FUCOXANTINA, MICROBIOTA E CERVELLO: DAL MARE UN AIUTO PER LA MENTE
Sul fatto che esista un collegamento tra intestino e cervello restano ormai pochi dubbi: l’esistenza e l’importanza del cosiddetto asse intestino-cervello e della comunicazione bidirezionale tra i due distretti è stata ampiamente confermata dagli studi scientifici dell’ultimo decennio, anche se non è ancora completamente chiaro il modo con cui avvenga questo scambio di informazioni (1,2). Dal punto di vista anatomico, i due organi sono collegati dal nervo vago: il ramo afferente di questo nervo è stato al centro di numerosi studi che ne hanno esaminato gli effetti sulla comunicazione tra i due organi, sia in condizioni di salute che in presenza di patologie (3).
Sebbene non sembri interagire direttamente con il microbiota intestinale, le evidenze scientifiche suggeriscono che il nervo vago possa percepire segnali dal microbiota sottoforma di metaboliti secondari dei batteri (i postbiotici, quali gli SCFAs, acidi grassi a corta catena) oppure essere influenzato tramite la modulazione mediata dal microbiota delle cellule enteroendocrine (EEC) ed enterocromaffini (ECC) dell'epitelio intestinale (4). Gli studi sono ancora in fase iniziale, ma c’è chi ha già iniziato a parlare in termini di asse microbiota-intestino-cervello (5), a significare come la popolazione microbica intestinale rivesta un ruolo tutt’altro che secondario nella comunicazione tra i due organi.
D’altro canto, un numero sempre più crescente di pubblicazioni scientifiche ha messo in correlazione la disbiosi intestinale con diverse malattie croniche a livello centrale, tra cui Alzheimer, Parkinson, sindrome dello spettro autistico, sclerosi multipla e disturbi dell’umore come ansia e depressione (1,2,6,7) - a sottolineare come uno squilibrio del microbiota possa avere un impatto significativo sull’eziopatogenesi di queste patologie, attraverso meccanismi quali infiammazione, stress ossidativo e apoptosi (8).
Appare dunque evidente come le implicazioni di questa connessione non riguardino solo le modalità in cui i due organi comunicano tra di loro, ma anche la possibilità di influenzare l’uno agendo sull’altro: non occorre, per esempio, che una molecola bioattiva sia in grado di oltrepassare la barriera ematoencefalica – quella fitta rete di capillari che separa il cervello dal resto del corpo e controlla rigorosamente il passaggio di sostanze - per agire a livello centrale: potrebbe essere sufficiente che essa agisca a livello indiretto, sul microbiota intestinale - e sia poi questo a occuparsi del trasferimento di informazioni alla “centrale operativa”.
INTRODUZIONE
L’aumento esponenziale di diagnosi di malattie neurodegenerative cui si sta assistendo nell’ultimo decennio ha dato una sensibile spinta alla ricerca di molecole alternative ai farmaci tradizionali, i quali, sebbene considerati relativamente efficaci e sicuri, non offrono purtroppo, ad oggi, soluzioni terapeutiche definitive, né influiscono in alcun modo sulla prevenzione delle patologie stesse.
Con il suo 70% di copertura della superficie terrestre, il mare rappresenta una fonte pressochè inesauribile e certamente ancora poco esplorata di molecole bioattive con potenziali effetti benefici per la salute umana (8,9). Le ricerche dell’ultimo ventennio hanno permesso di identificare e caratterizzare numerosi metaboliti secondari, prodotti dagli organismi marini per sopravvivere e difendersi da ambienti spesso ostili e che possono essere utilizzate nell’uomo in virtù dei loro potenziali effetti antiossidanti, antinfiammatori, antimicrobici, antivirali, antitumorali – e la lista è solo parziale. L’attività antiossidante – in particolare – e quella antinfiammatoria renderebbero conto delle proprietà neuroprotettive manifestate in vitro da numerosi organismi marini, tra cui alghe e microalghe (10).
