OLTRE I NUTRIENTI:
GLI ALIMENTI ULTRA-PROCESSATI E IL LORO IMPATTO SULLA SALUTE
La modifica delle abitudini alimentari è un obiettivo di salute pubblica particolarmente efficace per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative, come malattie cardiovascolari, tumori o malattie neurodegenerative; è stato infatti stimato che diete inadeguate da un punto di vista nutrizionale sono responsabili di più decessi di qualsiasi altro fattore di rischio a livello globale e sono la principale causa di malattie metaboliche come obesità e diabete (1).
La Dieta Mediterranea tradizionale è senza dubbio uno dei modelli alimentari più studiati al mondo e i suoi effetti cardioprotettivi sono stati ben documentati sia in studi osservazionali che di intervento (2,3). La Dieta Mediterranea è il modello alimentare prevalente nelle aree rurali del bacino del Mediterraneo prima della metà degli anni '60, cioè prima che la globalizzazione esercitasse la sua influenza sullo stile di vita, comprese le abitudini alimentari. La Dieta Mediterranea si contraddistingue per l’elevato consumo di alimenti vegetali, il consumo alto-moderato di pesce e frutti di mare, il consumo moderato di pollame e latticini, il consumo ridotto di carne rossa e l'assunzione moderata di vino durante i pasti e l'uso di olio di oliva come principale fonte di grasso aggiunto (4).
Lo Studio Moli-sani è una delle più grandi coorti di popolazione d’ Europa e nell'ultimo decennio ha enormemente contribuito ad aumentare le conoscenze sugli effetti benefici della Dieta Mediterranea, non solo per la popolazione generale (5), ma anche per i soggetti ad alto rischio, come persone con diabete di tipo 2 (6), o con malattie cardiovascolari preesistenti (7) o anziani (8).
Con i suoi 25mila cittadini reclutati, lo Studio Moli-sani nasce con l’obiettivo di indagare il delicato equilibrio che sussiste tra ambiente e genetica nello sviluppo delle principali malattie cronico-degenerative, come le malattie cardiovascolari e i tumori, e può contare su una dettagliata mappa delle abitudini alimentari dei partecipanti, scelti in modo “randomizzato” dalla popolazione generale adulta del Molise.
Le analisi condotte nella coorte dello Studio Moli-sani fanno luce anche sui potenziali meccanismi biologici che collegano la Dieta Mediterranea alle malattie con un focus specifico sul ruolo dell'infiammazione di basso grado che è un fattore di rischio principale per la malattia cardiovascolare ed è favorevolmente modulata dalla Dieta Mediterranea (7,9).
Tuttavia, il modo in cui l'epidemiologia nutrizionale ha finora considerato la Dieta Mediterranea si è basato quasi esclusivamente sulla valutazione della sua composizione nutrizionale, ovvero sul fatto che questa dieta è caratterizzata da alimenti che sono fonti naturali di fibre, vitamine, antiossidanti e grassi insaturi.
Eppure, la Dieta Mediterranea è molto più di una semplice lista della spesa. Come riconosciuto dall'UNESCO, che il 16 novembre 2010 ha inserito la Dieta Mediterranea nel Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità (10), la Dieta Mediterranea riflette un insieme di abilità, conoscenze, rituali, simboli e tradizioni riguardanti colture, raccolta, pesca, zootecnia, conservazione, trasformazione, cottura e, in particolare, la condivisione e il consumo degli alimenti. Tutti questi aspetti sono stati completamente trascurati dalla stragrande maggioranza degli studi epidemiologici. Nel valutare l'aderenza alla Dieta Mediterranea a livello di popolazione, si raccolgono sostanzialmente dati sulla frequenza e la quantità di cibo consumato da una data popolazione attraverso la somministrazione di questionari validati; sappiamo esattamente quante volte al giorno a settimana, quante pere, mele, broccoli e sgombri vengono mangiati, ma molto raramente abbiniamo contemporaneamente questi dati a una serie di fattori legati alle abitudini alimentari, come ad esempio il modo in cui tali alimenti vengono cucinati (ad esempio fritti, in umido) o abbinati ad altri (es. pasta con legumi o verdure, vino ai pasti piuttosto che abbuffate) o se consumati convivialmente (11). Allo stesso modo, abbiamo quasi completamente tralasciato le informazioni sul tipo di coltivazione (biologica o convenzionale), né siamo a conoscenza della biodiversità degli alimenti. Soprattutto, si sa poco se ciò che classifichiamo come "cibo mediterraneo" (ad esempio verdura, frutta e legumi) provenga da una più o meno intensa lavorazione industriale. Non va dimenticato infatti che la Dieta Mediterranea tradizionale è una dieta in gran parte non elaborata o minimamente trasformata; ciò significa che è composta principalmente da alimenti non trasformati che includono parti alimentari commestibili naturali di piante e animali. Gli alimenti minimamente trasformati sono alimenti che sono stati leggermente alterati con lo scopo principale della conservazione ma che non modificano sostanzialmente il contenuto nutrizionale degli alimenti. Alcuni esempi includono la pulizia e la rimozione di parti non commestibili o indesiderate, la macinazione, la refrigerazione, la pastorizzazione, la fermentazione, il congelamento e il confezionamento sottovuoto (12).
