COMUNICARE LA SOSTENIBILITÀ:

LE SFIDE REGOLATORIE

TRA GREEN CLAIM E GREENWASHING

Con l’approvazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, le Nazioni Unite hanno svolto un ruolo chiave nel quadro delle iniziative connesse alla sostenibilità: l’Agenda contiene infatti 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, volti a promuovere e a realizzare un’effettiva sostenibilità in ambiti diversi ma interconnessi. Tali obiettivi sono parte integrante anche del pacchetto di misure noto come “European Green Deal” (1) varato nel 2019 dalla Commissione Europea e definito come “una nuova strategia di crescita” con l’obiettivo di portare a zero le emissioni nette di gas serra entro il 2050. L’impegno dell’Unione Europea si è inoltre tradotto anche nell’approvazione della “Farm to Fork Strategy”. Tale strategia, pilastro centrale del Patto, riconosce il profondo impatto dell’attuale sistema alimentare sul clima e la necessità di una riforma in grado di trasformare il modo in cui produciamo, distribuiamo e consumiamo i prodotti alimentari rendendo l’intera filiera sostenibile dal produttore al consumatore, cercando di ridurre al minimo lo spreco alimentare e garantendo a tutti l’accesso a prodotti sani. Attraverso il “Legislative Framework for Sustainable Food Systems” (FSFS), la cui adozione è prevista per la fine del 2023, l’Unione fornirà uno strumento in grado di garantire coerenza tra le diverse politiche a livello nazionale, prevendendo anche un “Sustainability Labelling Framework”. Quest’ultimo si pone come obiettivo quello di fornire al consumatore un quadro chiaro e definito delle diverse iniziative relative all’etichettatura dei prodotti in base al loro impatto non solo nutrizionale, ma anche climatico, ambientale e sociale. Non dobbiamo dimenticare infatti che l’impatto ambientale è solo uno dei tre aspetti della sostenibilità che si estende anche a quello sociale ed economico. A livello nazionale, alcune iniziative in tal senso sono già in corso di implementazione, come ad esempio l’Eco-score, per ora implementato su base volontaria ma già visibile sui prodotti immessi nel mercato francese.

LA SOSTENIBILITÀ A LIVELLO INTERNAZIONALE ED EUROPEO

L'esigenza, infatti, di fornire ai consumatori informazioni chiare in questo campo emerge soprattutto in connessione con un forte aumento nell’utilizzo da parte delle aziende del settore alimentare, ma non solo, delle asserzioni ambientali, i cosiddetti “green claim”, volti a mettere in risalto le caratteristiche di sostenibilità del prodotto, siano esse connesse alla sua produzione, alla sua composizione o al packaging utilizzato. In tal senso, la Commissione Europea si è attivata tramite l’iniziativa “Legislative proposal on substantiating green claims” con lo scopo di rendere più affidabile e verificabile la comunicazione in ambito ambientale, combattendo il fenomeno ormai dilagante noto come "greenwashing". L’iniziativa è volta ad affrontare le pratiche di greenwashing attraverso una metodologia unificata, la PEF (Product Environmental Footprint), che permette di misurare l’impatto ambientale di un prodotto lungo tutto il suo ciclo di vita e, su questa base, sostanziare le dichiarazioni ambientali comunicate dalle aziende (11).

Infatti, il fenomeno del greenwashing è stato definito dalla Commissione Europea come “appropriazione indebita di virtù ambientaliste finalizzata alla creazione di un'immagine verde (2). La stessa Commissione ne ha riconosciuto il dilagare effettuando uno screening dei siti web di aziende in diversi settori, giungendo alla conclusione che quasi la metà dei green claim utilizzati fossero privi di fondamento (3).

