GPR43 e GPR41, ai quali si legano gli SFCA, coinvolti nel meccanismo di controllo dell’adiposità corporea: una maggiore espressione di questi recettori significherebbe maggior possibilità di legare gli SCFA e in definitiva maggior efficacia anti-obesità. 


    In estrema sintesi, i risultati delle prove in vivo effettuate nello studio sopra descritto possono essere schematizzati come segue:  

    • L-arabinosio ha mostrato effetti antiobesità in presenza di saccarosio 

    • L’effetto antiobesità dell’ L-arabinosio è fortemente influenzato dalla composizione del microbiota intestinale: quest’ultimo, a sua volta, può influire sull’efficacia dello stesso L-arabinosio 

    • L-arabinosio può potenziare l’azione degli SCFA aumentando l’espressione dei recettori specifici 

    L-ARABINOSIO E SACCAROSIO: I RISULTATI DELLO STUDIO GIAPPONESE 

    L’L-arabinosio è uno zucchero in grado di influenzare il metabolismo glicemico e lipidico, esercitando un potenziale contrasto a sovrappeso e obesità. Per funzionare al meglio, tuttavia, l’L-arabinosio deve poter contare sulla presenza di un microbiota efficiente, con quantità significative di Bifidobatteri e di Batterioidi. Da qui la necessità di intervenire prima di tutto e soprattutto su dieta e stile di vita, unici fattori in grado di garantire un microbiota sano e che si mantenga tale nel tempo. 

    I risultati dello studio giapponese sono senza dubbio degni di nota e aprono interessanti prospettive di ricerca. Saranno evidentemente necessari test clinici per misurare l’efficacia del trattamento sull’uomo e per individuare la giusta integrazione di L-arabinosio e saccarosio con la dieta. 

    CONCLUSIONI

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