L'IMPATTO DEL SUCRALOSIO SUL MICROBIOTA INTESTINALE: UNA QUESTIONE APERTA
Il sucralosio è uno degli edulcoranti più diffusi al mondo grazie al suo potere dolcificante 600 volte superiore a quello dello zucchero da tavola e ad un apporto calorico pari a zero. La sua storia inizia alla fine degli anni ’70, con un pizzico di serendipità, nei laboratori di ricerca della Queen Elizabeth College di Londra (1). Da quel momento, il viaggio del sucralosio verso le nostre dispense è stato segnato da rigorose fasi di ricerca e sperimentazione che hanno portato, a partire dagli anni ’90, all’immissione sul mercato di uno degli edulcoranti artificiali di maggiore successo. In Europa, l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) ha dato il via libera all’impiego del sucralosio, dopo aver esaminato un ampio corpus di studi che ne dimostrano la sicurezza, fissando a15 mg per chilogrammo di peso corporeo la dose giornaliera ritenuta accettabile (2). Da quel momento, il sucralosio è diventato un ingrediente comune in una vasta gamma di alimenti e nutraceutici in tutta Europa. Al netto dell’elevato potere dolcificante e all’assenza di calorie, il successo del sucralosio deriva dalla sua eccellente stabilità chimica anche alle alte temperature, quando impiegato nei tradizionali processi di lavorazione, produzione e conservazione di alimenti e integratori alimentari. In effetti, i prodotti contenenti sucralosio risultano, da indagini di laboratorio, privi di composti di decomposizione dell’edulcorante stesso. Bassa viscosità e assenza di effetti su colore e tensione superficiale completano la lunga lista delle proprietà a supporto dell’impiego del sucralosio nell’ambito delle tecnologie alimentari (1).
DALLA SCOPERTA ALLA COMMERCIALIZZAZIONE
Solo il 15% del sucralosio assunto con la dieta viene assorbito dal nostro organismo, senza subire significativi processi metabolici, per poi essere escreto con le urine. Il restante 85% dell’edulcorante raggiunge l’intestino crasso. In questo tratto, nonostante l’inevitabile contatto con il microbiota intestinale, il sucralosio non viene metabolizzato. Infatti, circa il 99% dell’edulcorante che attraversa il colon risulta escreto con le feci senza modificazioni strutturali (3).
IL VIAGGIO DEL SUCRALOSIO NEL NOSTRO ORGANISMO
MARCO VALENTE
Biologo Nutrizionista, Food Supplements R&D Specialist
Bio...
Laureato in Biotecnologie Mediche e Nanobiotecnologie presso l’Università del Salento. Ha conseguito il titolo di Master di secondo livello in Prodotti Nutraceutici presso l’Università di Pavia e in Nutrizione Umana presso l’Università di Padova. Ha frequentato la Ketogenic Diet Academy di Bologna. Attualmente, Biologo Nutrizionista, Food Supplements R&D Specialist per Farmacisti Preparatori e Biomalife e articolista per riviste di divulgazione scientifica.
