Marchi cosmetici e metaverso 

Dopo l’allunaggio nel 1969 forse l’uomo arriverà su Marte ma intanto - anche senza chiamarsi Samantha Cristoforetti - è innegabile che un nuovo mondo, un luogo altro, è già disponibile per chiunque abbia voglia di sperimentare (e possieda gli strumenti tecnologici giusti): è il metaverso o, forse, sarebbe più corretto parlare dei “metaversi”, in quanto le piattaforme dedicate sono già circa una cinquantina.


Metaverso, dunque, uguale luogo virtuale che non ci si limita a guardare dallo schermo del pc ma nel quale ci si può “trovare” con il proprio avatar (che può anche avere un’identità diversa dalla nostra). Un luogo in cui si possono fare esperienze, magari quelle che è difficile fare nella vita reale, ma anche semplicemente un luogo in cui dare appuntamento per una riunione di lavoro seduti ad uno stesso tavolo, giocare una partita a calcio con gli amici e – perché no? – fare un giro di shopping o regalarsi una seduta dall’estetista per provare una nuova tonalità di rossetto.


Non è fantascienza.


Molte società non si sono lasciate scappare la possibilità di fare affari nel metaverso: Gucci, Nike, Philippe Plein, Benetton, Heineken, etc. Molti di loro hanno provveduto a registrare i propri storici marchi anche per prodotti prima inimmaginabili (in particolare per quelli compresi nella classe 9 dedicata, tra le altre cose, al software) e ciò al fine di una migliore protezione dei loro brand nel metaverso.

Il fenomeno non sta risparmiando neppure il settore cosmetico che nel metaverso avrà molto, moltissimo, da dire.

Così, L'Oréal ha registrato numerosi marchi per “Beni virtuali scaricabili, vale a dire programmi per computer in relazione a profumeria, articoli da toeletta, cosmetici, trucco, preparati per la cura della pelle, preparati per la cura dei capelli e preparati per il colore dei capelli per l'uso online e in mondi virtuali online”, “Servizi di negozi al dettaglio in relazione a beni virtuali”, “fornitura di profumeria virtuale on-line”. Si vedano ad esempio i seguenti marchi:

CAROLS DAUGHTER

DARK AND LOVELY

ESSIE

LA PROVENÇALE BIO

GARNIER

L’ORÉAL

REDKEN

Vediamo nel dettaglio, ad esempio, il marchio MAYBELLINE NEW YORK. L'Oréal era già titolare di numerose registrazioni comprendenti detta espressione (come, ad esempio, il marchio dell’Unione Europea n. 000543900 depositato nel 1992 per cosmetici) ma ha sentito di recente l’esigenza di tutelarsi anche attraverso il deposito di un ulteriore marchio MAYBELLINE NEW YORK. Detto segno è stato registrato per la classe 3 Profumeria, articoli da toeletta, cosmetici, trucco, preparati per la cura della pelle, preparazioni per la cura dei capelli e preparazioni per il colore dei capelli che incorporano la tecnologia di comunicazione NFC” (NFC è l’acronimo di Near Field Communication ed è un metodo di connessione senza contatto che consente di inviare e ricevere dati tra due dispositivi che si trovino a distanza ravvicinata e abbiano entrambi il sistema di comunicazione NFC); la classe 9 Beni virtuali scaricabili, vale a dire programmi per computer in relazione a profumeria, articoli da toeletta, cosmetici, trucco, preparati per la cura della pelle, preparati per la cura dei capelli e preparati per il colore dei capelli per l'uso online e in mondi virtuali online; software per computer scaricabile per la creazione, la produzione e la modifica di disegni e personaggi digitali animati e non animati, avatar, sovrapposizioni e skin digitali per l'accesso e l'uso in ambienti online, ambienti virtuali online e ambienti virtuali di realtà estesa; token di comunicazione near field; software applicativo mobile scaricabile per ordinare profumeria, articoli da toeletta, cosmetici, trucco, preparati per la cura della pelle, preparazioni per la cura dei capelli e preparazioni per il colore dei capelli”; classe 35 “Servizi di negozi al dettaglio in relazione a beni virtuali, vale a dire profumeria, articoli da toeletta, cosmetici, trucco, preparati per la cura della pelle, preparati per la cura dei capelli e preparati per il colore dei capelli per l'uso online; servizi di vendita al dettaglio on-line in relazione a merci virtuali, vale a dire profumeria, articoli da toeletta, cosmetici, trucco, preparati per la cura della pelle, preparazioni per la cura dei capelli e preparazioni per il colore dei capelli”; classe 41 “Servizi di intrattenimento, vale a dire, fornitura di profumeria virtuale on-line, non scaricabile, articoli da toeletta, cosmetici, trucco, preparazioni per la cura della pelle, preparazioni per la cura dei capelli e preparazioni del colore dei capelli, disegni e personaggi animati e non animati digitali, avatar, sovrapposizioni digitali e pelli per l'uso in ambienti virtuali” (per la completa rivendicazione di prodotti e servizi del segno in questione si può accedere alla banca dati EUIPO al link)

Insomma, L'Oréal come altre aziende del settore cosmetico (e come aziende di altri settori tra i quali, in primis, quello del luxury fashion) sta organizzano il proprio portafoglio marchi per potersi difendere – con maggiore certezza - da potenziali contraffazioni nel metaverso.

