I COLORI DELLA BELLEZZA FEMMINILE TRA MEDIOEVO E RINASCIMENTO

Anche l'uomo di Neanderthal si applicava sul viso paste colorate, sia per proteggersi dagli insetti, sia per apparire più bello (1). La ricerca della bellezza ha attraversato i secoli, intrecciando il concetto di bello e di buono, come se la bellezza fisica fosse garanzia di moralità e valore, avvalendosi di tecniche cosmetiche, del trucco e dunque anche del colore.
Da cosa è dipesa la scelta di determinate gradazioni di colore in un determinato momento storico? Una domanda a cui questo lavoro cerca di rispondere partendo dal presupposto che le scelte operate non siano mai casuali ma che di volta in volta possano rappresentare il compendio visivo di un’epoca, della sua estetica, delle sue condizioni ideologiche, culturali e sociali, oltre che naturalmente economiche e commerciali, tutte variabili che contribuiscono a determinare e definire il concetto di cultura. L'indagine si è basata sulle testimonianze visive, sui testi di filosofia, medicina e letteratura dell’epoca, circoscritte ai colori della bellezza come è stata intesa in Italia nel periodo storico compreso tra il Basso Medioevo e l’Umanesimo, cioè tra l'XI e il XV secolo, che è stato scelto come ‘modello culturale’ per la complessità delle idee, delle disposizioni, delle azioni e delle trasformazioni, adatto a dimostrare come il colore lo abbia rappresentato e sia stato testimone del modo di percepire il mondo e se stessi nel mondo della società che lo ha abitato (2).

INTRODUZIONE

Tra le numerose trasformazioni politiche e sociali avvenute a partire dall'anno Mille e culminate nell'Umanesimo - insieme al ritrovato dominio del Mediterraneo e agli scambi culturali e commerciali, favoriti dalle crociate e dalla nascita di una borghesia capitalista e benestante - ci furono numerose invenzioni che riguardarono non solo la sfera produttiva ma anche quella domestica, che comprendevano oltre all'abbigliamento la cura della persona, cura a cui contribuì anche la diffusione del sapone, introdotto presumibilmente dagli arabi.


Dapprima i canoni estetici della bellezza sia maschile che femminile erano fortemente condizionati dalla Chiesa cattolica che cercava soprattutto di reprimere nell’universo femminile, sia popolare che nobile, il desiderio della bellezza mondana ritenuta effimera e pericolosa.

La cultura religiosa prevedeva infatti ancora i moniti dei Padri Fondatori, tra cui quelli di San Cipriano e di San Girolamo, che mettevano in guardia le fanciulle e le loro madri.


Tascio Cecilio Cipriano (210-258), vescovo romano, ammoniva:

Fu il diavolo per primo che insegnò l’uso di colorare le sopracciglia, di mettersi colori artificiali, di stendersi il belletto sugli zigomi e addirittura cambiare colore dei capelli, alterando con questi dannati inganni la realtà e l’aspetto di tutta la testa e anche del viso (3).


E Sofronio Eusebio Girolamo (347-420) ribadiva:

La vostra figliola non si avvezzi a pronunciare le parole dimezzate; e a scherzare nell'oro e nella porpora, delle cui cose l'una nuoce alla lingua, l'altra ai costumi (…) guardate da non forarle le orecchie, e di non dipingere la faccia a Cristo consacrata con biacca e pezzetta, di non tenerle al collo oro, e gemme, di non caricarle il capo di pietre preziose, di non farle rossi i capelli (4).

Tuonavano i sacerdoti dal pulpito!


Tuttavia, nonostante il clero stendesse una mano oppressiva e dispotica, le donne delle classi abbienti non rinunciarono mai a perseguire la cura della persona e della bellezza e a seguire, il più possibile, i canoni estetici della loro epoca, che prevedevano occhi grandi e tondeggianti, sopracciglia ad arco, bocca piccola e pelle chiara e i crociati riportarono dall’Oriente l’uso dei profumi e dei belletti che la chiesa aveva severamente proibito nei primi secoli del cristianesimo, e pratiche femminili come il trucco.


La cosmesi del basso medioevo non era altro che la continuazione di quella romana e la palette del trucco prevedeva, per le più coraggiose, toni azzurri e verdi per le palpebre, nero-fumo per annerire ciglia e sopracciglia, rosa aranciati per la bocca e le guance. Per i colori venivano usate polveri argillose di vario tipo, stemprate nell’acqua, il minio e lo zafferano per colorire le guance e le labbra; la salvia per sbiancare i denti e la ‘cerussa’per sbiancare la pelle.


“Truccarsi” era detto “verniciarsi” o “lisciarsi”, poiché i belletti erano detti “lisci” e a questa usanza fa riferimento il poeta Uguccione da Lodi (XIII sec.) quando in una descrizione ironica di quest’uso scrive che la donna sembrerà un’immagine quando sarà “ben verniciata” di bianco e di rosso (5).