EFFETTI DELL’EDULCORANTE SUL MICROBIOTA INTESTINALE
Sebbene la quasi totalità del sucralosio assunto con gli alimenti risulti escreta tale e quale dal nostro organismo, cresce l’attenzione verso i potenziali effetti che questo edulcorante potrebbe avere sul microbiota intestinale. Secondo alcuni ricercatori l’assunzione di sucralosio favorirebbe condizioni di disbiosi e infiammazione intestinale con ripercussioni sulla salute generale. Inevitabilmente, questa posizione suscita preoccupazione, tra i consumatori e gli addetti ai lavori. Tuttavia, è importante evidenziare che i dubbi sulla sicurezza d’uso del sucralosio nascono sostanzialmente dall’interpretazione di risultati ottenuti da test in vitro e studi condotti su modello murino per i quali sono state adottate posologie di trattamento che non rispecchiano del tutto le condizioni di vita reale (3). Tant’è che, concentrando l’attenzione sugli studi clinici, ci si rende conto che ad oggi non è possibile trarre alcuna conclusione definitiva tale da demonizzare tout court questo dolcificante. Nel 2019, un gruppo di ricerca messicano ha esaminato l'effetto del consumo di sucralosio sull'abbondanza intestinale di alcune popolazioni batteriche e le ipotetiche associazioni tra il profilo del microbioma fecale e i livelli di glucosio e insulina nel sangue. I volontari sono stati divisi in due gruppi: al gruppo di controllo è stato chiesto di assumere acqua e a quello sperimentale di assumere 48 mg di sucralosio, ogni giorno per dieci settimane. All'inizio e alla fine dello studio, i partecipanti sono stati sottoposti a un test di misurazione di glucosio e insulina sierici, e hanno fornito campioni fecali per la valutazione della composizione microbica intestinale. I risultati della analisi hanno evidenziato che l'assunzione di sucralosio aveva alterato l'abbondanza di Firmicutes senza influenzare Actinobacteria o Bacteroidetes. Un'analisi statistica ha poi rilevato che i volontari che avevano bevuto sucralosio mostravano un aumento di tre volte i livelli di Blautia coccoides e una diminuzione del 66% di Lactobacillus acidophilus, rispetto ai controlli. Inoltre, il consumo di sucralosio aveva innalzato i livelli di insulina nel siero e l'area sotto la curva del glucosio rispetto al controllo. Secondo gli autori, questi risultati suggeriscono che l'ingestione a lungo termine di sucralosio possa istaurare uno stato di disbiosi intestinale accompagnato da alterazione di insulinemia e glicemia (4).
A prima vista, questi risultati potrebbero destare serie preoccupazioni. Tuttavia, nello studio in esame, andrebbero prese in considerazione alcune limitazioni metodologiche. Innanzitutto, manca il controllo sulla dieta abituale dei partecipanti. In studi di intervento dietetico, volti a valutare gli effetti sul microbioma intestinale, è fondamentale che la dieta dei soggetti sia ben caratterizzata e attentamente monitorizzata. Senza questo controllo, i cambiamenti osservati nel microbiota intestinale potrebbero essere attribuiti a variazioni dietetiche non registrate piuttosto che al consumo di sucralosio. Altre limitazioni dello studio includono la dimensione ridotta del campione, il disegno a bracci paralleli e la mancanza di raccolta di campioni di microbiota intestinale in diversi momenti durante l'intervento. Inoltre, non va tralasciata la posologia adottata che non rispecchia necessariamente le abitudini alimentari della popolazione. Pertanto, per quanto interessante e degno di nota, quello appena citato rimane uno studio a cui dare il giusto peso senza fare dei risultati sentenza di condanna per il sucralosio.
Di fatto, sempre nel 2019, Thomson e colleghi pubblicano un lavoro, sul The British Journal of Nutrition, in cui viene esaminato l'effetto a breve termine del consumo di sucralosio sull’omeostasi del glucosio e sul microbioma intestinale di volontari maschi in buono stato di salute. Lo studio, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, è stato condotto per sette giorni su 34 soggetti divisi in due gruppi: il gruppo sperimentale ha ricevuto 780 mg di sucralosio in tre somministrazioni giornaliere mentre il gruppo di controllo ha ricevuto un placebo. Esaminando la risposta glicemica e insulinemica e i phyla batterici a livello fecale, prima e dopo l'intervento, i ricercatori non hanno evidenziato variazioni significative tra i due gruppi (5). Questi risultati, seppure frutto di un lavoro condotto ancora una volta su un ristretto numero di soggetti, sono in contrapposizione a quanto emerso dal precedente lavoro. Oltretutto, è importante evidenziare che la quantità di sucralosio assunta dai partecipanti allo studio è di gran lunga più alta di quella che mediamente riscontriamo in una porzione di alimento o di integratore alimentare edulcorato.