Del resto, visto il crescente numero di aziende interessate al fenomeno e al fine di istituire una prassi, l’EUIPO (European Intellectual Property Office), deputato alla concessione dei marchi dell’Unione Europea, di recente ha dato indicazioni in tema di classificazione di prodotti e servizi. L’EUIPO ha precisato che “i prodotti virtuali rientrano nella Classe 9 perché sono trattati come contenuti digitali o immagini. Tuttavia, mancando di per sé di chiarezza e precisione, il termine prodotti virtuali deve essere ulteriormente specificato chiarendo il contenuto al quale detti prodotti virtuali si riferiscono (ad esempio prodotti virtuali scaricabili, ovvero abbigliamento virtuale)”. Il tutto in attesa dell’entrata in vigore della 12ª edizione della Classificazione di Nizza (prevista in data 1 gennaio 2023) che dovrebbe fornire qualche ulteriore certezza nella classificazione in modo da ridurre il rischio che gli Uffici destinatari delle domande di marchi sollevino obiezioni in relazione alla classificazione dei prodotti/servizi.


Dunque, il primo passo per le aziende che aspirino ad entrare nel metaverso è assicurarsi che i propri brand siano tutelati anche in quel mondo e quindi è opportuno effettuare nuovi depositi ad hoc (non essendo possibile “aggiungere” classi di prodotti/servizi per i marchi già in essere) e, per le registrazioni già programmate, è opportuno aggiungere anche le classi di prodotti/servizi che assicurino la tutela anche di prodotti venduti e servizi erogati nel metaverso.


Il deposito di marchi che rivendicano prodotti e servizi virtuali è certamente utile anche ove non si abbia intenzione di entrare (o di entrare immediatamente) nel metaverso. Tale deposito può infatti avere una finalità difensiva nel senso che sarà più facile difendersi in ipotesi di uso da parte di terzi di marchi altrui nel metaverso.


In secondo luogo, sarà necessario sorvegliare il metaverso, esattamente come si fa per il mondo reale e prendere gli opportuni provvedimenti, ad esempio, attraverso le procedure di notice and take down. La contraffazione nel metaverso, infatti, è un fenomeno che già si verifica ed è certo destinato a crescere anche perché, almeno in questo momento, probabilmente la sensibilità delle aziende è minore e molte di loro non sono ancora del tutto preparate ad affrontare questo fenomeno.


Ad esempio, un episodio di contraffazione nel metaverso si è già verificato a danno della nota casa di moda Hermès. È infatti successo che l’artista Mason Rothschild abbia creato una collezione di 100 NFTs denominata "MetaBirkins": ciascun NFT conteneva un’immagine digitale riproducente la celebre borsa “Birkin” di Hermès (il cui costo ha un prezzo base di circa 7 mila euro ma può arrivare a prezzi molto più alti) ricoperta di pelliccia sintetica. La collezione è stata venduta per un importo in Ethereum (moneta digitale) corrispondente ad un controvalore di circa un milione di dollari, il tutto senza alcuna autorizzazione da parte di Hermès.


Hermès, quindi, ha citato in giudizio l’artista sostenendo che la creazione e la vendita degli NFTs contenenti l’immagine digitale della Birkin e l’uso del marchio “Birkin” quale nome della collezione (denominata “MetaBirkin”) costituisse contraffazione di marchio e concorrenza sleale.


Secondo il creatore degli NFTs le immagini digitali incorporate negli NFTs erano un’opera d’arte e quindi egli pretendeva di fare valere la scriminante dell’uso artistico del segno altrui che, secondo la legge americana, esclude la contraffazione.

La Corte di New York chiamata a decidere sul caso ha ritenuto, accogliendo la richiesta di Hermès, che l’intento di Rothschild non fosse genuinamente “artistico” ma fosse piuttosto quello di associare il segno “Metabirkins” alla notorietà del marchio “Birkin”, approfittando così del goodwill del segno altrui.


Peraltro, anche laddove non si avesse intenzione di sfruttare il nuovo business che deriva dal metaverso sarà comunque opportuno tenere conto della sua esistenza.


Ad esempio, quando il titolare del marchio stipula un contratto di licenza il cui territorio è “America”, implicitamente dovrà ritenersi che al licenziante sia stato concesso anche l’uso del segno nel metaverso? E se sì, in quale metaverso (visto che le piattaforme sono numerose e certo destinate a crescere nel tempo)? Quali le conseguenze di un uso non autorizzato da parte del licenziante ma in assenza di marchi valevoli anche per prodotti e servizi virtuali?


In definitiva, la presenza di questa nuova realtà, che la si voglia sfruttare o meno, non può essere ignorata. Essa, inoltre, è probabilmente destinata ad avere un forte impatto sulle abitudini e i consumi di una larga fetta di popolazione con la conseguenza che è necessario essere consapevoli delle numerose implicazioni giuridiche che da essa derivano per poterle affrontare nel migliore dei modi.