IL POTENZIALE NEUROPROTETTIVO DELLE ALGHE MARINE
SONJA BELLOMI
Fondazione ITS Biotecnologie e Nuove Scienze della Vita Piemonte | Italia
Bio...
Sonja Bellomi, laureata in Chimica e Tecnologia Farmaceutiche presso l’Università del Piemonte Orientale; dottore di Ricerca in Scienza delle Sostanze Bioattive.
Ha lavorato per 15 anni come ricercatrice nel settore farmaceutico, in campo analitico e formulativo. Attualmente si occupa di attività di docenza e divulgazione scientifica in ambito farmaceutico, nutraceutico e cosmetico.
LA FUCOXANTINA: UN TESORO SOMMERSO
La fucoxantina è un carotenoide (xantofilla) presente prevalentemente nelle alghe brune e nelle microalghe; risulta invece assente nelle piante terrestri. Questo pigmento color arancione, mescolandosi col verde della clorofilla, conferisce alle alghe brune il caratteristico colore; dal punto di vista metabolico, partecipa ai processi fotosintetici e di fotoprotezione delle alghe stesse (11).
Fino a poco tempo fa, la maggior parte degli studi sulla fucoxantina si era concentrata sulle sue proprietà dimagranti: l’uso dell’alga fucus, contenente questo pigmento, è ben noto in fitoterapia come coadiuvante nella perdita di peso, in virtù della sua azione stimolante sul metabolismo endogeno (12). Le potenzialità della fucoxantina, però, vanno ben oltre l’effetto metabolico: numerosi studi ne hanno recentemente messo in luce interessanti proprietà antinfiammatorie, antiossidanti, antidiabetiche e persino antitumorali. In particolare, il potere antiossidante della fucoxantina sarebbe dovuto alla sua peculiare struttura chimica, contenente un legame allenico (ossia due doppi legami uniti a un solo atomo di carbonio), presente solo in una minima parte dei carotenoidi ad oggi conosciuti e responsabile di una potente attività di scavenger nei confronti dei radicali liberi (13,14).
Fucoxantina, Alzheimer e Parkinson
Dal punto di vista della neuroprotezione, studi sempre più numerosi hanno evidenziato una possibile influenza della fucoxantina sul benessere del sistema nervoso centrale (15,16,17,18,19). Studi in vitro hanno rilevato un’azione antiaggregante della fucoxantina nei confronti della proteina beta-amiloide, uno dei fattori scatenanti nella genesi della malattia di Alzheimer (16). La capacità antiossidante di questa xantofilla è stata invece dimostrata sia in vitro che in vivo, aprendo prospettive interessanti non solo per la terapia del morbo di Alzheimer ma per tutte quelle patologie centrali caratterizzate da forte componente ossidativa (compreso il Parkinson e, in generale, tutti i disturbi neurodegenerativi). Un altro meccanismo coinvolto nella genesi delle patologie a carico del sistema nervoso centrale è quello infiammatorio, mediato dalla microglia, ossia da quell’insieme di cellule ad azione immunitaria presenti a livello centrale. La modulazione dei mediatori dell’infiammazione (NO, NF-kb, TNF, interleuchine) evidenziata in vitro da parte della fucoxantina, infine, ha aperto le porte alla ricerca su possibili azioni antineuroinfiammatorie da parte di questa molecola. In vivo, infine, la fucoxantina ha manifestato interessanti proprietà antiapoptotiche, in grado cioè di modulare quel meccanismo fisiologico di morte cellulare (apoptosi) che, se alterato, può portare, a livello nervoso, alla perdita di neuroni e dunque di importanti capacità funzionali. Per inciso, solo pochi carotenoidi hanno manifestato in vitro questa importante funzione: a parte la fucoxantina, solo licopene, astaxantina e luteina si sono rivelati in grado di contrastare la perdita neuronale (16).