Le donne si dedicavano a una lunga cosmesi per schiarire il volto per il quale usavano la biacca, in modo da conferirgli una luminosità e un candore soave, come dalle parole del poeta Guido Guinizzelli (1237-1276), considerato l'iniziatore del Dolce Stil Novo:

Viso bianco come la neve, colorato di carminio, occhi lucenti gai, pieni di splendore (6).


E da quelle di Guido Cavalcanti (1258-1300), che presenta la donna ideale in veste di pastorella soffermandosi sul colore dei capelli e delle gote:

Bella più di una stella, con i capelli biondi e ricci, gli occhi pieni di amore e la pelle di rosa (7).


Il viso infatti veniva ravvivato dall'arrossamento delle gote e delle labbra, usanza deprecata da Dante, quando nel XV canto del Paradiso mostra di preferire la donna sobria e pudica (...) senza 'l viso dipinto, come Beatrice che nella Vita Nuova gli appare (1265-1321):

Vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia (8).


Può sembrare strano che il Sommo Poeta in questi versi si riferisca al colore della veste di Beatrice come a un rosso ‘nobile, onesto e umile’, ma non lo è più se si tiene in considerazione che

il gusto cromatico per le tonalità forti e sature si incontrava con il discorso teologico sulla ‘metafisica della luce’ quella corrente di pensiero, il cui maggior esponente fu il teologo inglese Roberto Grossatesta che intravvedeva nella lucentezza dei colori lo ’Splendor’ ossia la presenza del divino, come testimoniano gli studi effettuati da me e Renata Pompas per i libri ‘I colori del vestire’ e ‘Colori e Moda’ (9).


Questo presupposto filosofico si declina in varie forme condizionando anche il gusto per l’abbigliamento. Così le gradazioni sature e in contrasto degli abiti arrivavano a rivaleggiare con lo splendore delle vetrate delle cattedrali gotiche che si accendevano nei giorni di sole facendo penetrare all’interno delle navate raggi di luce colorata. La purezza del materiale vitreo consentiva di sperimentare una gamma cromatica accesa di bagliori, con accostamenti di rossi e di celesti, di verdi e di violacei, di blu e di gialli[i] le stesse tonalità che la pittura faceva risplendere accostate allo sfolgorio dell’oro (9). Un messaggio teologico non scritto, ma rappresentato; una luce densa, sostenuta dal colore e divina (10).


La donna ideale era descritta dai trovatori, detti i poeti dell“Amor Cortese”,nel territorio francese e dai poeti del “Dolce Stil Novo” nel territorio italiano, avvolta da una bellezza che emanava spiritualità, con un corpo sensuale ma moderato, lunghi capelli dorati (biondi) acconciati a boccoli o a trecce, occhi azzurri e pelle chiara: di fatto una creatura celeste che irradiava luminosità e celebrava nei suoi colori il mito teologico della luce che irradia ogni cosa a cui erano attribuite le qualità dello spirito in opposizione all’oscurità e all’opacità del peccato (11).


Quella dei capelli biondi, possibilmente ricci, era stata una lenta rivoluzione del gusto portata in Italia dalle invasioni barbariche e già cantata nelle poesie di Maria di Francia, la famosa poetessa francese che attorno al 1100 descriveva così l’ideale di bellezza femminile, che ben si prestava alla rappresentazione della luce interiore della donna angelo:

Ha il corpo ben fatto, i fianchi stretti, il collo più bianco della neve su un ramo. I suoi occhi sono grigio-azzurri, il viso chiarissimo, la bocca gradevole ed il naso regolare. Ha le sopracciglia brune, la fronte ampia, i capelli ricciuti e biondissimi (…) più luminosi dell’oro (12).


Per circoscrivere il viso con un alone di luce dorata erano usate delle tinture schiarenti con una gran varietà di ricette tramandate da generazioni o avvalendosi di quelle scritte da Trotula de’ Ruggero, la famosa medichessa della prestigiosa scuola salernitana autrice del trattato medioevale sulla cosmesi “De Ornatu Mulierum”, che “per le idee innovative, per le competenze e la stima popolare di cui godeva, fu considerata fra il XII e il XIV secolo, la massima autorità in questioni di salute, igiene e bellezza femminile.” (13)


Un colore biondo esaltato ancora da Francesco Petrarca, considerato fondatore dell'Umanesimo, quando nel “Canzoniere” (composto a più riprese tra il 1304 e il 1374) descrive Laura al loro primo incontro, con i capelli d’oro sparsi al vento che li avvolgeva in mille dolci nodi:

Erano i capei d’oro a l’aura sparsi
che ’n mille dolci nodi gli avolgea,
e ’l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi
(14)


Anche Giovanni Boccaccio canta questo ideale di bellezza femminile nel “Decamerone” (scritto tra il 1349 e il 1353) descrivendo Fiammetta con i capelli crespi, lunghi e d’oro, il viso rotondetto con la pelle luminosa bianca come i gigli e le gote e la bocca del colore delle rose.

