Prima dell’estate ho avuto il piacere di partecipare alla Review di Integratori & Salute intitolata “Integrazione alimentare: stato dell’arte e nuove evidenze scientifiche” (ne abbiamo parlato qui). La relazione tra integratori e cervello è uno dei principali temi di questo numero di Nutra Horizons. Per questo motivo abbiamo voluto approfondire, tra i tanti temi trattati dalla review, proprio quello del benessere psicologico e della funzione cognitiva.

Ne parliamo con la Dott.ssa Franca Marangoni, Direttore Scientifico di Nutrition Foundation of Italy e autrice della sezione dedicata a questo ambito.


Grazie Dott.ssa per la disponibilità, partiamo subito con le domande. L’effetto dell’alimentazione e dell’integrazione sulla funzione cognitiva è supportato da tempo da solide evidenze; negli ultimi anni sono aumentati invece gli studi per indagarne l’effetto sul benessere psicologico. Perché proprio ora e quali sono per ora i risultati ottenuti? 

In realtà la relazione tra alimenti, integratori e benessere psicologico è oggetto di studi da diversi anni, soprattutto in condizioni specifiche come la gravidanza per la donna o la cosiddetta terza età. È invece relativamente più recente l'interesse per il ruolo dell'alimentazione corretta e dell'integrazione nel mantenere uno stato emotivo e mentale ottimale nel corso di tutta la vita. Probabilmente hanno contribuito le nuove esigenze legate alla gestione di stress, ansia, e degli stati d’animo che sono stati amplificati dalla pandemia da COVID-19, ma che sono legati anche al momento difficile sul piano politico ed economico che stiamo vivendo. Oggi c’è anche una maggiore consapevolezza che dal benessere psicologico dipendono molti aspetti della quotidianità, con importanti ricadute a livello relazionale e professionale (da qui l’attenzione che oggi dimostrano le aziende nei confronti dell’equilibrio emotivo dei propri dipendenti). Acquisisce quindi importanza tutto ciò che può contribuire a supportare la salute psicologica: dopo abitudini sane e alimentazione adeguata, l’integrazione nutrizionale sta emergendo come un'opzione promettente in combinazione con altre strategie mirate al miglioramento dello stile di vita.


Quali sono le difficoltà di studiare l’effetto dei nutraceutici sul benessere piscologico rispetto al declino cognitivo? 

A differenza della funzione cognitiva, che può essere stimata clinicamente grazie a esami specifici e test standardizzati, la valutazione del benessere psicologico si basa su indicatori più soggettivi, che possono dipendere anche dallo stato d’animo o dall'interpretazione individuale dei test utilizzati, e che possono essere influenzati nel breve termine, per esempio, dalla sensazione di essere sotto stress. La variabilità dei risultati degli studi sui nutraceutici nella sfera emotiva può dipendere anche dalle abitudini alimentari, dalla terapia farmacologica o psicologica in atto, ed è difficile isolare l'effetto specifico dell’integrazione. Inoltre, la consapevolezza di assumere un integratore percepito come utile può già di per sé influenzare lo stato emotivo; l'effetto placebo negli studi condotti in quest’aera di ricerca rischia quindi di essere più marcato, complicando l'interpretazione dei risultati.

Infine, dalle revisioni sistematiche e metanalisi della letteratura emerge che gli studi disponibili sugli integratori per il benessere psicologico sono condotti con prodotti molto diversi tra loro per composizione (singoli principi o combinazioni di vitamine, minerali e estratti vegetali) e dosaggi; il che rende difficile confrontarne i risultati.


Si parla sempre più spesso di “gut-brain axis”, ma la nuova parola emergente è psicobiotico, ci può spiegare meglio di cosa si tratta? 

Il termine "psicobiotico" si riferisce a quei batteri probiotici che, modulando la composizione del microbiota intestinale, influenzano il funzionamento del sistema nervoso centrale e il benessere psicologico. Questo concetto nasce dal riconoscimento di un asse intestino-cervello: un'area di ricerca emergente nelle neuroscienze, secondo la quale dalla composizione del microbiota intestinale dipende anche il comportamento emotivo.