Un lavoro del 2022, condotto da un gruppo di ricerca statunitense ha evidenziato che il microbiota fecale e la tolleranza glucidica di soggetti adulti in salute potrebbero risentire dell’assunzione giornaliera di 102 mg di sucralosio protratta per due settimane (6). Anche in questo caso, vi sono delle limitazioni: innanzitutto, l’edulcorante è stato somministrato in sacchetti contenenti anche circa 6 g di glucosio. Pertanto, non è da escludere che le variazioni registrate sul microbiota e la glicemia possano essere frutto, almeno in parte, dell’effetto dello zucchero impiegato nel preparato. Inoltre, la dieta non è stata standardizzata. In effetti, alcuni gruppi di ricerca sostengono che non sia l’assunzione dell’edulcorante puro a favorire variazioni del microbioma e della glicemia bensì la sua associazione a carboidrati. È chiaro quindi che andrebbero progettati studi controllati atti a confrontare gli effetti del sucralosio in associazione a diete ricche e povere di carboidrati, per meglio comprendere il ruolo che queste potrebbero esercitare sul microbiota intestinale e sul metabolismo umano in associazione all’edulcorante.
Nel 2020, alcuni ricercatori dell’Università di Manitoba hanno indagato l'effetto del consumo di sucralosio sulla composizione del microbiota intestinale di diciassette soggetti adulti in salute. Dall’analisi dei campioni fecali emerge che l’assunzione per due settimane di 136 mg di sucralosio non comporta cambiamenti significativi delle proporzioni tra generi e specie batteriche e della produzione di acidi grassi a corta catena (7). Ci troviamo davanti ad uno studio clinico randomizzato e in doppio cieco ma non controllato con placebo e che vede coinvolti, ancora una volta, un numero limitato di soggetti. Tuttavia, al di là dei limiti metodologici citati, i risultati suggeriscono che l’assunzione di sucralosio circoscritta ad alcune settimane non altera l’equilibrio tra le popolazioni microbiche. Anche in questo caso, è importante sottolineare che il quantitativo di sucralosio impiegato è ben superiore a quello riscontrabile in una porzione di alimento o di integratore alimentare.
Per quanto concerne la presunta influenza negativa del sucralosio sulla glicemia, recenti revisioni sistematiche e network meta-analisi di studi clinici hanno evidenziano che non vi è una concreta correlazione tra l’assunzione di sucralosio e variazioni dei livelli di glucosio nel sangue. Gli studi presi in esame, condotti su soggetti in salute e diabetici, non hanno evidenziato effetti statisticamente significativi dell’edulcorante su glicemia postprandiale, insulinemia e livelli di GLP-1 (glucagon-like peptide 1), GIP (gastric inhibitory peptide), PYY (peptide tyrosine tyrosine), grelina e glucagone (8, 9).
ACIDO LIPOICO E INVECCHIAMENTO
L'invecchiamento è un processo biologico complesso e multifattoriale che coinvolge l'intero organismo e si manifesta con una progressiva perdita di funzionalità e un aumento della vulnerabilità alle malattie. Una delle teorie più accreditate in ambito scientifico è quella che associa l’invecchiamento, dal punto di vista biochimico, a una condizione di progressiva ossidazione, causata da un disequilibrio tra specie ossidanti – derivate dall’ambiente esterno e dal metabolismo cellulare – e molecole antiossidanti, a vantaggio delle prime (13,14). Le specie ossidanti, se presenti in eccesso e non adeguatamente neutralizzate, possono:
- danneggiare le membrane cellulari, le proteine e il DNA, alterando le funzioni cellulari e accelerando l'invecchiamento cellulare
- innescare una risposta infiammatoria cronica, che contribuisce all'invecchiamento e allo sviluppo di patologie croniche degenerative (malattie cardiovascolari, diabete, malattie neurodegenerative)
- provocare disfunzioni a livello dei mitocondri (le centrali operative delle cellule), causando una riduzione della produzione di energia e, di nuovo, un'accelerazione dell'invecchiamento
Ne consegue che un’integrazione di sostanze ad azione antiossidante potrebbe esercitare un impatto positivo nel rallentamento del fenomeno e nel mantenimento di condizioni di buona salute. In questi termini, le ricerche sull’acido lipoico hanno fornito risultati interessanti, evidenziando possibili meccanismi d’azione che andrebbero proprio a contrastare gli effetti negativi dei radicali liberi ossidanti. Nello specifico, l’acido lipoico:
- ha dimostrato di proteggere i neuroni dai danni ossidativi, riducendo il rischio di malattie neurodegenerative (15,16)
- ha dimostrato potenziali effetti migliorativi sulla funzione mitocondriale, aumentando la produzione di energia e riducendo la formazione di radicali liberi (17,18)
- ha dimostrato interessanti effetti antinfiammatori e antiapoptotici (19,20)
Sfortunatamente gli studi clinici sull'uomo sono ancora molto limitati: ad oggi, le evidenze più significative derivano infatti da studi in vitro o su modelli animali, che tuttavia potrebbero non ripetersi con risultati analoghi sull’essere umano.
