SOSTENIBILITÀ

E POLIMERI

Dalla nascita del primo polimero sintetico, la bachelite, nel 1907 l’utilizzo di questi prodotti è diventato sempre più comune in diversi campi, compreso quello cosmetico. Solo negli ultimi decenni si è iniziato a valutare l’impatto ambientale della produzione di queste molecole e, relativamente recentemente, tra la fine degli anni ’90 ed i primi anni del 2000, il Green Chemistry Institute ha stilato una serie di principi (1) che i produttori dovrebbero prendere in considerazione per cercare di minimizzare l’effetto della produzione di sostanze chimiche sull’ambiente (si tratta dei 12 principi della Green Chemistry e dei 12 principi della Green Engineering). Prendendo in esame nello specifico i polimeri acrilici, largamente utilizzati nel settore cosmetico per molteplici scopi, è possibile valutare come l’applicazione di alcuni di questi principi abbia ridotto l’impatto ambientale legato alla loro sintesi.

INTRODUZIONE

Attualmente è possibile individuare l’influenza di 10 dei 12 principi della Green Chemistry che, associati alla sintesi di polimeri acrilici, hanno portato a importanti modifiche nei processi produttivi (Figura 1). Vengono riportati qui di seguito gli esempi più significativi:

Figura 1. I 12 principi della Green Chemistry.

PREVENT WASTE: sono stati implementati processi per consentire il riciclo dei solventi di polimerizzazione e per evitare potenziali scarti o necessità di rilavorazioni. Anche elementi apparentemente secondari, come l’ottimizzazione che consente di ridurre il numero dei lavaggi dei reattori, contribuisce a ridurre la quantità totale di scarti generati dalla sintesi di questi polimeri.


ATOM ECONOMY: il design di processo è stato studiato per utilizzare il 100% degli ingredienti di partenza e per evitare purificazioni successive.


DESIGN FOR ENERGY EFFICIENCY: si è lavorato per abbassare la temperatura di reazione e per poterla condurre a pressioni vicine a quelle ambientali oltre a diminuire i cicli richiesti per la polimerizzazione, garantendo così anche un risparmio in termini di tempo. In tal modo il processo risulta nel complesso meno energivoro.


LESS HAZARDOUS CHEMICAL SYNTHESIS: nel corso delle varie generazioni di polimeri che si sono succedute negli anni il contenuto di solventi residui nel prodotto finito è costantemente calato.


BENIGN SOLVENT AND AUXILIARIES: gradualmente è stato abbandonato il benzene come solvente di polimerizzazione a favore di solventi decisamente meno problematici dal punto di vista tossicologico ed ambientale. Si sono inoltre abbandonati alcuni additivi di processo etossilati per evitare la possibile presenza di diossano.


CATALYSIS vs STOICHIOMETRY: vengono utilizzate quantità minime di catalizzatori come iniziatori di reazione e la conversione dei monomeri è prossima al 100%.


Questi sono alcuni esempi di come, oltre a portare benefici economici al produttore, la ricerca applicata all’aderenza ai principi della chimica verde possa ridurre in modo sensibile l’impatto sull’ambiente generato dalla produzione di polimeri sintetici.

SINTESI POLIMERICA E GREEN CHEMISTRY

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Spesso viene erroneamente semplificato il concetto di sostenibilità legandolo all’origine naturale di un ingrediente, non sempre però naturale corrisponde a sostenibile. La realtà è molto più complessa e solo ultimamente si iniziano a prendere in considerazione parametri relativi all’LCA (Life Cycle Assesment) degli ingredienti, dati che possono aiutare ad avere una panoramica più completa dell’impatto ambientale che la scelta delle materie prime del cosmetico ha realmente (2, 3).

Prendendo ad esempio in considerazione i polimeri acrilici si può sottolineare come questi abbiano tendenzialmente delle dosi di utilizzo estremamente basse e di come, spesso, consentano di lavorare a freddo, senza necessità di scaldare per ottenere il prodotto finale, con conseguente risparmio energetico e di tempo. Questi sono parametri legati alla parte di processo di ottenimento del cosmetico che esulano dall’origine naturale o sintetica di un ingrediente ma che possono rivestire una notevole importanza nel momento in cui ci si approccia alla formulazione seguendo concetti di ecodesign e non, semplicemente, la ricerca di una percentuale minima di naturalità da dichiarare sull’etichetta.

Prendendo in esame la tabella dei principi della Green Chemistry citata precedentemente si può individuare facilmente quali sono i due punti critici su cui si deve cercare di intervenire per quanto riguarda la maggior parte dei polimeri sintetici: la fonte di origine, che dovrebbe essere rinnovabile, e la biodegradabilità. Sicuramente due fattori di estrema importanza e con un impatto assai rilevante su cui si stanno facendo passi avanti ma che ancora tardano ad arrivare, se non parzialmente, concretamente sul mercato.


SINTETICO EQUIVALE A NON SOSTENIBILE?