Il problema di questi risultati, è che derivano per la maggior parte da studi condotti in vitro, che potrebbero non replicarsi in eventuali studi clinici. La fucoxantina, come tutti i carotenoidi, viene assorbita a livello dell’intestino tenue con meccanismi simili a quelli dei lipidi e delle vitamine lipo-solubili (20). La biodisponibilità di questa molecola, tuttavia, risulta limitata, a causa della sua scarsa solubilità: si stima che solo una percentuale compresa tra il 5 e il 50% dei carotenoidi venga assorbita a livello dell’intestino tenue (21). Questa caratteristica potrebbe determinare una limitata capacità della fucoxantina nell’attraversare la barriera ematoencefalica – per lo meno, in concentrazioni sufficienti per avere un’azione farmacologica (22).
Al momento sono in fase di studio sistemi per aumentare la biodisponibilità di questo carotenoide, quali l’assunzione con latte o olio oppure l’utilizzo di carrier specifici che ne facilitino l’assorbimento e il trasporto (23) – e dunque aprano la strada ad un possibile uso terapeutico della molecola.
Fucoxantina e microbiota intestinale
La frazione di carotenoidi – e quindi di fucoxantina – non assorbita dall’intestino tenue, rimane intatta nel colon, ove può agire direttamente sul microbiota (20) e sulla sua composizione, favorendo la crescita di specie benefiche per l’organismo ospite (24). E’ possibile che l’azione diretta della fucoxantina sul microbiota si traduca in azione indiretta sul sistema nervoso centrale: ripristinando il corretto equilibrio tra microorganismi benefici e dannosi, modulando l’espressione dei mediatori dell’infiammazione, dell’apoptosi e dello stress ossidativo a livello intestinale, si potrebbe sfruttare l’asse microbiota-intestino-cervello per ottenere, di fatto, un’azione neuroprotettiva.
Risultati significativi in questa direzione sono stati ottenuti da uno studio in vivo mirato ad analizzare l’effetto della somministrazione di fucoxantina sul rapporto Firmicuti/Batterioidi e sui livelli di Akkermansia. Un aumento del rapporto Firmicuti/Batterioidi è stato associato a un’alterazione delle giunzioni serrate nell’epitelio intestinale, con conseguente fuoriuscita di citochine infiammatorie nel torrente circolatorio, le quali a loro volta potrebbero raggiungere il cervello tramite la circolazione sanguigna o per azione sul nervo vago e innescare fenomeni infiammatori, potenziali fattori scatenanti – come si è detto – di numerose patologie neurodegenerative (16, 21). L’Akkermansia, dal canto proprio, è un batterio benefico, responsabile -tra le numerose funzioni - del mantenimento dell’integrità della barriera intestinale, dell’immunità, della protezione da eventi infiammatori: alti livelli di questo batterio, tuttavia, sono stati riscontrati in pazienti affetti da Parkinson, suggerendo una possibile correlazione tra l’aumento eccessivo di questo ceppo batterico e l’insorgenza della patologia (25,26).
Ebbene, la somministrazione di fucoxantina per 4 settimane a topi del ceppo BALB/c è stata in grado di ottenere una riduzione del rapporto Firmicuti/Batterioidi e un ripristino dei livelli corretti di Akkermansia, a conferma delle potenzialità di questo carotenoide nel prevenire o addirittura coadiuvare il trattamento delle patologie a carico del sistema nervoso centrale (16).
La possibilità di agire indirettamente sul sistema nervoso centrale senza la necessità di oltrepassare la barriera ematoencefalica apre interessanti scenari dal punto di vista terapeutico, ampliando la rosa di sostanze disponibili e la possibilità - se non di arrestare - quantomeno di rallentare il decorso di molte patologie neurodegenerative dall’esito spesso infausto. In quest’ottica, la fucoxantina, con la capacità di agire su più fronti e su molteplici meccanismi fisiologici - con un profilo di sicurezza relativamente elevato (16,27) - può rappresentare un candidato ideale, sia in termini di prevenzione che di trattamento.
Sono certamente necessari studi clinici su larga scala e una migliore comprensione dei meccanismi d’azione della molecola, ma i risultati fin qui pubblicati sono senza dubbio interessanti e degni di ulteriore approfondimento.
PROSPETTIVE FUTURE
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