Di conseguenza, durante il primo trimestre di quest’anno, la Commissione stessa ha aperto una nuova consultazione sulla proposta di alcune modifiche alle norme sui diritti dei consumatori e sulle pratiche commerciali sleali (4), introducendo nuovi limiti alle asserzioni ambientali generiche o vaghe, proponendo inoltre di vietare la possibilità di affermazioni ambientali sull'intero prodotto quando la riduzione dell’impatto riguarda solo un determinato aspetto, ma anche di esibire un marchio di sostenibilità avente carattere volontario che non sia basato su un sistema di verifica esterno. Saranno considerate pratiche ingannevoli anche le dichiarazioni relative alle prestazioni ambientali future senza includere impegni e obiettivi chiari, oggettivi e verificabili e senza un sistema di monitoraggio indipendente (5). La proposta viene integrata nell’ambito di ulteriori iniziative, tra cui quella sui prodotti sostenibili (6) e quelle volte a dimostrare la veridicità delle dichiarazioni ambientali (7).

Queste proposte non devono intendersi come novità. Le aziende infatti, a livello interno ma anche consortile e associazionistico, sono nel frattempo attive sia nel redigere documenti di impegno di sostenibilità (8), sia nell’interazione con gli altri stakeholder, Commissione inclusa, al fine di costruire un quadro normativo armonizzato relativo ai green claim e al loro supporto probatorio che sia comprensibile per i consumatori e allo stesso tempo rappresenti lo sforzo delle aziende più responsabili (9). Questi comportamenti sono incoraggiati dalla Commissione stessa che invita le aziende alimentari ad aderire al suo “EU Code of Conduct on Responsible Food Business and Marketing Practices” (10). Nell’ambito della filiera alimentare, la novità sarebbe la proposta di regolamentazione a livello europeo della modalità di dimostrazione delle asserzioni ambientali auto-dichiarate tramite la PEF, paragonabile ai protocolli Ecolabel che conosciamo per prodotti di consumo al di fuori del settore alimentare.

GREEN CLAIM E GREENWASHING: LE INIZIATIVE A LIVELLO EUROPEO

La Comunicazione della Commissione (12) sugli orientamenti alla direttiva sulle pratiche commerciali sleali chiarisce e interpreta le pratiche commerciali in tema di ambiente. In particolare, afferma che i professionisti devono presentare le loro dichiarazioni ecologiche in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, così che i consumatori si possano fidare delle asserzioni ambientali supportate da prove a sostegno, come claim esplicativi e dati quantitativi, pronte ad essere fornite in casi di contestazione.

La Comunicazione precisa che le dichiarazioni vaghe non sono considerate accettabili a meno che, parallelamente ai benefici generici e non specifici rispetto agli health claim autorizzati per gli alimenti, non siano corredate da precisazioni ben visibili sull'impatto ambientale del prodotto, esplicitandone la metodologia utilizzata. Nel caso in cui ci fosse uno spazio limitato, le ulteriori spiegazioni dovrebbero comunque consentire a un consumatore medio di comprendere il collegamento tra le due parti insistendo che non si dovrebbero introdurre asserzioni ambientali in mancanza di spazio sufficiente per specificarle.

Insieme alla disciplina cogente ed esplicativa relativa alle pratiche commerciali sleali, in ambito alimentare bisogna tenere conto anche dell’art. 7 del Reg. (UE) 1169/2011 che sottolinea come le informazioni sugli alimenti non devono indurre in errore il consumatore, tra le altre fattispecie, anche attribuendo al prodotto caratteristiche che il prodotto non possiede. Confermato da un’interrogazione parlamentare (13), entrambe le norme si applicano in maniera complementare e sinergica.

Per le asserzioni auto dichiarate (ad esempio la riciclabilità espressa con il simbolo del ciclo di Mobius), la norma tecnica UNI EN ISO 14021 ne fissa i principi fondamentali.

La norma tecnica specifica anche i requisiti sulla comunicazione della compostabilità ed esorta a non vantare la riciclabilità in assenza di istallazioni per il riciclaggio dove il prodotto è venduto.

