Negli ultimi anni è andata sempre crescendo l’attenzione dei consumatori, da una parte, e delle imprese, dall’altra, verso i prodotti biologici, naturali e rispettosi dell’ambiente. Questo trend, come noto, ha avuto degli effetti diretti, e dirompenti, anche nel mondo della cosmesi portando allo sviluppo della c.d. bellezza green.


Nel concreto, si è sempre più sensibili all’esigenza di avere prodotti sicuri per il benessere dell’uomo, degli animali, oltreché eco-compatibili, amici dell’ambiente, sostenibili.


Ecco, quindi, che parlando di bellezza green il pensiero corre immediatamente alla “naturalezza” del cosmetico, alla sua origine verde, all’essere eco-friendly. Tutte connotazioni che veicolano le scelte del consumatore e lo aiutano (a volte lo inducono) ad effettuare delle scelte consapevoli.


Sotto il profilo normativo, la più grande difficoltà per le imprese che operano in questo mondo è rappresentata dall’assenza di specifiche e chiare disposizioni di legge che delimitino il campo di utilizzo di termini che nel tempo si sono ampiamente diffusi (si pensi ad aggettivi come: naturale, biologico, organico ecc.).

Ad esempio, a differenza di quanto accade nel settore alimentare e mangimistico (dove la materia è puntualmente disciplinata dal Reg. 848/2018) (1), per quanto concerne i prodotti cosmetici biologici il Legislatore, sia europeo che nazionale, non ha previsto una specifica normativa di riferimento.


Invero, oltre agli standard utilizzati dagli organismi privati di certificazione, il tema è affrontato unicamente dalla norma tecnica ISO 16128 che reca “Guidelines on technical definitions and criteria for natural and organic cosmetic ingredients” suddivisa in due parti: la prima (ISO 16128-1: 2016) dedicata alle “definitions for ingredients”; la seconda (ISO 16128-2: 2017) ai “criteria for ingredients and products”.


Bisogna però tener presente che la ISO 16128 non affronta gli aspetti relativi alla comunicazione del prodotto (e quindi, gli aspetti relativi all’etichettatura del prodotto e/o alle dichiarazioni da utilizzare) e pertanto non può essere uno strumento utile in tal senso (2).


In assenza di altre specifiche norme di riferimento, rimane pertanto fermo l’obbligo generale di rispettare il Reg. 1223/2009, che all’art. 20 disciplina le indicazioni volontarie e facoltative sui prodotti cosmetici, e il Reg. 655/2013 che stabilisce criteri comuni per la giustificazione delle dichiarazioni utilizzate in relazione ai prodotti cosmetici. In particolare, quest’ultimo regolamento individua sei criteri fondamentali da rispettare affinché le indicazioni vantate possano considerarsi esenti da critiche: 1) conformità alle norme 2) veridicità 3) supporto probatorio 4) onestà 5) correttezza e 6) decisioni informate.


Parlando di asserzioni ambientali, un utile aiuto può però individuarsi nella Comunicazione della Commissione recante Orientamenti sull’interpretazione e sull’applicazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali nelle imprese nei confronti dei consumatori (2021/C 526/01) (3).


In tale documento si precisa innanzitutto che le espressioni “asserzioni ambientali” e “dichiarazioni ecologiche” si riferiscono alla pratica di suggerire o in altro modo dare l’impressione (nell’ambito della comunicazione commerciale, del marketing o della pubblicità) che un prodotto abbia un impatto positivo o sia privo di impatto sull’ambiente o sia comunque meno dannoso rispetto ai prodotti concorrenti.


Ciò può essere dovuto alla sua composizione, al modo in cui è fabbricato, al modo in cui può essere smaltito o alla riduzione del consumo di energia o dell’inquinamento atteso dal suo impiego e tale valutazione deve riferirsi non solo alle diverse affermazioni e informazioni utilizzate, ma si estende anche ai simboli, ai loghi, elementi grafici e marchi, nonché alla loro interazione con i colori impiegati.


E così come qualsiasi informazione volontaria fornita con riguardo a prodotti ceduti al consumatore, anche le asserzioni ambientali che accompagnano i cosmetici devono sottostare al principio di veridicità e non ingannevolezza. Di conseguenza, le immagini e la presentazione generale del prodotto (cioè, la veste grafica, la scelta dei colori, le figure, i suoni, simboli o etichette) devono fornire una rappresentazione accurata dei benefici per l’ambiente, senza enfatizzare eccessivamente i benefici ottenuti.


Quando tali indicazioni non sono veritiere o non possono essere verificate la pratica viene definita “greenwashing” e proprio al fine di scongiurare tali condotte - che creano una condizione di disparità sul mercato - è attualmente al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio la Proposta di Direttiva della Commissione Europea, del 22 marzo 2023, volta a disciplinare le “asserzioni ambientali esplicite” (Proposta di Direttiva “Green Claim”) (4).


In attesa che venga promulgata la nuova Direttiva (e che la stessa venga poi recepita dagli Stati membri) pare utile soffermarsi sugli orientamenti e interpretazioni attualmente condivisi.


Come anticipato, è obbligo dell’operatore presentare il proprio prodotto in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, senza utilizzare informazioni false o fuorvianti, al fine di non trarre in inganno il consumatore.


Inoltre, a sostegno delle allegazioni utilizzate le imprese dovranno disporre di prove che dovranno essere messe a disposizione delle autorità competenti in caso di accertamento (5). Prima di utilizzare una dichiarazione, l’operatore deve quindi effettuare idonee misure di valutazione per avere risultati attendibili e affidabili che siano in grado di manifestare la fondatezza di quanto sostenuto.


In sostanza, quindi, i claims devono essere chiari e contestualizzati, specificando se sono riferiti al prodotto completo o solo a un componente, non devono suggerire che il prodotto sia stato certificato o avallato da qualche autorità, quando così non è, e devono infine essere aggiornati e rivalutati, quando necessario.

Diversamente, le dichiarazioni green potranno essere considerate ingannevoli.

Ciò accade ad esempio se consistono in dichiarazioni vaghe, generiche, o comunque ambigue, senza un’adeguata dimostrazione e senza l’indicazione dell’aspetto pertinente del prodotto a cui la dichiarazione si riferisce.


È importante ricordare che la presunta ingannevolezza di una asserzione ambientale, può portare all’applicazione di sanzioni e/o a provvedimenti inibitori nei confronti del messaggio ritenuto scorretto.


Si ricorda infatti che gli aspetti legati al greenwashing sono già stati attenzionati dalla giurisprudenza, sia nazionale (6) che di altri Stati membri (7), nonché dalle Autorità competenti in materia di pratiche commerciali sleali e pubblicità ingannevole.


In ambito nazionale, ci riferiamo in particolare all’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), che ha il compito di agire contro tutte le forme di pubblicità ingannevole e comparative illecite, e allo IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria), organismo volontario e autonomo di diritto privato che – mediante il suo Codice di autodisciplina - fissa i parametri per una comunicazione commerciale trasparente, veritiera e corretta a tutela dei consumatori e della leale concorrenza tra le imprese.


Questo è lo stato dell’arte; non si può escludere che la situazione muti con l’adozione della nuova Direttiva sui “green claims” e con il regime sanzionatorio che verrà introdotto per punirne le violazioni.

Della bellezza green

Riferimenti bibliografici