LA DIETA MEDITERRANEA PROTEGGE LA NOSTRA SALUTE, MA NON BASTA
La questione della trasformazione degli alimenti è emersa nell'ultimo decennio, ed è stata proposta come un nuovo modo di guardare al rapporto dieta-salute che, fino ad allora, era stato spiegato quasi esclusivamente dalla composizione degli alimenti (cioè calorie, macro e micronutrienti contenuti), portando quindi a fornire raccomandazioni volte a ridurre il consumo di zuccheri, sale e grassi nella dieta (13), con poca o addirittura nessuna attenzione al grado di trasformazione degli alimenti.
L'approccio esclusivamente focalizzato sui nutrienti, utilizzato anche dalla maggior parte degli studi epidemiologici che valutano l'aderenza alla Dieta Mediterranea solo sulla base del suo contenuto nutrizionale (ad es. consumo di frutta, verdura, ecc.), ha alcuni importanti limiti, poiché altri aspetti della relazione tra dieta e salute sono sempre più riconosciuti importanti almeno quanto lo sono i nutrienti nel plasmare il rischio per la salute a livello di popolazione.
La classificazione NOVA, sviluppata da ricercatori brasiliani una decina di anni fa (14), è stata proposta come un nuovo modo di considerare gli alimenti in base al loro grado di lavorazione piuttosto che alla loro composizione nutrizionale, postulando che la lavorazione può essere rilevante per la salute quanto la composizione degli alimenti, possibilmente attraverso meccanismi che sono innescati dalle componenti non nutrizionali di questi alimenti, come ad esempio la degradazione della matrice alimentare, la presenza di additivi alimentari, materiali di contatto o composti di neoformazione (13, 15, 16). Con il termine alimenti ultra-processati (UPF) si indicano formulazioni pronte per il consumo prodotte industrialmente, costituite principalmente o interamente da sostanze estratte da alimenti o derivate da costituenti alimentari spesso contenenti aromi, coloranti, emulsionanti e altri additivi aggiunti (14,16). Esempi di tipici sono bibite gassate, yogurt alla frutta, snack confezionati dolci o salati, gelati, cioccolato, caramelle (confetteria), pane e focacce confezionati di serie e molti altri (14).
Nell'ultimo decennio, il numero di studi che esaminano la relazione tra UPF e salute è aumentato esponenzialmente, passando da 23 articoli pubblicati nel 2009-2015 a quasi 500 pubblicati solo nell'ultimo anno e mezzo. Questa crescente attenzione per l’impatto che i prodotti ultra-processati possono avere sulla salute umana è dovuta al fatto che il loro consumo è in aumento in tutto il mondo. In realtà, gli UPF hanno progressivamente sostituito gli alimenti non trasformati o minimamente trasformati e la cucina tradizionale nella dieta a livello globale, e ora rappresentano più della metà delle calorie totali consumate quotidianamente in molti Paesi ad alto reddito come gli USA, il Canada, l’Inghilterra o l’Australia (17,18).
Nei Paesi mediterranei come Spagna e Italia, la percentuale di cibo ultra-processato tra gli adulti è rispettivamente del 24% e del 17% circa (19, 20), probabilmente perché la cucina casalinga fa ancora uso di una Dieta Mediterranea tradizionale. Analisi condotte nel campione dello studio INHES, un osservatorio dell’alimentazione, su oltre 9mila persone reclutate in tutta Italia (20) hanno infatti dimostrato che una maggiore aderenza al modello mediterraneo è di fatto associata a una riduzione del consumo di alimenti ultra-processati, confermando così l’idea che mantenere una dieta tradizionale sia un modo efficace per resistere all’invasione di questi prodotti sulla nostra tavola, preservando la nostra salute (Figura 1).
Figura 1. Consumo di cibi ultra-processati in rapporto al livello di adesione alla dieta mediterranea nella popolazione adulta dello studio INHES.
Studi di coorte in tutto il mondo hanno infatti documentato che un elevato consumo di UPF è associato a una sopravvivenza più breve (21) e ad un aumentato rischio di malattie non trasmissibili, comprese le malattie cardiovascolari (22), il diabete di tipo 2 (23) e alcuni tumori (24).