La fiammetta, li cui capelli eran crespi, lunghi e d’oro e sopra li candidi e dilicati omeri ricadenti e il viso rotondetto con un color vero di bianchi gigli e di vermiglie rose mescolati tutto splendido, con due occhi in testa che parean d’un falcon pellegrino e con una boccuccia piccolina li cui labri parevan due rubinetti (15).


LA DONNA ‘ANGELO’

Riferimenti bibliografici

Mentre la Chiesa consolidava il suo dominio temporale e cercava di mantenere quello spirituale, la diffusione della cultura, un tempo affidata quasi esclusivamente agli ordini monacali, trovava dei canali diversi - dalle Accademie, alle botteghe degli artisti, alle biblioteche, alle Università - e si avviava verso una dimensione più terrena, si iniziò a osservare e studiare la natura nelle sue manifestazioni dettate dalle leggi naturali e a riscoprire la letteratura classica greca e latina. “Il risveglio della ragione arricchì l’uomo della consapevolezza del suo posto nella natura e i canoni estetici che ne derivarono, basati sul numero e sull’equilibrio, diedero vita a una eccezionale proliferazione artistica (…) in pittura la ricerca di una luminosità irradiante dal colore stesso si esaurì a favore di una luminosità esterna e radente che ammorbidiva e fondeva, attraverso lo spessore dell’aria, gli abbinamenti tra tinte diverse”(9). La brillantezza dei colori precedenti, esaltata dalla vicinanza dell’oro iniziò a spegnersi, i cieli si fecero azzurri e le tinte incominciarono a declinarsi in quella che sarà la tavolozza tipica umanistico-classicheggiante dei rosa, dei verdi pastellati, dei gialli, degli azzurri, dei bianchi lattati e dei porpora, modulata da sfumature intermedie accostate con armonia.


Un cambiamento cromatico nell’arte e nelle vesti che possiamo ammirare negli affreschi e che tuttavia influì poco sui canoni di bellezza femminili che restarono quasi inalterati, se non con un utilizzo più libero e più accentuato dei colori del trucco: la fronte si mantenne alta e rasata, le sopracciglia depilate e sottili ripassate col carboncino, la pelle bianca, lucente e morbida.

L’unica eccezione il ‘rosso dei capelli’ che incurante delle reprimende ecclesiastiche si affaccia di nuovo, facendo virare l’oro dei capelli verso il biondo ramato tipico delle donne veneziane.


Anche nel XV secolo la donna, come suggerisce Ludovico Ariosto (1474-1533), per essere bella doveva avere i colori della Fata Alcina: capelli biondi e lucenti come l’oro, le guance e la bocca rosee. La fronte, i denti, il collo e il petto bianchi come latte:

Con bionda chioma lunga et annodata:
oro non è che piú risplenda e lustri.
Spargeasi per la guancia delicata
misto color di rose e di ligustri;
di terso avorio era la fronte lieta,
che lo spazio finia con giusta meta.

Sotto quel sta, quasi fra due vallette,
la bocca sparsa di natio cinabro;
quivi due filze son di perle elette,
che chiude et apre un bello e dolce labro:
Bianca nieve è il bel collo,

(…) e ’l petto latte (16)


Il velo rosa sulle guance però si fece un po’ più accentuato come quello sulla bocca, spesso le palpebre superiori venivano delineate con il nero e l’ombreggiatura degli occhi era una consuetudine. Così in una novella di Franco Sacchetti (1332/1400) possiamo leggere che: “le donne fiorentine sono le migliori pittrici del mondo, che sanno trasformare ogni figura da diabolica ad angelica e sanno rendere belli in modo meraviglioso i visi brutti.”

Le donne fiorentine con loro sottigliezza sono i migliori dipintori del mondo, e ancora quelle che ogni figura diabolica fanno diventare angelica, e visi contraffatti e torti meravigliosamente dirizzare (17).


Una libertà conquistata, un uso del colore che, liberato dallo Splendor, sottolineava la nuova coscienza che si andava formando a cui anche la donna aderiva con una più indipendente partecipazione alla cultura e all’arte: una donna attiva dedita alle virtù morali ma anche a quelle mondane.

DALLA DONNA 'ANGELO' ALLA DONNA 'TERRENA'

Quante volte ci capita di soffermarci sugli aspetti più inconsueti del colore? Quando in cucina ci domandiamo se la ricchezza dei colori del nostro piatto riuscirà a trasmetterne il sapore. Oppure quando nella vita di relazione ci chiediamo se ci sono tonalità più seducenti di altre. E a chi non è capitato di sognare e di chiedersi se il sogno era a colori o in bianco e nero. E ancora: è vero che il giallo è il colore della felicità? Che si continuano a progettare e brevettare nuovi colori? In questo affascinante saggio troviamo le risposte a queste e a molte altre domande, che sono state poste alle due autrici nel corso degli anni da persone di ogni età, cultura e professione: domande che spaziano in diversi campi di interesse e svelano cosa si cela dietro il ricco universo cromatico.


DALL'AUTORE...

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IL COLORE NELLA COSMETICA

PEER REVIEWED

A Vision of Fiammetta - Dante Gabriel Rossetti