NATURALE O ARTIFICIALE?

SE PARLIAMO DI INTELLIGENZA, SARÀ LOTTA O SINERGIA?

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Appena laureato presi del fanatico perché, in attesa di servizio militare e primo impiego, mi buttai ad usare un Commodore 64 in prestito ed imparai il linguaggio di programmazione BASIC. Ovviamente i miei genitori erano preoccupati del fatto che videogiocassi tutto il giorno (erano i tempi in cui Bill Gates era deriso dall’IBM, padrona assoluta dei mainframe grandi come un condominio, per la sua visione di mettere un PC in ogni casa).


Fra le mie grandi rivincite, quando nella azienda che ebbe la bontà di cuore di assumermi una volta fatto il mio dovere per la patria, trovai che alla fine della linea di confezionamento stava la bilancia che controllava il corretto riempimento delle creme, collegata con un Commodore VIC 20 e funzionante con un programma in BASIC che certificava la correttezza delle operazioni metrologiche.


Poi presi del fanatico quando comprai il telefonino il giorno stesso in cui uscì il GSM e la allora Omnitel e su questo mi pare ovvio che abbia una serie di rivincite da raccontare, ma non vi tedierò ulteriormente.


Oggi invece sono triste perché mi sento in ritardo, dato che se mi metto a parlare di intelligenza artificiale, non prendo più del fanatico, ma la gente mi sta ad ascoltare: il che significa che il tema è già sdoganato alla attenzione dei più e non solo degli “early adopters”.

STAI A VEDERE CHE IL SILICIO, A PARTE IL SILICONE, NON È POI COSÌ MALE…

Credo che per tutti il tema sia un pò fumoso. Di certo è immenso.

Ad oggi, nell’immaginario collettivo il termine Intelligenza Artificiale ha un significato troppo ampio, raggruppa ambiti anche molto differenti, sia concettualmente che in pratica.


Si parla di Big Data, di Tracciamento, di Machine Learning, di Internet of Things, di Realtà Virtuale, di Realtà Aumentata, di Metaverso, di Riconoscimento Biometrico, di Diagnostica Automatica, di Gemelli Digitali, tutto in un calderone, come se fossero la stessa cosa, ma così non è.


Aggiungiamo che tutto quanto riportato sopra può poi essere applicato in ambiti completamente differenti con metodiche e obiettivi altrettanto differenti, dalla ideazione e progettazione alla produzione, al Marketing alle Vendite, alla Logistica.

SI FA PRESTO A PARLARE DI INTELLIGENZA ARTIFICIALE, MA… 

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Cominciamo dalla parola Intelligenza, che per i nostri scopi potrebbe essere declinata con tre grandi significati: la capacità di imparare, di decidere, di creare. Purtroppo troppo spesso è confusa con il tracciamento ed i big data: ma questi da soli non sono l’intelligenza artificiale.


Ad esempio, con “l’Internet of Things”, si calcola che ad oggi nel mondo esistano circa 11 miliardi di apparecchi connessi alla rete che raccolgono dati in continuazione: fra questi miliardi di telecamere che catturano miliardi di visi. In Cina il riconoscimento facciale è utilizzato in massa per scopi di controllo delle masse, tanto che i sistemi di telecamere a circuito chiuso riconoscono l’identità dei manifestanti in piazza contro il regime (aiutati anche dal tracciamento dei cellulari) ed agiscono (in automatico) limitando i loro diritti civili (di spostamento, di lavoro, di studio, etc.). Quando sarà che (pagando i dati) sapremo, a livello nominativo, ovvero con tanto di nome e cognome, quale marca e colore di mascara usa la Signora Maria ad una certa ora in un certo posto del mondo e dove lo ha comprato? Se nelle telecamere, oltre al visibile, usassimo anche un spettrometro UV e l’azienda produttrice inserisse una differente sostanza che assorbe nell’UV per ogni differente lotto, potremmo conoscere anche il lotto di fabbricazione.


Siamo molto oltre l’analisi dello scontrino medio incrociato con la tessera sconto del cliente affezionato, eseguita già da anni dalla grande distribuzione.


Devo anche notare che, mentre scrivevo questo articolo, ho letto la notizia dello sviluppo di una app per smartphone che utilizza il NIR e nel cui sviluppo ha partecipato anche una grandissima azienda che fra l’altro produce materie prime per cosmetica.


Tutto ciò è intelligenza: ma non creativa. La “macchina” ha visionato milioni di immagini di visi, li ha confrontati fra di loro, ha imparato a distinguere fra un viso e l’altro e ad accostare l’immagine con un nome, decidendo riguardo l’identità dell’immagine ovvero a chi appartiene quel volto presente in piazza quel giorno. Ma non ha creato nulla e non ha preso decisioni. A meno che, una volta riconosciuto un dissidente, in automatico gli revochi i diritti civili oppure, in termini meno drammatici, invii alla signora col mascara un messaggio sul telefonino per informarla di una offerta speciale del negozio all’angolo (ovviamente all’angolo della strada che la signora sta percorrendo in quello stesso momento).


Un giorno avremo in ogni casa un videocitofono intelligente con il riconoscimento facciale che disattiverà il nostro campanello nel caso di visite non gradite, anche partendo da un database dinamico, ad esempio tutti quelli che hanno postato sui social foto sui siti interisti, mentre noi siamo del Milan o viceversa.

INTELLIGENZA PRIMA DI TUTTO 

Tornando al videocitofono, in ogni cellulare possiamo inserire una black list di numeri da cui non vogliamo essere disturbati, ma, appunto, dobbiamo inserirla manualmente ed è una decisione umana.


