La bellezza in pasticceria 

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In un articolo pubblicato l’8 agosto scorso su “Il Sole 24 Ore”, Giulio Busi ha presentato un libro dal titolo decisamente intrigante per questa rubrica: “Andare per caffè storici” di Massimo Cerulo (il Mulino). 

Ho letto con piacere il bell’articolo di Busi. 

L’andare per caffè storici di Cerulo è una specie di road map dal sapore antico che ci riporta ad un tempo in cui il “caffè” era ben più di un locale di mescita: rappresentava infatti un mondo a sé, fatto di sapori, odori e soprattutto umori.  


I caffè, come locali di ritrovo e consumo, nascono nel XVI secolo, Malta ne è stata la porta di accesso in Europa, da schiavi turchi che si riunivano per questo rito. 

Lo spirito del luogo è molto ben rappresentato nella commedia “La Bottega del Caffè” di Carlo Goldoni (1750) che ho avuto il dono di vedere da ragazzo con un gigantesco - in tutti i sensi! - Tino Buazzelli. 

La commedia, nella migliore tradizione di questo genere, ruota sullo sfondo di un caffè intorno a vicende amorose, equivoci, happy end e morale finale. 

Questo era il caffè di una volta! Trame, chiacchiere, “affairs”. Ma anche scambi commerciali e culturali… Quanti capolavori nati in un caffè! Schizzi di pittori, romanzi, poesie, manifesti politici… 


Cosa è rimasto di questo mondo? 

Intendendo il caffè come quel locale che è altro rispetto al bar come i celebri Florian, Gambrinus, Bicerin, Cova, dobbiamo convenire come le cose nel tempo siano radicalmente cambiate. 

La carta di identità segna i naturali confini generazionali tra chi ha conosciuto, frequentato ed amato il silenzio felpato di una pasticceria del buon tempo andato e chi è cresciuto andando per locali a luci laser.  

Un modello di locale dal sapore mitteleuropeo. 

Non dobbiamo dimenticare che tra i tanti turisti che nei secoli sono transitati per la Lombardia prima con asce e spadoni, quindi con alabarde e spingarde, poi con moschetti e baionette, non sono mancati gli austriaci che hanno portato i loro costumi.  


Ricordo lo stupore che ho provato quando sono stato la prima volta in Austria, ero a Salisburgo per il Festival estivo, e ho passato un intero pomeriggio in compagnia di un giornale, un caffè e uno strudel in una pasticceria del centro senza che nessuno del personale abbia mai dato il minimo segno di impazienza per farmi sloggiare terminata la consumazione! 


A Milano c’è un locale se non antico, è nato nel 1936, che ha comunque attraversato la storia della Città in momenti difficilissimi restando tutt’ora un’oasi di particolare fascino: è la pasticceria Cucchi. 

Sto facendo una involontaria e non voluta pubblicità, ma è come se parlassi di Biffi, Cova, Peck, del Bar Magenta, nomi iconici che diventano citazione letteraria. 

Per me la pasticceria Cucchi è associata a un mio zio. 

Una persona speciale.  

Si chiamava Giulio Falzoni. Acquerellista di una certa fama e ottimo violinista. 

Avete presente l’immagine classica dell’artista stravagante, trasandato e distratto? Beh, di più. 

La casa, atelier, era un delirio, tranne la zona cavalletti, pennelli e tele, il suo santuario. 

Non dava la minima importanza alle cose, vestiti o altro, mangiava pane e formaggio ma non esitava a spendere capitali per le sue sperimentazioni. 


Per arrivare al nostro caffè, ci entriamo proprio dalla porta. 

Ho perso mio padre molto presto e mio zio è stato il tutore spirituale mio e di mia sorella.  

Lo andavamo a trovare la domenica pomeriggio per il rito pasticcini con tè e cioccolata da Cucchi sotto, casa. 

Il nostro ingresso era trionfale. 

Due ragazzini, una donna giovane (mia mamma) e lui che faceva da apripista. Un signore anziano, curvo, dal passo strascicato. Togliendosi il cappotto liso emergevano due o tre maglioni sovrapposti con vistosi buchi e uno spago al posto delle bretelle. 

Va da sé che i clienti, mediamente piuttosto eleganti, ci guardavano allibiti. Ancora di più quando il responsabile della pasticceria veniva a salutarci con deferente simpatia.  

Ma ecco che, appena seduti, decollava il pomeriggio domenicale. 

Mio zio apriva la bocca ed ecco arrivare nuovi invitati al nostro tavolo: Michelangelo, Caravaggio, Picasso, Degas, Bach, Brahms, Beethoven, l’amatissimo Wagner, Ungaretti, Umberto Saba, Kant...  

Cullato dalle sue parole appassionate e dall’intimità di quella atmosfera ho avuto in quegli anni uno dei doni più belli che un essere umano possa avere: la chiave d’ingresso per la bellezza.  

Io ci sono entrato dalla porta di un caffè. 

Giulio Fezzardini

Redazione NH Italia

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