RIFIUTI E BY-PRODUCTS: “NUOVE” RISORSE DELLA COSMESI CIRCOLARE

(2​​​​​​​a PARTE)

“Ci hanno insegnato a buttare invece di aggiustare”, cantano Coez e Frah Quintale nel loro brano “Aspettative”.

“Ci hanno insegnato a buttare invece di riciclare”, potremmo rispondere. Questo, secondo il vecchio modello di Economia Lineare, basato sulla logica del “take-make-waste”, lo sfruttamento incondizionato di molteplici risorse e materie prime del nostro pianeta, per produrre materiali da buttar via alla fine del loro ciclo di vita, senza poterne prevedere un futuro alternativo.

Oggi, l’Economia Circolare ci sta insegnando a recuperare rifiuti e by-products per cercare di dar loro non una nuova vita, ma infinite possibilità di riutilizzo. Tante nuove vite quante potenzialmente potrebbero essere le idee per le loro applicazioni; in un unico concetto, anzi, in un’unica parola: up-cycling.

Questa, non è soltanto una questione di Green Deal per allinearsi con le politiche europee, sempre più stringenti in materia di approvvigionamento di risorse, e rispondere alle sfide della transizione ecologica (Anchor1), o perlomeno non deve esserlo, e nemmeno una moda, ma ci si auspica che diventi un comportamento responsabile che rientri nella normale routine di pensiero collettiva.

E con collettiva, non è da intendersi soltanto un brainstorming individuale da parte dei consumatori, ormai sempre più consapevoli ed informati sulla storia dei beni che acquistano, attenti al carbon-footprint ed alla sostenibilità di ciascun prodotto, ma soprattutto che possa raggiungere le realtà aziendali più variabili, grandi, medie, o piccole che siano: agro-alimentari, produttrici di packaging, cosmetiche, nutraceutiche, farmaceutiche, etc., per una cooperazione sinergica che preveda il reciproco utilizzo di rifiuti e sottoprodotti, nell’ottica di una reale circolarità. Un’occasione concreta di confronto ed interazione tra imprese diverse. Un sistema integrato di simbiosi industriale virtuoso, non virtuale, si spera!

Questo modus operandi abbatterebbe i costi legati al cosiddetto “waste management”, ma non solo: darebbe vita a prodotti ad alto valore aggiunto (upcycled), a discapito dei downcycled, ossia quei prodotti di qualità e valore inferiore rispetto ai rifiuti-materie prime impiegati per ottenerli (Anchor2, 3).

L’industria cosmetica, negli ultimi anni, ha davvero concretizzato quest’idea trasformandola in prodotti commerciali. Reali, quindi, tangibili, toccati con mano dai consumatori, tanto da essere acquistati, apprezzati e… da riciclare (recycling), se pensiamo al packaging.

Cosa intendiamo? Lo scopriamo subito. Partiamo da qualche definizione.


INTRODUZIONE

Rifiuti o scarti (wastes) e sottoprodotti (by-products) possono essere recuperati e diventare materie prime secondarie. Questo aspetto fondamentale viene meglio delineato dalla direttiva 2018/851, che modifica ed aggiorna la vecchia direttiva europea 2008/98/CE relativa ai rifiuti (conosciuta anche come Waste Framework Directive legislation, WFD), nella definizione che dà di sottoprodotto: un qualcosa che “deriva da un processo produttivo il cui scopo primario non è la sua produzione, ma può essere gestito come un bene, come materia prima secondaria, e non come un rifiuto, laddove siano rispettate le condizioni armonizzate fissate a livello di Unione”(4).

In realtà, la vecchia normativa 2008/98/CE (5), aveva già iniziato a menzionare il concetto di fine rifiuto (End of waste) ed i relativi criteri, stabilendo i requisiti affinché specifici rifiuti cessassero di essere tali e diventassero un prodotto o una materia prima secondaria da valorizzare, in breve, donando loro una seconda vita (6).

Una nuova vita, magari attraverso il reimpiego in una filiera produttiva diversa da quella che li ha generati; ed è qui che interviene l’upcycling, il “recupero creativo” di materiali di scarto, tale da conferire al nuovo prodotto un valore aggiunto (7), restando fedeli ai pilastri della sostenibilità (ambientale, sociale, governance), e dell’Economia Circolare. Rispetto, quindi, delle risorse della nostra Terra e degli Ecosistemi, preservando la biodiversità, ed etico.

Qualche esempio concreto?