A livello biochimico, l’acido lipoico viene sintetizzato nel fegato e nei reni, ma una quota importante per il fabbisogno umano deriva dall’assunzione alimentare: fonti ricche di ALA sono verdure a foglia verde, quali spinaci, broccoli, cavolini di Bruxelles; pomodori e piselli ne sono altrettanto ricchi, così come la carne rossa e le interiora di animali (cuore, fegato, reni).
L’acido lipoico è diventato ingrediente comune in diverse formulazioni multivitaminiche e antiage, anche se – come sopra riportato – le prove della sua efficacia in questo ambito sono tutt’altro che conclusive. In Italia è disponibile solo come integratore, ma in altri Paesi quali Germania, Ungheria, Austria, Polonia, Romania e Stati Uniti viene impiegato anche come medicinale - classificato come farmaco etico (ossia vendibile dietro prescrizione medica) e approvato per il trattamento delle polineuropatie diabetiche sensitivo-motorie.
Non esistono al momento raccomandazioni specifiche sul dosaggio giornaliero ottimale di acido lipoico: gli studi clinici pubblicati in letteratura sono stati condotti con dosaggi da 600mg fino a 2g al giorno, senza che fossero evidenziati effetti collaterali, ma si tratta di informazioni ancora preliminari (21,22).
L'efficacia terapeutica dell'acido lipoico per via orale risulta spesso compromessa da limitazioni farmacocinetiche: la bassa solubilità in acqua, l’instabilità nell’ambiente acido dello stomaco e l'elevato metabolismo di primo passaggio epatico ne riducono la biodisponibilità sistemica a poco più del 30%, limitandone in partenza i potenziali effetti benefici (2).
In aggiunta a ciò, occorre ricordare che l’acido lipoico può esistere in due forme enantiomeriche, la R e la S: di queste, quella presente in natura e biologicamente più disponibile è la R. La maggior parte degli integratori presenti in commercio, invece, contiene una miscela racemica delle forme R ed S, più facile da ottenere per via sintetica e più stabile dal punto di vista chimico: questo rappresenta un ulteriore ostacolo al raggiungimento di concentrazioni plasmatiche efficaci. Tuttavia, recenti sviluppi in ambito formulativo hanno permesso di superare in parte questi limiti, utilizzando acido lipoico enantiomericamente puro, in forma R, e associandolo a matrici anfifiliche e sistemi di veicolazione innovativi per aumentarne la solubilità a livello gastrico e, di conseguenza, la quantità disponibile per l’assorbimento intestinale (23).
Normalmente gli integratori a base di acido lipoico presenti in commercio, se assunti nelle dosi consigliate, risultano ben tollerati. E’ tuttavia opportuno evidenziare che in un’indagine condotta dal 2002 al 2020 e pubblicata sulla rivista Clinical Nutrition (24) sono state riportate numerose segnalazioni di effetti avversi derivanti dall’uso di integratori a base di acido lipoico sul territorio italiano. Le segnalazioni riguardavano eventi a carico della pelle e del sistema gastrointestinale e sono state classificate come gravi nel 40% dei casi. Tra gli eventi avversi gravi, esiste una condizione piuttosto rara, nota come sindrome di Hirata (Sindrome insulinica autoimmune), che si manifesta come severa ipoglicemia. Considerato l’effetto dell’acido lipoico sul metabolismo del glucosio, è pertanto opportuno prestare particolare attenzione ai pazienti diabetici (già in trattamento con farmaci ipoglicemizzanti) e a coloro che sviluppino ipoglicemia durante l’assunzione di integratori a base di acido lipoico.