Per alcuni ceppi di probiotici sono stati per esempio descritti effetti in termini di miglioramento del tono dell'umore e riduzione di stati ansiosi. Anche in questo caso la qualità degli studi attualmente disponibili è eterogenea; i risultati, tuttavia, sono promettenti e suggeriscono un possibile ruolo degli psicobiotici a sostegno della salute mentale. La ricerca futura si concentrerà probabilmente sulla standardizzazione dei protocolli e sull’identificazione di ceppi specifici utili per le diverse indicazioni.


Studi recenti sottolineano come l’infiammazione sistemica sia coinvolta nelle malattie croniche degenerative, comprese quelle del cervello. Gli antiossidanti potrebbero essere ottimi alleati per contrastarla. Su cosa si sta concentrando la ricerca in questo ambito? 

A livello del sistema nervoso centrale si parla di neuroinfiammazione: in questo ambito, gli antiossidanti sono studiati per la loro capacità di contrastare lo stress ossidativo, che contribuisce all'infiammazione cronica sistemica di basso grado e alla degenerazione progressiva delle cellule cerebrali. Le ricerche recenti, perlopiù di base, si stanno focalizzando sugli effetti neuroprotettivi dei composti di natura polifenolica, e sulle possibili implicazioni del loro impiego nel mantenimento della cognitività e nella prevenzione delle malattie neurodegenerative. Alcuni studi clinici già ne evidenziano esiti favorevoli sulla funzione cognitiva, specie negli anziani con fattori di rischio.

In futuro, la maggiore comprensione dei meccanismi molecolari alla base dell’azione degli antiossidanti nei confronti dei danni causati dall'infiammazione e dallo stress ossidativo permetterà anche di ottimizzare e personalizzare l’integrazione per la neuroprotezione.


I dati sugli effetti dell’integrazione provengono spesso da studi osservazionali, ma è possibile e quanto è importante indagare il rapporto causa effetto? 

Gli studi osservazionali sono utili per individuare le possibili associazioni tra l’assunzione di un alimento, un nutriente, un componente della dieta, un pattern alimentare o un integratore e, per esempio, patologie, condizioni di salute o parametri biochimici. Non consentono però di dimostrare che tale associazione rappresenti un rapporto di causa-effetto; cosa che invece è possibile con gli studi clinici randomizzati, che rappresentano il gold standard per confermare la causalità di un rapporto, ma che sono molto più complessi e onerosi rispetto agli studi osservazionali. Organizzazione, tempi e costi di uno studio su un integratore non sono molto diversi da quelli necessari per valutare un farmaco.

È quindi importante progettare studi di buona qualità per ottenere prove più solide a supporto degli effetti degli integratori e per definire le caratteristiche ottimali della supplementazione. Non si può tuttavia dimenticare che il ruolo degli integratori è per definizione di “integrare la comune dieta” e non di curare e che le loro proprietà (come quelle degli alimenti) devono quindi essere dimostrate in soggetti sani e non in condizioni patologiche. È dunque ancora più difficile selezionare indicatori dell’ottimizzazione di uno stato fisiologico e del mantenimento della normalità delle funzioni dell’organismo.






Su cosa è importante si concentrino gli studi oggi? 

Un primo passo è la standardizzazione degli studi: uniformare per quanto possibile i disegni sperimentali, gli approcci metodologici e le formulazioni dei prodotti studiati permetterebbe di ottenere dati comparabili che possono quindi essere oggetto di metanalisi, producendo evidenze più solide. Il tutto è ancora più importante dal momento che per alcuni composti per i quali si stanno accumulando evidenze scientifiche mancano claim (indicazioni) di salute approvati e autorizzati, che possano essere comunicati in modo diretto al pubblico.

il tema della biodisponibilità è poi cruciale, soprattutto per alcuni fitocomposti biologicamente attivi, ed è quindi fondamentale l’identificazione delle modalità di assunzione che consentano di migliorare l’assorbimento e l’utilizzo a livello dell’organismo. Lo studio di nuove formulazioni è interessante anche per rendere disponibili prodotti di più facile utilizzo e alla portata di un maggior numero persone.

Da ultimo, non si può non accennare alla sicurezza (e al suo monitoraggio), che non deve essere data per scontata per gli integratori, vista l’eterogeneità sia della qualità dei prodotti in commercio e sia dei canali di distribuzione, che sono a volte meno regolamentati di quelli canonici e non garantiscono le caratteristiche ottimali che invece sono proprie dei prodotti di buona qualità.