Più recentemente, i dati della coorte dello studio Moli-sani, in Italia, hanno riportato un aumento del 65% del rischio di mortalità per malattia cardiovascolare associato a un'assunzione elevata di UPF tra persone con storia di malattia cardiovascolare preesistente, rispetto a quelli che consumavano meno UPF (25). È interessante notare che la maggior parte di questi studi, anche se non tutti, hanno considerato la qualità complessiva della dieta nelle loro analisi. Ciò significa che l'impatto avverso di un elevato consumo di questi alimenti deve essere inteso al netto della sua qualità nutrizionale.
Una recentissima analisi dello studio Moli-sani conferma che il consumo sia di alimenti di scarsa qualità nutrizionale che quello di cibi ultra-processati aumenta in modo rilevante il rischio di mortalità, in particolare per le malattie cardiovascolari (26). Quando però si è tenuto conto congiuntamente sia del contenuto nutrizionale della dieta che del suo grado di lavorazione industriale, è emerso che quest’ultimo aspetto è quello più importante nell’evidenziare il maggiore rischio di mortalità. In realtà, oltre l’80 percento degli alimenti classificati come non salutari da un punto di vista nutrizionale sono anche ultra-lavorati. Questo suggerisce che il rischio aumentato di mortalità non è da imputare direttamente (o esclusivamente) alla bassa qualità nutrizionale di alcuni prodotti, bensì al fatto che questi siano anche ultra-lavorati”.
È quindi sempre più necessario ricercare altri possibili meccanismi, diversi dai nutrienti, che possono spiegare il legame tra un'assunzione massiccia di UPF e malattie croniche. In primo luogo, qualsiasi tipo di lavorazione altera fondamentalmente la matrice alimentare, tipicamente in maniera dannosa (27). Inoltre, gli additivi che si trovano nei prodotti altamente trasformati hanno anche effetti incerti sulla salute. Anche se gli additivi vengono utilizzati nel rispetto delle concentrazioni consentite dalla legge, non sappiamo quale sia l’effetto della loro presenza simultanea e spesso in un solo alimento UPF sono contenute decine di additivi diversi. Anche l'imballaggio di UPF, è una fonte di sostanze chimiche (ad esempio bisfenoli e ftalati) che hanno il potenziale di agire come xeno-ormoni (28) e sono anche associati a concentrazioni alterate di biomarcatori infiammatori (29). Infine, sia la modifica della matrice alimentare che l'inclusione di alcuni additivi alimentari durante la lavorazione possono influenzare negativamente la composizione, la funzione del microbiota intestinale e le interazioni batteri-ospite (28).
LA DIETA MEDITERRANEA E LA TRASFORMAZIONE DEGLI ALIMENTI
Le prove epidemiologiche disponibili fino ad oggi supportano l'idea che un elevato consumo di alimenti ultra-processati possa rappresentare una grave minaccia per la salute umana. Data la crescente popolarità di questi cibi a livello globale, e anche nei Paesi mediterranei, la questione della trasformazione degli alimenti dovrebbe avere la priorità nelle raccomandazioni alimentari possibilmente promuovendo il consumo di alimenti minimamente/non trasformati, che sono componenti chiave di una Dieta Mediterranea tradizionale.
CONCLUSIONI
Riferimenti bibliografici
Riferimenti bibliografici
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MARIALAURA BONACCIO1
LICIA IACOVIELLO1,2
1. Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione, IRCCS Neuromed, Pozzilli
2. Centro di Ricerca in Epidemiologia e Medicina Preventiva (EPIMED), Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università dell’Insubria, Varese
Bio...
Marialaura Bonaccio, PhD. Laureata in Filosofia, giornalista pubblicista, nel 2015 ha conseguito il PhD in Epidemiologia presso l'Università di Maastricht, Paesi Bassi. E’ ricercatore senior al Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS NEUROMED ed è autrice di numerose pubblicazioni focalizzata a comprendere il ruolo dell’alimentazione sul rischio di malattia e mortalità, tenendo conto non solo della quantità ma anche della qualità dei cibi, inclusa la trasformazione industriale.
Licia Iacoviello, MD, PhD è professore ordinario di Igiene e Medicina Preventiva all’Università dell’Insubria di Varese-Como e dirige il Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed di Pozzilli in Molise. Dal 2005 coordina lo Studio Moli-sani, che ha coinvolto oltre 24.000 persone della popolazione generale, mettendo in luce l’importanza e i meccanismi d’azione della dieta mediterranea nella prevenzione delle principali malattie. Ha pubblicato oltre 530 articoli scientifici”. È inserita da VIA Academy nell’elenco dei Top Italian Scientists.
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