In linea generale, secondo la norma, le asserzioni auto dichiarate devono essere accurate e non fuorvianti, comprovate e verificate, pertinenti a quel particolare prodotto e coerenti con il contesto in cui un prodotto viene fabbricato, distribuito, consumato e gestito nel suo fine vita. Inoltre l’oggetto della comunicazione deve essere ben specificato e il beneficio ambientale associato deve chiaramente indicare se afferisce al prodotto nella sua interezza completo, solo a un suo componente, all’imballaggio e se si riferisce a tutte o a una particolare fase del ciclo di vita del prodotto. Infine, le comunicazioni devono concentrarsi su aspetti ambientali rilevanti e significativi per il prodotto, considerati tali a seguito di analisi LCA (Life Cycle Assessment) in grado di individuare gli aspetti più problematici dal punto di vista ambientale rispetto alle principali categorie di impatto che si generano in tutte le fasi di vita di un prodotto.


IL GREENWASHING COME PRATICA COMMERCIALE SCORRETTA

A livello nazionale, diverse sono state le iniziative. Nel Regno Unito le affermazioni ambientali sono disciplinate nel Codice della Comunicazione Pubblicitaria (CAP) che le ha delineate in maniera piuttosto dettagliata. Nelle pronunce dell’autorità, particolare attenzione è posta nel fatto che l’informazione sia circostanziata e si riferisca esclusivamente all’aspetto effettivamente rivendicato, che i claim non siano generici, che la comparazione si riferisca ad aspetti identici, con un’attenzione dedicata alla comprensione del consumatore al di là dell’esattezza del messaggio, condannando i casi in cui si trasmetteva al consumatore un’idea fuorviante di un’intera azienda quando il beneficio riguardava solo alcuni specifici aspetti.

In Italia, oltre alla valutazione delle asserzioni ambientali nell’ambito delle pratiche commerciali sleali dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) ha introdotto un articolo sulla tutela dell’ambiente naturale nel suo codice di autodisciplina (14).

LE INIZIATIVE A LIVELLO NAZIONALE 

Entrambe le autorità hanno emesso negli anni diversi provvedimenti/pronunce su vari settori e su vari aspetti rispetto alle dichiarazioni ambientali. Le irregolarità riscontrate sono state principalmente la mancanza di un supporto probatorio sufficiente a dimostrare le asserzioni vantate, l’assolutezza del messaggio (“completamente biodegradabile”), o claim troppo generici o vaghi.

Sebbene al di fuori dell’ambito alimentare, è certamente interessante una sentenza del Tribunale Ordinario di Gorizia nell’ambito della comunicazione ambientale effettuata da un’azienda produttrice di tappezzeria per automobili ritenuta non corretta da un competitor che ha chiesto l’intervento del giudice. È interessante il fatto che il giudice abbia identificato la pratica commerciale come caso di greenwashing e che si riferisca al codice IAP come supporto per inquadrare le asserzioni ambientali all’interno delle discipline sulla pubblicità, ripercorrendone la giurisprudenza. Anche in questo caso i claim vengono giudicati troppo generici, in alcuni casi non supportati da prove sufficienti, contribuendo a creare un’immagine “green” dell’azienda senza dar conto di quali siano effettivamente le politiche ambientali che consentono un maggior rispetto dell’ambiente nella produzione di questo tipo di prodotto.

Al di là delle implementazioni nazionali, lo sforzo della Commissione per armonizzare le asserzioni ambientali è lodevole e ne apprezzeremo gli effetti in futuro quando sarà pienamente operativo. Nel frattempo le aziende più scrupolose si stanno attivando nel trasmettere informazioni veritiere, circostanziate e con una solida base probatoria costruita prima di veicolarla attraverso la comunicazione, facendo attenzione al diverso grado di interpretazione anche al di fuori del territorio nazionale, considerando che gli strumenti applicativi potrebbero essere diversi, dalla cogente Loi AGEC in Francia che proibisce l’uso di asserzioni come “biodegradabile” o “amico dell’ambiente”, alle pronunce dell’Inglese ASA, alle dettagliate linee guida olandesi e alla loro implementazione.

GREENWASHING: I PROVVEDIMENTI

LUCILLA CARICCHIO          FEDERICA NARDI
Hylobates Consulting srl | Italia

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