La nuova generazione dei correttori:
la perfezione dello sguardo non è più un’utopia

Un antico aforisma recita “L’occhio parla più della bocca”. E ben l’aveva capito Max Factor, l’uomo che con i suoi prodotti cosmetici ha rivoluzionato la tecnica del make-up a partire dalla prima metà degli anni Venti del secolo scorso. Tra i suoi trucchi iconici nel 1954 creò uno stick colorato per nascondere le ombre scure sotto gli occhi e le imperfezioni del viso. L’idea nacque in concomitanza con l’avvento della televisione a colori in America: gli spettatori potevano godere da casa di immagini più realistiche, apprezzare maggiormente l’abbigliamento e coglierne anche i minimi particolari. Questo balzo tecnologico andava però supportato per quanto riguarda il trucco del viso: le luci erano cambiate, il technicolor metteva più che mai in evidenza discromie, piccoli difetti, rughe più o meno accentuate.


Ecco quindi l’intuizione ingegnosa di formulare un prodotto nuovo, più mirato per zone specifiche del viso, per affiancare l’azione del fondotinta. Anche la consistenza era diversa: lo stick in prima battuta appariva un po’ ceroso, ma durante l’applicazione veniva “scaldato” con le dita in modo da depositare un film coprente e molto aderente alla pelle, capace di nascondere e camuffare ogni imperfezione.


In linea di massima la funzione del correttore negli anni è sempre stata quella legata al significato etimologico del suo nome. Ma agli inizi degli anni Novanta un noto marchio francese di alta profumeria propose una novità assoluta, cambiando completamente il concetto di correttore. Il prodotto si presentava in penna (in breve tempo definita “la penna magica”) con un erogatore a pennello, ma la vera rivoluzione era legata alla formula. Una texture fluida e leggera con un grado di coprenza medio ma con una specifica e basilare funzione: illuminare e rendere impeccabile la pelle dove più era necessario. La finalità non era nascondere bensì perfezionare per dare un aspetto estremamente naturale al viso.

A distanza di quasi trent’anni questo concetto è diventato parte integrante di come un correttore deve performare. La funzione rimane la stessa, ma viene rivista secondo i moderni canoni del make-up, rielaborata e reinterpretata sfruttando le potenzialità delle nuove materie prime di cui i formulatori dispongono. In un correttore in emulsione una particolare attenzione va riservata alla scelta dell’emulsionante e alla sua capacità di creare una matrice evanescente, quasi fosse un siero, ma in grado di sostenere e supportare la fase polvere. All’opposto, se si vuole creare uno stick anidro il focus sarà incentrato sul binomio estere/cera. Si viene a costituire in questo modo un reticolo cristallino in grado di rilasciare, in applicazione, la dose corretta di polveri in esso intrappolate creando un film colorato sottile, addirittura impalpabile, non grasso ma al contempo emolliente.


Ciò che più di tutto viene richiesto a questo specifico prodotto è di donare un’espressività luminosa e levigatezza ottica alla zona perioculare, il che significa che deve essere in grado di “aprire” lo sguardo, riempire i segni di espressione ed eliminare le zone d’ombra per un aspetto globalmente più riposato. Il tutto senza creare depositi e accumuli di colore nell’arco della giornata. La funzione quindi non è quella di coprire le imperfezioni, ma di correggerle sfruttando la capacità di rifrazione della luce di specifici pigmenti multi-riflettenti e correttori del colore. A questi si possono associare pigmenti micronizzati e/o rivestiti in modo da poterli inserire in formula in minor percentuale ottenendo una colorazione in trasparenza. Si crea così un substrato colorato su cui si può intervenire con polveri “scattering” e giochi di luce. In questo modo la texture assume una moderna leggerezza, è impalpabile, fresca, diventa un tutt’uno con la pelle creando un film lievissimo e plastico capace di seguire i movimenti della mimica facciale sia volontari che involontari.