SOLUZIONI SOSTENIBILI
PER IL PACKAGING
I materiali impiegati per la realizzazione degli imballaggi sono molti, principalmente vetro, carta, plastiche, alluminio. Poiché il confezionamento accompagna il prodotto in una fase transitoria che va dalla produzione all’utilizzo, esso si trasforma spesso molto rapidamente in un rifiuto da smaltire.
Tra tutti i materiali, in termini di impatto ambientale spicca senz’altro la plastica, su cui negli ultimi anni è stata puntata l’attenzione a causa dei gravi danni all’ecosistema di cui è ritenuta responsabile. Infatti, molti dei polimeri plastici utilizzati derivano da fonti fossili e non risultano biodegradabili; pertanto, tendono ad accumularsi nell’ambiente anziché decomporsi. Malgrado ciò, pensare di vivere al giorno d’oggi senza plastica sarebbe inimmaginabile, a tal punto che la sua produzione e il suo impiego in ogni momento della vita quotidiana ha superato quella di qualsiasi altro materiale esistente.
La preoccupazione crescente che scaturisce dalle problematiche collegate all’utilizzo degli imballaggi, così come degli oggetti monouso, ha spinto le politiche mondiali a prendere dei provvedimenti per limitarne la produzione, il consumo e lo smaltimento.
I MATERIALI PER IL PACKAGING E L’AMBIENTE
DIRETTIVE EUROPEE
La Commissione europea nel novembre 2022 ha presentato il nuovo Regolamento europeo in materia di imballaggi (1) in cui evidenzia la necessità di ridurre, riutilizzare e riciclare i materiali.
Figura 1. Schema delle 3 “R” (reuse, reduce, recycle).
L’articolo 4 della direttiva CE 2008/98 aveva già introdotto uno specifico ordine di priorità in materia di gestione dei rifiuti. La misura considerata prioritaria è la prevenzione, intesa come l’insieme di quelle azioni eseguite per ridurre la quantità di rifiuti e l’impatto ambientale. I rifiuti sono generalmente percepiti in modo negativo come qualcosa da eliminare ma, nel momento in cui ne si riconosce il valore, è possibile valutare il loro riutilizzo. Questa visione si adatta al modello di economia circolare che è stato proposto dall’UE in cui si propone di estendere il ciclo di vita dei prodotti e di generare ulteriori risorse. Rispettando la gerarchia delle azioni proposte dalla direttiva, è prevista, infatti, la preparazione dei rifiuti per il loro potenziale riutilizzo, ovvero “qualsiasi operazione tecnologica attraverso la quale le componenti che non sono rifiuti vengono reimpiegati per le stesse finalità per le quali erano stati concepiti”.
Dopo il riutilizzo si rende necessario praticare il riciclaggio dei rifiuti. Tale misura implica “qualsiasi operazione di recupero attraverso cui i materiali sono trattati per ottenere prodotti o materiali o sostanze da impiegare per la loro funzione originaria o per altri fini”. In accordo alla Direttiva, a seguito del riciclaggio si applica il recupero dei rifiuti, ad esempio con la termovalorizzazione. E solo come ultimo provvedimento adottabile, è previsto lo smaltimento, in forma di interramento e incenerimento.
MATERIALI SOSTENIBILI
La Direttiva europea 2019/904, conosciuta come SUP (Single Use Plastic), ha spinto la ricerca scientifica a trovare delle soluzioni alternative più sostenibili; negli ultimi anni, infatti, è stato incentivato lo sviluppo di bioplastiche e l’introduzione di materiali già conosciuti come carta e legno nella filiera del packaging. Le bioplastiche possono essere definite o come plastiche prodotte a partire da risorse rinnovabili (biobased) o come plastiche che sono biodegradabili e/o compostabili (2).
Questi materiali, tuttavia, per quanto più green, non godono di quelle proprietà che hanno reso la plastica tradizionale così performante, come l’elevata resistenza meccanica e la bassa permeabilità ai gas. La limitazione di queste proprietà viene quindi contrastata avvalendosi di additivi, ovvero sostanze aggiunte intenzionalmente (IAS) dal produttore per incrementare le prestazioni, la funzionalità e la resistenza nel tempo (3). Un’altra possibilità è data dall’aggiunta di fillers di natura organica o inorganica come rinforzante per il materiale (4), oppure di rivestimenti che ne conferiscono impermeabilità, soprattutto nel caso della carta (5).
Gli additivi aggiunti e i rivestimenti possono però celare dei rischi per il consumatore che contrastano la visione “green” che racchiudono. È stato dimostrato infatti che la maggior parte delle bioplastiche contengono un gran numero di sostanze di diversa categoria, di cui alcune potenzialmente tossiche (6).
In prospettiva di un modello economico circolare, la sostenibilità del packaging potrebbe essere perseguita anche “valorizzando” quelli che sono rifiuti di altra natura, come gli scarti agroalimentari, attraverso l’estrazione di composti antiossidanti da inserire nel materiale per renderlo “attivo” e prolungare così la shelf-life dell’alimento (7).
RICICLO E RIUSO
Una misura efficace contro l’inquinamento causato dagli imballaggi è anche l’utilizzo di materiali da riciclo. Il riciclo della carta è vastamente perseguito, e quello delle plastiche recentemente è stato fortemente incentivato. Per la plastica si parte dalla raccolta dei rifiuti dal punto di produzione o di smaltimento e si continua con il loro smistamento, la compressione, la frantumazione e la pellettizzazione nella materia prima. Queste procedure sono seguite da processi termici, chimici o meccanici dai quali si ottiene il prodotto finale (8). Il polietilene tereftalato (PET) figura quale principale materiale plastico sottoposto a riciclo. Attualmente, il processo più comune è di tipo meccanico ed esso è parte di un sistema chiuso pensato in modo che le bottigliette post-consumo subiscono diversi trattamenti per ricreare un’altra bottiglietta commercializzabile, idealmente all’infinito (9).