Il mercato attuale delle materie prime per il settore cosmetico, seguendo la crescente richiesta di ingredienti sostenibili, propone sempre più spesso alternative di origine naturale per svariate tipologie di applicazioni: modificatori reologici, filmanti, sostituti dei siliconi, SPF booster, resine fissative sono solo alcuni degli esempi che stanno popolando il mercato. Il formulatore ha sempre più un ampio ventaglio di scelte a disposizione ma è importante sottolineare come non sia così immediato o semplice indirizzarsi esclusivamente su proposte di origine naturale, escludendo ingredienti di origine sintetica con un profilo di sostenibilità, eventualmente, meno soddisfacente. Innanzitutto, esiste ancora, in molti casi, un “performance gap” che, per quanto riguarda la funzionalità, risulta spesso a favore delle più consolidate alternative sintetiche. Anche dal punto di vista dell’impatto sul costo formula frequentemente la bilancia pende dalla parte dei tradizionali derivati di sintesi. A questi due fattori più immediati vanno affiancate alcune considerazioni che, talvolta, sono poste in secondo piano ma che, in realtà, possono essere estremamente importanti. In primo luogo, la competizione da altri settori che può diventare particolarmente importante per prodotti di derivazione naturale. La combinazione tra la recente crisi globale della logistica, il Covid-19 e la successiva ripresa, ed il manifestarsi di elementi esterni imprevedibili come la guerra in Ucraina, sono fattori per cui si possono concretizzare periodi in cui la disponibilità di un prodotto per il mercato cosmetico inizia a ridursi fino a diventare critica. Un esempio in questo senso sono alcuni derivati della cellulosa, l’aumento della richiesta dal settore del packaging combinato all’esplosione dell’utilizzo di salviette igienizzanti nel periodo Covid, ha portato a mesi di irreperibilità sul mercato di alcune referenze di questo tipo. Anche la stagionalità e l’effetto di eventi climatici sui raccolti possono impattare la disponibilità di alcune materie prime, ad esempio gli scarsi risultati della raccolta delle alghe brune nel 2022 in Indonesia e nelle Filippine, causati da avverse condizioni climatiche, hanno portato ad una forte diminuzione nella produzione di carragenine facendone lievitare il prezzo e rendendone difficoltosa la reperibilità. L’origine geografica ed eventuali procedimenti meccanici a cui vengono sottoposti i derivati vegetali da cui si ricavano le matrie prime possono avere una notevole influenza sulle performance finali del prodotto; è quindi abbastanza comune avere ingredienti, da fornitori diversi, con uno stesso Inci name ma con delle rese nella formulazione piuttosto differenti. Tutti questi fattori contribuiscono a rendere meno immediato o automatico il passaggio ad alternative naturali da parte del formulatore.






ALTERNATIVE DI ORIGINE NATURALE

La sfida principale per i produttori di polimeri sintetici è attualmente quella di slegarsi dal petrolio come fonte primaria da cui ricavare i monomeri necessari alle reazioni di polimerizzazione. Negli ultimi anni la ricerca si è focalizzata molto su questo aspetto ed è stato dimostrato come sia possibile ottenere queste molecole partendo da biomasse da fonti rinnovabili (4, 5). Esistono fondamentalmente quattro tipologie di biomasse: oleaginose, lignocellulosiche, zuccherine e amidacee. Partendo da esse e sfruttando enzimi, catalizzatori e microrganismi, diversi lavori hanno evidenziato come sia possibile sintetizzare acrilati, poliuretani, acrilamide e molti altri polimeri. È stato quindi ampiamente dimostrato come sia potenzialmente possibile passare a fonti rinnovabili, rinunciando a derivati petrolchimici, per la sintesi della maggior parte dei polimeri; la vera sfida consiste ora nell’industrializzazione di questi processi. Portare in scala decisamente più grande le soluzioni trovate in laboratorio prevede forzatamente grossi investimenti che dovranno anche coinvolgere la parte logistica che verrà rivoluzionata e trasformata, dovendo abbandonare alcune delle soluzioni attualmente impiegate.


Per quanto riguarda la biodegradabilità, trattandosi di un parametro fortemente dipendente dalla struttura chimica e da alcune caratteristiche fisiche del polimero, la situazione è più frammentata. Anche in questo campo è stato investito molto nella ricerca di soluzioni che possano garantire di ottenere polimeri che siano almeno intrinsecamente biodegradabili. La presenza di alcuni gruppi chimici specifici facilita il raggiungimento di questo obiettivo, ad esempio la presenza di un legame estereo od uretanico renderà il polimero tendenzialmente più degradabile rispetto ad una struttura che ne sia priva. Anche altri parametri come grado di idrofilia, peso molecolare, grado di cristallinità e molte altre caratteristiche contribuiscono a definire la possibile biodegradabilità di questo tipo di prodotti. La sfida in questo caso prevede di riuscire ad integrare nella struttura del polimero dei gruppi o delle porzioni di molecola che possano renderlo degradabile senza alterarne significativamente le caratteristiche (6). Alcuni prodotti con queste proprietà sono già stati lanciati sul mercato e nei prossimi mesi, sicuramente, se ne vedranno altri.


SFIDE PER I PRODUTTORI DI POLIMERI

Le potenzialità espresse dalla ricerca, se alimentate dai necessari investimenti, potranno quindi portare nel prossimo futuro a prodotti sintetici, derivati da biomasse, caratterizzati da un eccellente profilo di sostenibilità. Se il mercato saprà slegarsi dal paradigma naturale=sostenibile ed il formulatore non sarà eccessivamente limitato da rigidi paletti, spesso imposti dalla volontà di sfruttare bollini o marchi di enti certificatori oppure da “black-list” poco lungimiranti e scarsamente sostanziate, si potranno sempre più sfruttare soluzioni che combinano performance e rispetto per l’ambiente.






Riferimenti bibliografici

CONCLUSIONI

PEER REVIEWED

NUOVE FORMULAZIONI