In onore, quasi, al connubio tra le filiere cosmetica e agri-food, è stato coniato il termine “agri-beauty”, con il quale si intende la formulazione di prodotti cosmetici a partire da estratti derivati da scarti e/o sottoprodotti dell’olio di oliva, dell’uva, della birra, della frutta (in particolare la buccia, oltre che dai semi), i fondi di caffè, per citarne alcuni, tutte fonti di ingredienti preziosi per il mantenimento del benessere della nostra pelle (8, 9, 10).

Via libera, allora, all’utilizzo degli scarti, ma sempre secondo la legge, le politiche sostenibili, e la circolarità. Questo è pacifico, e non sembra essere più nemmeno una novità. Sono, infatti, in crescita gli studi scientifici che illustrano e dimostrano le molteplici proprietà di cui questi estratti sono dotati, in virtù della presenza di una molecola o, più spesso, di un pool di molecole funzionali (9).Ma non è tutto!

RIFIUTI E SOTTOPRODOTTI: LA VIA VERSO L’UPCYCLING

Riutilizzare, riciclare non solo plastica, vetro, carta, i principali materiali usati per costituire il packaging dei prodotti cosmetici, insomma, ma anche “nuove” materie prime da portare nei laboratori.

Già, perché da qualche tempo, tra gli ingredienti funzionali antietà più innovativi spiccano quelli che derivano da semi, foglie, o bucce(8, 9, 10, Anchor11, Anchor12, 13).Ed ecco che si reinventano creme rassodanti, antiossidanti, sunscreen, saponi, e balsami per le labbra, a base di estratti derivati da coffee silverskin (un sottoprodotto generato dal processo di torrefazione del caffè, molto ricco in caffeina) (Anchor14, 15, 16, 17), vinacce ricche in polifenoli, bucce di pomodoro ricche in licopene, e sansa di mele (13, Anchor18, 19, 20). Le vinacce provenienti da coltivazioni biologiche di Aglianico sono state fonti preziose anche di ingredienti lipofili dalle proprietà idratanti (21), mentre le acque di vegetazione che derivano dalla spremitura delle olive hanno permesso l’estrazione di polifenoli (22Anchor, 23).

Dal comparto profumeria, arriva l’esempio di un olio essenziale di sandalo riestratto da trucioli di legno riciclati (22).

Le bucce del kiwi, un tipico rifiuto alimentare, potrebbero essere utilissime in cosmesi, grazie al loro elevato quantitativo di polifenoli (6, 24). Pensiamo a tutti quei prodotti formulati ad hoc per garantire il benessere del microcircolo ed alleviare stanchezza, pesantezza e gonfiore delle gambe! D’altro canto, i polifenoli hanno iniziato ad essere monitorati a causa del loro intrinseco ed alto potenziale contaminante nei confronti di tutti gli ecosistemi, ma in particolare quelli acquatici. Una strategia per evitarne l’introduzione nell'ambiente potrebbe essere quella di impiegarli in modo innovativo (6).Un altro aspetto importante che vale la pena menzionare, riguarda il residuo esausto a seguito dell’estrazione delle componenti bioattive, ossia le bucce di kiwi tout court che continuerebbero a rappresentare una risorsa in quanto utilissime alla decontaminazione delle acque da un’ampia classe di inquinanti (6, 25, 26, 27). Come loro, tutti gli altri scarti e sottoprodotti menzionati potrebbero incorrere nello stesso destino.

Anchela polpa della frutta non proprio gradevole esteticamente può comunque mantenere intatte le proprietà dei suoi componenti, che siano vitamine, minerali, oligoelementi, antociani, o altri polifenoli altamente antiossidanti, ed entrare nella filiera cosmetica in qualità di ingrediente funzionale (22, 23).

Del resto, avevamo già iniziato a vedere affacciarsi i noccioli e le bucce della frutta secca, così come anche i coffee ground, ossia i fondi del caffè macinato, per essere trasformati in micro-granuli utili alla formulazione di prodotti scrub dalla texture più rustica, ma sicuramente più ecologica rispetto alle obsolete microplastiche (Anchor28, 29).

Non possiamo dimenticare le filiere lattiero-casearie ed ittica, che hanno permesso il recupero di peptidi e proteine del siero di latte, e collagene, rispettivamente (30). In passato, infatti, il collagene aveva tradizionalmente origine bovina e suina, ma una limitata disponibilità, restrizioni religiose, biocompatibilità, e requisiti di purezza microbiologica recentemente emersi e richiesti, hanno fatto propendere per un approvvigionamento alternativo e responsabile. La scelta più sostenibile ed incoraggiante ha eletto i sottoprodotti ittici come nuove fonti di collagene (31). Si è visto che il collagene marino possiede proprietà antiossidanti, anti-age, idratanti, e riparatrici, vantaggiose in caso di pelli sensibili (31).