Figura 2. Schema riciclo plastiche.
Un passaggio che si rivela cruciale per garantire la sicurezza nel riuso del materiale è la fase di decontaminazione, dove il materiale viene sottoposto a pulitura e lavaggio con detergenti. Questo non esclude comunque il rischio di contaminazione dell’alimento o della bevanda da parte di IAS e NIAS, ovvero sostanze non aggiunte intenzionalmente, che nel PET post-consumo possono essere presenti a causa di: componenti di progettazione quali etichette, adesivi e additivi, impurità o prodotti di degradazione ottenuti dal riprocessamento del materiale, residui alimentari e non-, e gli stessi agenti chimici impiegati per la pulitura (10).
Il riuso rappresenta un’altra delle soluzioni da prendere in considerazione, ed è ampiamente promosso dal nuovo regolamento europeo. Vanno però tenuti in conto i costi di logistica, trasporto e sanificazione, valutando l’energia complessiva messa in gioco. L’insieme dei costi potrebbe in alcuni casi, infatti, essere maggiore del costo necessario per la realizzazione di un nuovo packaging da materia prima vergine.
Ciò che appare chiaro negli ultimi anni è che aziende e consumatori abbiano scelto di abbracciare la causa dell’inquinamento, mostrando un’immagine “eco-friendly” e supportando la sostituzione del packaging tradizionale dei prodotti con quelli realizzati in bioplastica o riciclati. Spesso viene associata a questa scelta sostenibile anche la sua salubrità, ma ciò non è scontato e nel marketing porta in molti casi anche a esempi di “greenwashing”, un fenomeno che nasconde il reale impatto ambientale del materiale. È stato inoltre dimostrato ad esempio che le bioplastiche non sempre si degradano facilmente nell’ambiente e in alcuni casi possono esercitare effetti dannosi sull’ecosistema. Questi materiali potrebbero inoltre porre altri problemi legati ai rischi per la salute, quale il rilascio di proteine allergeniche o la presenza di composti potenzialmente tossici, IAS e NIAS (11,12). Lo strumento opportuno per valutare il reale impatto ambientale è la valutazione dell’intero ciclo di vita (Life Cycle Assessment). Non ultimo, va considerato che il costo di qualsiasi alternativa alla plastica è decisamente maggiore.
CONCLUSIONI
Figura 3. Schema Life cycle assessment.
Riferimenti bibliografici
Riferimenti bibliografici
- Chiara Bignardi, Antonella Cavazza, Carmen Laganà, Paola Salvadeo, Claudio Corradini (2017). Release of non-intentionally added substances (NIAS) from food contact polycarbonate: Effect of ageing. Food Control, 71, 329:335. https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0956713516303760
- Antonella Cavazza, Chiara Bignardi, Maria Grimaldi, Paola Salvadeo, Claudio Corradini (2021). Oligomers: Hidden sources of bisphenol A from reusable food contact materials, Food Research International, 139, 109959. https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0963996920309844
- Commissione Europea. REGOLAMENTO (UE) N. 10/2011 DELLA COMMISSIONE del 14 gennaio 2011 riguardante i materiali e gli oggetti di materia plastica destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari PIM 2011. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32011R0010
- Commissione Europea. DIRETTIVA (UE) 2019/904 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente. https://eur-lex.europa.eu/legalcontent/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32019L0904&qid=1693239097329
- Lisa Zimmerman, Andrea Dombrowski, Carolin Volker, Martin Wagner (2020). Are bioplastics and plant-based materials safer than conventional plastics? In vitro toxicity and chemical composition, Environment International, 145, 106066. https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0160412020320213
- Nicolò Riboni, Federica Bianchi, Antonella Cavazza, Maurizio Piergiovanni, Monica Mattarozzi; Maria Careri (2023). Mass spectrometry-based techniques for the detection of non-intentionally addedd substances in bioplastics. Separations, 10, 222. https://www.mdpi.com/2297-8739/10/4/222
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ANTONELLA CAVAZZA1, 2
MARCO FONTANAROSA1
1. Università di Parma | Italia
2. MEMBRO DEL COMITATO SCIENTIFICO di NUTRA HORIZONS ITALIA
Bio...
Antonella Cavazza è Professore associato del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale dell’Università di Parma e Presidente del Master in Packaging.
Laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche, ha iniziato la sua attività di ricerca presso l’Università di Messina, e successivamente al CNR di Roma, la School of Chemistry di Leeds (UK) e l’Università di Roma Tor Vergata. Si occupa di ricerche nel settore della chimica analitica per la valutazione della sicurezza dei materiali a contatto con gli alimenti e di sviluppo di materiali innovativi per packaging sostenibile e attivo. Svolge numerose attività in collaborazione con aziende del territorio.
Marco Fontanarosa è attualmente un dottorando di ricerca in Scienze Chimiche presso l’Università di Parma. Da sempre affascinato dalle scienze, è laureato in biotecnologie genomiche, molecolari e industriali. Attualmente il suo campo di ricerca è la chimica analitica e le sue applicazioni nel campo dei materiali e del food, per cui nutre un grandissimo interesse.
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