ACIDO ALFA LIPOICO: FONTI ALIMENTARI, INTEGRATORI E FARMACI
A prescindere dal valore degli studi presi in esame, non dimentichiamo che il sucralosio è tutt’ora ritenuto sicuro dalle principali agenzie di regolamentazione del mondo compresa la Food and Drug Administration, negli USA,e la già citata EFSA. La posizione assunta da queste autorità è frutto del meticoloso lavoro di commissioni di esperti attenti alla valutazione oggettiva dei dati disponibili su tossicità genetica, sicurezza a breve e lungo termine, assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione negli animali e negli esseri umani, riproduzione, sviluppo neurologico e, più recentemente, sulla modulazione del sistema endocrino.
In sostanza, gli studi clinici condotti fino ad ora si contano sulle dita di una mano e hanno prodotto risultati non armonizzabili. Pertanto, non siamo giunti al punto di poter ritenere dannoso per la salute del microbiota intestinale l’impiego parsimonioso di prodotti contenenti sucralosio. Certamente, è auspicabile proseguire l’indagine, puntando alla progettazione di studi di qualità superiore che ci mettano nelle condizioni di trarre delle conclusioni affidabili e univoche. In particolare, andrebbero condotti studi su coorti più ampie, di durata maggiore, con posologie più realistiche e che tengano conto della risposta microbica soggettiva agli edulcoranti anche in relazione a condizioni patologiche e fisiologiche speciali, alle abitudini alimentari e, più in generale, allo stile di vita.
Forse, per il momento, in attesa di ricevere delle risposte dalla scienza, potremmo fare lo sforzo di canalizzare le preoccupazioni verso concreti e inequivocabili fattori di rischio per la salute metabolica e del microbiota intestinale che “silenziosamente” stanno spingendo il pianeta verso patologie di portata pandemica.
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE
Riferimenti bibliografici
Riferimenti bibliografici
- Critical review of the current literature on the safety of sucralose. Food and Chemical Toxicology, 2017 Aug; 106(Pt A):324-355; doi: 10.1016/j.fct.2017.05.047. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28558975/
- CF (Scientific Committee on Food) 2000. Opinion of the Scientific Committee on Food on sucralose. Opinion adopted 7 September 2000. https://ec.europa.eu/food/fs/sc/scf/out68_en.pdf
- Effect of Non-Nutritive Sweeteners on the Gut Microbiota. Nutrients, 2023 Apr; 15(8): 1869; doi: 10.3390/nu15081869. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC10144565/
- Ten-Week Sucralose Consumption Induces Gut Dysbiosis and Altered Glucose and Insulin Levels in Healthy Young Adults. Microorganisms, 2022 Feb 14; 10(2), 434; doi.org/10.3390/microorganisms10020434. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35208888/
- Short-term impact of sucralose consumption on the metabolic response and gut microbiome of healthy adults. The British Journal of Nutrition, 2019 Oct 28;122(8):856-862. doi: 10.1017/S0007114519001570. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31258108/
- Personalized microbiome-driven effects of non-nutritive sweeteners on human glucose tolerance. Cell 2022 Sep 1;185(18):3307-3328.e19. doi: 10.1016/j.cell.2022.07.016. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/35987213/
- The Effects of Non-Nutritive Artificial Sweeteners, Aspartame and Sucralose, on the Gut Microbiome in Healthy Adults: Secondary Outcomes of a Randomized Double-Blinded Crossover Clinical Trial. Nutrients. 2020 Nov; 12(11): 3408. doi: 10.3390/nu12113408. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7694690/
- The Effect of Non-Nutritive Sweetened Beverages on Postprandial Glycemic and Endocrine Responses: A Systematic Review and Network Meta-Analysis. Nutrients, 2023 Feb 20;15(4):1050. doi: 10.3390/nu15041050. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/36839408/
- Glycemic impact of non-nutritive sweeteners: a systematic review and meta-analysis of randomized controlled trials. European Journal of Clinical Nutrition, 2018 Jun;72(6):796-804. doi: 10.1038/s41430-018-0170-6. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29760482/
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