Sono, inoltre, noti casi di produzione di bava di lumaca estratta da lumache alimentate con verdure “scartate” da aziende agricole in quanto poco attraenti per i consumatori, ma ancora piene di principi nutritivi funzionali per la lumaca stessa (22).

Se si guarda la letteratura scientifica, sono molti i risultati emersi da ricerche condotte a partire da materiali di scarto della produzione agro-alimentare; non ultimi, i polisaccaridi estratti dalle foglie di gelso, dalle spiccate proprietà antiossidanti, o la bromelina dal gambo dell’ananas (12).

Una filiera agro-alimentare “al servizio” di quella cosmetica? Sì, a discapito degli sprechi. C’è da dire, però, che fino a qualche anno fa, lo scetticismo era tanto; solo negli ultimi anni si è compreso appieno il valore nutrizionale ed economico derivato dal loro utilizzo, tanto che sta aumentando la tendenza e la curiosità a volerne studiare il profilo chimico quali-quantitativo (Anchor32, 33, 12).

Non solo cosmetica; anche il settore nutraceutico si sta ampiamente muovendo in questa direzione: molecole funzionali come polifenoli, fibre, pectine, contenute in scarti e sottoprodotti sono utilizzati per dar vita ad integratori e alimenti funzionali, o semplicemente più resistenti all’ossidazione (12).

“CIRCULAR BEAUTY”: IL NUOVO TREND DEL BENESSERE

Eco-ricariche, detergenza e skincare allo “stato solido”, packaging inesistente o quasi, e quello che c’è deve essere riciclato e reimmesso sul mercato, per quanto possibile. Il settore cosmetico si aspetta di arrivare a vincere la sfida “zero rifiuti”. In più, la cosiddetta “solid beauty” piace, soprattutto ai consumatori itineranti che fanno della praticità e del minimalismo il loro stile di vita.

Ma siamo sicuri che sia questa la vera sostenibilità a tutto tondo, o sia solo un’utopia irraggiungibile? La rivoluzione eco-sostenibile è iniziata, e sta via via coinvolgendo l’intera logistica della filiera cosmetica. Questo processo, affinché potesse definirsi virtuoso, ha però richiesto un’analisi degli impatti multilivello e, di conseguenza, una riprogettazione (34Anchor, 35, 36, 37).Da supply chain a value chain, potremmo dire.

Dati alla mano, gli ultimi cinque anni hanno visto tutti i players del settore impegnarsi nell’imprimere una forte accelerazione all’implementazione del loro profilo di sostenibilità. Molti brand cosmetici di fama mondiale hanno già scelto di aderire al “Life Cycle Thinking” (Anchor38), ed hanno iniziato il loro percorso verso un’industria più pulita (39).

Sono caduti anche remore e dubbi riguardo la percezione, interpretazione, ed accettazione, da parte dei consumatori in tutto il mondo, di prodotti cosmetici formulati con ingredienti funzionali derivati da rifiuti e sottoprodotti. Questo ha fatto emergere l’importanza di un principio di base, fondamentale: la corretta informazione dei consumatori, l’arma della fidelizzazione. Perché un consumatore informato è più consapevole e confidente nella scelta che compirà mentre acquista; per questo lo chiamiamo “ConsumAttore”, un consumatore che ha un ruolo attivo nella gestione dei processi che si innescano al momento di compiere un acquisto. Le previsioni parlano chiaro: le vendite di cosmetici “circolari” sono destinate a crescere e, nel 2032, l’“upcycling beauty” varrà oltre 3,9 miliardi di euro (40, 22).

Filosofia apprezzata, filosofia fortunata, purché siano mantenuti i baluardi qualità, efficacia, gradevolezza e, soprattutto, sicurezza, seppur circolari. Cos'altro dobbiamo aspettarci?

CONCLUSIONI

Riferimenti bibliografici

JENNIFER GUBITOSA 1          ,   VITO RIZZI1        ,     PAOLA FINI2       ,  PINALYSA COSMA1

1.Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari | Italia

2. Istituto per i Processi Chimico-Fisici, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IPCF)


JENNIFER GUBITOSA1            VITO RIZZI1  

PAOLA FINI2            PINALYSA COSMA1       

1. Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari | Italia

2. Istituto per i Processi Chimico-Fisici, Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IPCF)


Bio...

PEER REVIEWED

EDIZIONE SPONSORIZZATA DA:

UPCYCLING

NEW

spazio

spazio