Il senso della intelligenza artificiale è che la macchina stessa sia in grado in qualche modo di creare, inserire ed usare questa lista, prendendo decisioni, sulla base di algoritmi che la macchina stessa ha elaborato a partire dai primi dati e perfezionando i primi algoritmi inseriti da umani. Il primo passo quindi è quando la macchina stessa utilizza un algoritmo da lei stessa creato.

In questo modo riprodurrebbe una intelligenza di opinione, preferenza e decisione: ma, ancora, non creativa.


Facciamo l’esempio degli scacchi: ricordo bene quando si pensava che un computer mai avrebbe potuto battere un maestro di scacchi. Oggi il campione del mondo è una macchina (l’insieme di una capacità di calcolo e di un algoritmo) e dal 2006 non si giocano più sfide di umani contro macchine, per manifesta inferiorità degli umani. Il caso degli scacchi tuttavia è un caso di basso livello, dato che è stato un umano ad inserire nella macchine i dati e le regole del gioco degli scacchi, i criteri di predominanza e di vittoria, così che la macchina ha fornito solamente la elevata capacità di calcolo.


Oggi il machine learning invece viene realizzato da macchine che vengono alimentate con big data opportunamente raccolti e da sole, dopo un primo “aiuto” umano, trovano le relazioni fra i dati, forniscono i risultati cercati, anzi, a volte propongono risultati che nessuno aveva chiesto loro all’inizio.

Imparano, decidono ed in qualche modo, creano, tanto è vero che, le stesse macchine creano gli algoritmi che poi saranno applicati a nuovi i dati.

IA: DECIDE L’UOMO O LA MACCHINA? 

La cosmetica ha bisogno di formulazione ed innovazione.

Pensiamo allora a macchine che, partendo dalla composizione di, diciamo un milione di differenti formule, possano capire la logica e la creatività del formulatore e proporre le proprie formule. Difficile? Non poi tanto, se un attento sviluppatore umano di algoritmi inserisce nella macchina le relazioni che ci possono essere, ad esempio, fra l’uso di un certo conservante, la sua quantità e le caratteristiche della formula tipo dove viene usato. Figuriamoci cosa potrebbe fare poi la macchina da sola, se lasciata libera di analizzare il milione di formule e trarre le proprie conclusioni!


In pratica, il machine learning in questo caso è fatto di due fasi: una prima fase detta “learning” in cui la macchina applica determinati algoritmi per “imparare” che relazioni ci sono fra i dati ed una seconda fase detta “predictor” dove la macchina crea i propri algoritmi che le serviranno per fare le proprie proposte di formulazioni.


Per quanto riguarda l’innovazione (e la previsione di cosa andrà venduto nel futuro) la situazione si complica perché si deve applicare la fase di “learning” ad una massa enorme di dati eterogenei: come ad esempio i post dei social in voga, i filmati di You Tube o Tik Tok (social listening) i dati di vendita dei prodotti attuali, la profilazione dei marchi cosmetici, dei clienti e tanto altro oltre alla analisi del linguaggio nelle differenti lingue di tutti i video presenti in rete (natural language processing).


In teoria è fattibile, seppur complicato, prevedere con anticipo come sarà fatto il prodotto che avrà successo a distanza di un anno.


Questa operazione è quella che più si avvicina alla creazione, alla previsione.


Io mi accontenterei di una applicazione di machine learning che mi dica, dopo aver analizzato i dati necessari, quali saranno gli ingredienti che fra un anno entreranno nella black list del mio cliente più importante, così da evitare fin d’ora di formulare con materie prime che presto saranno rifiutate.

E LA COSMETICA CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE? 

Ovviamente i sentimenti e le emozioni sono la parte più importante di quanto è generato dalle percezioni e dall’immaginario personale e collettivo e sono fondamentali nella sfera del gradimento del prodotto cosmetico, ma il tema, molto studiato negli ultimi decenni a livello di rilevazione della attività cerebrale in seguito all’uso di profumi o di cosmetici, non mi risulta ancora applicato ai big data o al machine learning.


Sicuramente presto qualcuno ci stupirà ed avremo il primo cosmetico ideato a partire dall’analisi di big data provenienti da attività cerebrale, specialmente se i miliardi di telecamere al mondo saranno attrezzate con rilevatori di risonanza magnetica nucleare o anche quando si svilupperanno gli apparecchi che, attraverso la rilevazione dei cambiamenti della fisiologia della pelle, valutano il gradimento e le emozioni dei giocatori impegnati in videogiochi: sono del resto sistemi già usati nei laboratori di sviluppo dei videogiochi. Questi ultimi sistemi sono già stati utilizzati nello sviluppo di materie prime per cosmetica, quindi sarà sufficiente ampliare numericamente il loro utilizzo, per poter elaborare i dati con applicazioni di machine learning.


Fantascienza? Mica tanto.


Recentemente, per curiosità, ho rivisto Blade Runner (1982), ispirato ad un libro del 1968 ed ambientato in un 2019 dove le auto volavano ed esistevano androidi difficilmente riconoscibili come non umani.

Ebbene, Harrison Ford ad un certo punto per telefonare si deve fermare in una cabina per strada…è difficile prevedere il futuro.

Sempre in Blade Runner una androide ribelle che comincia a provare sentimenti di autocoscienza, imitando il comportamento umano, si dipinge il viso a livello degli occhi con una vernice nera, come un ombretto “burlesque”.


Dopo aver visto cose “che voi umani”, resterà soltanto una lacrima nella pioggia? La lacrima dei formulatori il cui lavoro sarà rimpiazzato dalle macchine?

No, se lasceremo che la bellezza salvi il mondo.


IL MACHINE LEARNING DEI SENTIMENTI E DELLE EMOZIONI 

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